Rivista "IBC" XX, 2012, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

Con la mostra su Testori e la grande pittura europea il Museo d'arte della città di Ravenna ha offerto una nuova e originale occasione di studio.
La carne e la poesia

Claudia Collina
[IBC]

L'ombra del verbo incauto
sulla pasta rabbiosa,
sul colore, sulla tela del folle,
Vincent di sangue,
strame e carne,
ultimo cristiano
con te;
chi altri?
Giovanni Testori, Suite per Francis Bacon (II), 1965


"La materia; questo grande e sacro grembo dell'universo": con queste parole, scritte per definire il fulcro dell'arte di Courbet, Giovanni Testori reiterava, con la poesia che ha sempre affiancato ogni sua scrittura, il concetto nevralgico della sua esistenziale opera letteraria, critica e drammaturgica.1

Una sfida non semplice quella di ricomporre e restituire al pubblico il pensiero critico testoriano, che attraversa cinque secoli di storia dell'arte, dal XV al presente. Con la mostra allestita al Museo d'arte della città di Ravenna tra febbraio e giugno 2012, Claudio Spadoni ha accettato e portato a termine con maestria questa sfida;2 il suo lavoro, mai disgiunto da una personale e peculiare humanitas, ha il grande pregio di averci restituito, in questi anni, non solo la statura di grandi storici e critici d'arte - Longhi, Arcangeli e Ricci - ma anche la loro personalità, attraverso la filigrana della lettura storiografica e dell'ordinamento espositivo delle opere che sono state al centro del pensiero dei più importanti storici dell'arte del Novecento.

Attratto sempre dagli aspetti più realistici della natura e dell'uomo, il più delle volte Testori ha proceduto, nei confronti delle opere d'arte indagate, con un atteggiamento quasi pretestuoso, occasionale, per giungere a riflessioni e interrogativi esistenziali, sacri e profani al contempo, tesi all'unità dell'essere da un azzeramento della forbice degli opposti e assai più profondi della classica disamina storico-artistica, con bagliori di ipotesi sempre acute e folgoranti, rese mutuando con costanza vie di metafora dalle scienze biologiche e dalle patologie mediche.

E "poiché alla resa dei conti l'importante non è il dizionario ma la realtà calda e confusa nello spazio sofferto della storia, a cui anche le parole, quando sono alte e intense, possono a loro volta recare una propria luce e, forse, la trasparenza intima di un senso", si può affermare che Testori sia stato uno dei più grandi interpreti del secolo appena passato, pieno di conflitti, contraddizioni dell'essere e affioramenti delle zone buie della coscienza umana, riflessi nella letteratura e nelle arti visive "come se la parola letteraria del Novecento fosse posseduta da uno sguardo ossessivamente duplice, con l'epifania simultanea di una realtà orribile eppure affascinante, riconducibile persino alle categorie tradizionali del bello".3

Anche il suo lessico è sempre teso a una ricerca preziosa della lingua, intrisa di termini germinati da lingue europee e di significati di radice classica, dissacrati e uniti a opposti osceni, turpi, in una dialettica ossimorica sempre tragicamente teatrale, che inscena un personale, intimo, reiterato, ossessivo, agone con la materia della sua psiche e del suo pensiero critico: la scrittura. E, ripercorrendo a ritroso il catalogo che accompagna la straordinaria mostra, anche Elena Volpato ne coglie il punctum nella traccia di una fulgida e commovente biografia testoriana, nella quale intreccia l'ordito della sua vita, la sua arte e il suo teatro nella trama della sua psicologia, estremamente sensibile, profonda e "consapevole com'era che quella realtà di carne e ossa che viene al mondo il giorno della nascita ha già avuto vero cominciamento nell'unirsi della materia viva, al formarsi di quella cellula pulsante e prima di cui innumerevoli volte, in innumerevoli forme, avrebbe scorto il vibrare nel corpo della pittura più autentica, riconoscendovi l'irriducibile nucleo materico della vita".4

Con grande finezza del curatore, il cuore del catalogo, con le schede che accompagnano le opere esposte, è stato lasciato agli scritti di Testori che scorrono ancora una volta insieme ai quadri per cui sono stati concepiti; mentre i saggi di apertura introducono e approfondiscono la complessa personalità culturale dello studioso, avvalendosi delle preziose testimonianze di chi gli è stato amico in vita. Alain Toubas, come nessun altro meglio potrebbe, mette a fuoco il nodo che emerge, con reiterata coerenza, nell'opera omnia del lombardo novatese: "L'aver sempre creduto in termini di passione al suo lavoro, in una sorta di continuità di temi trattati, quelli che lui sentiva come propri: la fisicità, l'estenuante bellezza della natura, la forte espressività dell'uomo disperato, a immagine e somiglianza di Cristo";5 tema ripreso anche da Davide Dall'Ombra quando afferma che "Testori cercava una rappresentazione della sofferenza dell'umanità, di quel senso di minaccia che lui avvertiva per l'uomo, di quella ferita strutturale, ontologica, immanente alla realtà stessa" che vede nell'iconografia della Crocefissione "il banco di prova nell'arte di tutti i tempi".6

