Rivista "IBC" XI, 2003, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne, storie e personaggi

L'arte moderna vista con gli occhi di un grande storico dell'arte: una mostra al Museo della Città di Ravenna ha raccontato le passioni e le idiosincrasie di Roberto Longhi.
Nel bene e nel male: il moderno secondo Longhi

Claudia Collina
[storica dell'arte contemporanea]

"L'opera d'arte non sta mai da sola; è sempre un rapporto [..., non] il nesso tra l'opera e le opere, ma tra le opere e il mondo, socialità, economia, religione, politica". Le Proposte per una critica d'arte declinate da Roberto Longhi alla fine degli scorsi anni Quaranta ("Paragone", 1949) sono rimaste un punto di riferimento disciplinare per la storia dell'arte e, ancora oggi, nonostante gli studi di storia e critica siano fisiologicamente evoluti anche in direzioni diverse dal suo gusto, la sua metodologia mirata a puntualizzazioni estetiche e formali, rimandi stilistici e contestualizzazioni storiche, è rimasta fondamentale per ogni studioso; sicuramente in ambito europeo.

Longhi, oltre che lasciare questo cogente imprinting, ha consegnato il suo testamento spirituale esegetico a numerose pubblicazioni e al corpus del suo archivio gestito dalla Fondazione "Longhi" di Firenze; Claudio Spadoni, direttore dell'Istituzione Museo della Città di Ravenna e fine critico d'arte della contemporaneità, ha voluto mettere in corretta luce il dialettico rapporto che Longhi ebbe con la modernità dell'arte dell'Ottocento e del Novecento, materia che ha affrontato nella sua geografica complessità e senza falsi pudori, con la mostra "Da Renoir a De Staël. Roberto Longhi e il moderno", allestita dal 23 febbraio al 30 giugno 2003. Avvallato da uno straordinario comitato scientifico - composto da Maria Cristina Bandera, Massimo Carrà, Andrea Emiliani, Antonio Del Guercio, Claudia Gianferrari, Mina Gregori, Michel Laclotte, Ezio Raimondi, Michela Scolaro e Bruno Toscano - Spadoni ha orchestrato un evento che, attraverso l'interrelata analisi e costruzione di rapporti e nessi artistici, letterari, critici e storiografici, restituisce il contrappunto dell'intelligenza critica longhiana, tra luci ed ombre sempre in forte contrasto.

Confrontarsi con il pensiero critico di Longhi, con i suoi raffinati labirinti mentali, sempre in bilico tra arte e letteratura, dev'essere stata veramente un'ardua, vivificante, sfida intellettuale per il curatore e gli studiosi autori dei saggi in catalogo: la rilettura degli Scritti sull'arte dell'Ottocento e del Novecento, curati dal grande studioso piemontese per l'editore Sansoni, riporta a meditare sullo spessore delle sue affermazioni supportate da una rara e puntuale conoscenza dell'arte e della critica, sia del passato che del suo tempo, sul suo metodo sempre massimamente teso verso la qualità dell'opera d'arte che, nel caso della modernità, condiziona come un boomerang, complice il suo innegabile carisma, alcuni degli orientamenti di gusto verso uno spiccato, preferenziale, naturalismo che denota il suo carattere passionale e la sua mordente presa sugli aspetti più vitali dell'esistenza, come traspare in filigrana dalla letteratura sull'arte da lui scritta.

Il percorso della mostra, articolato su circa centocinquanta opere tra dipinti, sculture e alcuni lavori di grafica, disegni e stampe, ha seguito con una certa fedeltà, ricca d'approfondimenti e aperture d'ulteriori spaccati, il disegno che l'ha generata: gli Scritti sull'Otto e Novecento. Essi sono stati percorsi, indagati ed attualizzati in modo che le opinioni longhiane fossero visibili, squadernate nelle sale della Loggetta Lombardesca, in un suggestivo percorso armonico tra le parole del critico e le opere di riferimento. Costruita con serio rigore filologico, l'esposizione ha raccolto opere da Courbet a de Staël, costantemente relazionate ai testi quali equivalenti letterari dei lavori: trama e ordito intrecciati in un tessuto compatto e senza una sbavatura.

Dal naturalismo courbettiano all'impressionismo, considerato da Longhi "il fatto più vivo e determinante degli ultimi cent'anni", dal futurismo, contrapposto al non amato cubismo, alla metafisica preferita di Carrà a scapito di quella dechirichiana, dai Fauves a Giorgio Morandi, dalla Scuola di via Cavour a Leoncillo, dagli esponenti del Cavaliere Azzurro all'informale internazionale e padano, dell'ultimo naturalismo, passando, con grande correttezza, anche per quegli artisti più "domestici", sostenuti dal critico, come Mario Oddone Cavaglieri, Deiva De Angelis, Carlo Socrate e Gregorio Sciltian.

In trentatrè sezioni la mostra ha messo in relazione tutte le opere, dall'impressionismo in poi, di cui Longhi ha scritto in bene e in male; ha evidenziato lo stretto rapporto che la scrittura del critico creava con l'opera d'arte attraverso una gustosa, corposa e ricca ekphrasis spinta, nelle sue possibilità linguistiche ellitticamente aggettivanti (Ezio Raimondi). È emerso nettamente l'amore di Longhi per la pittura naturalistica, per quelle pennellate sciolte e matericamente ricche assai caratteristiche dei dipinti d'età moderna; e per i temi figurativi e narrativi, che lo riportano al continuum della storia dell'arte senza soluzione di continuità. Nonostante queste predilezioni, Longhi era aggiornatissimo sulla situazione culturale internazionale, sia del passato che dell'attualità, come dimostrano i suoi interventi, i suoi dissensi o i suoi significativi silenzi (Claudio Spadoni). In lui vi è l'idiosincrasia per l'arte sofisticatamente accademica (si pensi alla stroncatura a Canova) e per qualsiasi forma da lui ritenuta eccessivamente intellettualistica (Picasso e l'astrattismo).

Il catalogo si pone come lo strumento, imprescindibile, per lo studio della critica d'arte del Longhi: il grande piemontese, di origini padane, è stato analizzato e pensato, ricordato e ristudiato con grande profondità e perizia dagli autori;1 il volume consente, e consentirà alle generazioni future di storici dell'arte, di fruire con completezza di uno dei tasselli più importanti della storia della critica d'arte del Novecento, naturalmente accompagnandolo con la rilettura longhiana degli Scritti sull'Otto e Novecento, che restituiscono l'intero respiro letterario del grande storico dell'arte. Tutti i contributi in catalogo sono di grande interesse e spessore scientifico: solo per fare alcuni esempi, Mina Gregori sottolinea lo straordinario equilibrio tra critica d'arte e visione storica per mezzo della congiunzione tra arte antica e moderna; Ezio Raimondi indaga le sue capacità letterarie che restituiscono la "metodologia critica come istinto dinamico" e la sua estetica in sintonia con i purovisibilisti tedeschi Wofflin, Riegl e Wichoff; Andrea Emiliani si porta sulle affinità di pensiero elette da Longhi e sui rapporti da lui intrattenuti con Berenson, Arcangeli e lui stesso; Bruno Toscano indaga la passione per Fromentin, suggeritore dell'ekphrasis equivalente all'opera; Claudio Spadoni, lavorando sul tema della scultura, si pone in dialettico pensiero al Longhi, seguito in questo da Marco Vallora, e trae spunti per una riflessione assai efficace e più allargata alla situazione dell'arte plastica sino all'informale ed esplora con sottigliezza le sfumature della critica longhiana divisa tra arte figurativa e astratta; mentre Marisa Volpi analizza la critica d'arte contemporanea del piemontese più circostanziata alla storia della critica. Ricco anche nell'indagine degli aspetti meno consueti, il Longhi è messo in luce nei suoi rapporti tangenti con il mondo del cinema, della radio e della televisione; e senza nulla togliere alla dettagliatissima biografia di Sara Andruccioli, che chiude gli apparati, si vuole qui ricordare e rendere omaggio ad un altro grande italiano della storia e della critica d'arte, Giovanni Previtali, che a Longhi ha dedicato un profilo contestualizzato alle relazioni intellettuali e sociali che hanno connotato l'epoca in cui egli ha vissuto.

In ogni recensione che si rispetti, per amor di vera critica e come insegna Longhi, è giusto dare voce anche a quanto si sarebbe desiderato che fosse ulteriormente considerato, in un catalogo così esauriente e stimolante sotto ogni aspetto: forse il Longhi collezionista d'arte d'età contemporanea lascia filtrare alcuni ulteriori aspetti che trovano voce, perfettamente coerente, con gli scritti degli artisti da lui promossi.

La generazione degli storici dell'arte dell'Ottocento, che ha lavorato dopo la morte di Longhi e della quale fa parte chi scrive, ha necessariamente preso le distanze, in maniera dostoevskijana, dalla critica longhiana, per indagare con obiettività, attraverso le fonti documentarie e senza l'ombra del grande critico, tutto ciò che egli aveva rifiutato. Un po' di onestà intellettuale, però, porta a valutare che in ogni espressione storicoartistica emerge, ineludibile, il retaggio del suo grande insegnamento metodologico, se non si desidera riconoscere tout court quello di gusto. Meglio allora avere sempre presente obbiettivamente la sua inimitabile portata e la sua ricaduta di tipo formativo su ogni studente, tenendo conto che il fisiologico evolversi d'ogni scienza tende sempre a nuove scoperte e revisioni.

In un'epoca, l'attuale, in cui la critica d'arte non fa che sostenere incondizionatamente gli artisti che presenta, rileggere prese di posizioni e stroncature, animate da acuta vis polemica, risulta assai vivificante e restituisce all'attività critica quella sfera di dibattito e parzialità di cui necessita per restare energica e significativa nel panorama artistico e storiografico.

Con questa mostra Claudio Spadoni ha scritto una nuova pagina della storia della critica d'arte.


Nota

(1) Da Renoir a De Staël. Roberto Longhi e il moderno, a cura di C. Spadoni, Milano, Mazzotta, 2003.

 

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