Con il virtuosismo di un direttore d'orchestra fuoriclasse, Claudio Spadoni si è riservato di portare a chiarezza uno dei più complessi viluppi relazionali della storia della critica d'arte del Novecento: la magmatica ragnatela scientifica e/o affettiva sottesasi tra il maestro Roberto Longhi, l'allievo Francesco Arcangeli e l'outsider Testori, tra cui l'artista Ennio Morlotti si è trovato lungamente in/consapevolmente al centro. La "visione-passione critica" di Testori (ma non è forse vero che tutti noi storici e critici d'arte tendiamo a scrivere con la nostra weltanschauung?) è "l'ossessione di una bellezza non disgiunta dal suo doloroso contrario [... dove] Grünewald e Bacon rappresent[a]no, forse più di ogni altro, le figure estreme di uno scandalo che trasuda dalla materia della pittura".7

Ezio Raimondi ha osservato che generalmente si tende a esprimere il contesto in cui vivono le opere d'arte come qualcosa di astratto, ma il contesto, invece, è reale: è fatto di luoghi, fatti, occasioni e anche di casi fortuiti che, se percepiti e raccolti con sensibilità, ne definiscono la linea interpretativa all'interno del flusso della vita.8 E così Testori ha seguito "voci che parlavano di verità più dimesse; verità, magari, 'del paese', di una geografia antropologica abitata dalla bellezza dolorosa della miseria e del drammatico splendore dell'esistenza. Su questa scena Testori agitava gli ossimori perfino sconcertanti, narrazioni fatte proprie, portate su un registro emotivo, passionale, decisamente altro rispetto alla scrittura longhiana".9

Ogni mostra realizzata negli ultimi anni da Claudio Spadoni è un'importante occasione di studio dell'arte: di storia e di critica. E, alla fine dei quattro importanti appuntamenti con Longhi, Arcangeli, Ricci e Testori, si può proprio dire che egli abbia agito con straordinaria finezza e originalità scientifica, in una strategia complessiva destinata a lasciare il segno nel tempo e nella storia della storia dell'arte.

La prima scena della mostra - che nel rispetto della personalità di Testori vanta un allestimento sottilmente teatrale - si apre con un ritratto del critico lombardo dipinto in un'esplosiva "baraonda" da Willy Varlin nel 1972 e intitolato Apocalisse, che affianca le opere su cui egli scrisse in gioventù: autori dell'Ottocento e del Novecento, da Matisse a Manzù. Dalla seconda sala sino alla fine, l'esposizione è stata ordinata in sezioni che seguono la cronologia delle opere, dal Rinascimento ai Nuovi Selvaggi: Foppa, Ferrari, Romanino, il Moretto, Moroni, Caravaggio, il Cerano, il Morazzone, Procaccini, Tanzio da Varallo, Crespi, Cavalier del Cairo, Fra' Galgario, il Pitocchetto, Géricault, Courbet, Matisse, Marini, Manzù, Guttuso, Scipione, Sclichter, Dix, Grosz, Radzwill, Voll, Morlotti, Sironi, Soutine, ancora Varlin, Giacometti, Sutherland, Bacon, Gruber, Vacchi, Jardiel, Rainer, Mitsuuchi, Vallorz, Paladino, Cucchi, Hödicke, Zimmer, Fetting, Salomé, Albert, Mitoraj, Disler, Chevalier, Shindler, Mehrkens.

Un coup de theatre, come il dénouement di Edgar Allan Poe, chiude la mostra con le cinque opere più preziose per qualità e capacità riassuntiva della storiografia testoriana: Ragazzo morso da ramarro di Caravaggio, Erodiade con la testa del Battista del Cairo, Studio per bagnanti di Morlotti, Portrait du Prof. Corbetta di Giacometti e The man of military cap di Francis Bacon. E se quest'ultimo ha sublimato la sua vita nell'arte altissima della sua pittura, alla fine di questo viaggio Testori dimostra di essere stato un uomo dalla spiritualità elevata. Un uomo che come Michelangelo ha sentito nella carne i limiti della materia, come Dostoevskij i paesaggi più abbietti dell'anima "degli ultimi", e nel Cristianesimo l'in/costante, abbacinante, possibilità di trascenderli.


Note

(1) I versi in epigrafe sono tratti da: G. Testori, Poesie 1965-1993, a cura di D. Rondoni, Milano, Mondadori, 2012, p. 364. La citazione che apre il paragrafo iniziale proviene da: G. Testori, Courbet e l'autoritratto, "La nuova Rivista Europea. Lettere e arti / cultura e politica", I, 1977, 2, pp. 44-46.

(2) Caravaggio Courbet Giacometti Bacon. Testori e la grande pittura europea. Miseria e splendore della carne, a cura di C. Spadoni, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana editoriale, 2012.

(3) E. Raimondi, Novecento e dopo. Considerazioni su un secolo di letteratura, Roma, Carocci Editore, 2003, p. 17 e p. 28.

(4) E. Volpato, Storia di un irreparabile. Giovanni Testori, 1923-1993, in Caravaggio Courbet Giacometti Bacon, cit., p. 293.

(5) A. Toubas, Testori, un regno di veri sentimenti, ibidem, p. 23.

(6) D. Dall'Ombra, Intorno a una mostra. Proposte per un'antologia testoriana di opere-luogo, ibidem, p. 41 e p. 50.

(7) C. Spadoni, Di paragone in paragone, ibidem, p. 53 e p. 62.

(8) Si veda: E. Raimondi, Le voci dei libri, a cura di P. Ferratini, Bologna, il Mulino, 2012.

(9) C. Spadoni, Di paragone in paragone, cit., p. 53.

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