Rivista "IBC" XX, 2012, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne, storie e personaggi

"'C'è da fare la storia del nostro popolo'. Giosue Carducci e l'identità nazionale", Bologna, Casa Carducci, 10 dicembre 2011 - 15 gennaio 2012.
C'è da fare la storia del nostro popolo

Simonetta Santucci
[responsabile di Casa Carducci, Bologna]

Così scriveva Carducci in Critica e arte (1876). E il monito al "giovine critico" ha offerto il titolo alla mostra su Giosue Carducci e l'identità nazionale allestita, nell'ambito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, presso la dimora dello scrittore a cura di chi scrive, con la collaborazione di Marco Petrolli e Matteo Rossini (10 dicembre 2011 - 15 gennaio 2012). La rassegna ha messo in luce infatti, per campioni significativi, come il poeta, il critico e il professore abbia profuso, dopo la presa di Roma, ogni suo sforzo nella costruzione dell'unità morale, culturale, civile della nazione. I materiali esibiti, di genere vario (volumi spesso annotati, autografi, periodici, litografie, foto, cartoline, testi poetici ed epigrafi in versione murale, epistolari), tutti tratti dalla biblioteca-archivio di Casa Carducci, hanno scandito un tragitto in cinque tappe.

Nella prima, La stagione di Enotrio Romano, era di scena, in alcuni Giambi ed Epodi composti sullo scorcio degli anni Sessanta, il portavoce dell'opposizione antigovernativa e anticlericale. A stimolare l'invettiva "eversiva" del cantore di Satana sono soprattutto episodi legati alla questione romana, gestita da una classe dirigente - i governi della destra - incapace di risolvere il processo di unificazione politica del Paese. Carducci-Enotrio commemora amici ed eroi morti nei conflitti di Villa Glori e Mentana (1867): da Edoardo Corazzini ai fratelli Cairoli, dagli operai Monti e Tognetti giustiziati dal "papa-re" (Pio IX) al garibaldino Vincenzo Caldesi.

Operare a Bologna, nel rinnovato Ateneo, grazie "all'Italia e l'Unità", comporta per Carducci il confronto con nuove idee politiche (il pensiero mazziniano e quello degli storici francesi di côté repubblicano: Proudhon, Quinet, Michelet, fra gli altri), ma, nel contempo, l'avvio di un robusto lavoro letterario, nel segno di un graduale distacco da quel classicismo "pedante" coltivato nella sua "Toscanina" di fine Granducato. Un'indagine critica tutta orientata a ricostruire, in sintonia con gli orientamenti del "metodo storico", il percorso della tradizione nostra. Nello Studio della tradizione patria, sezione seconda della mostra, il visitatore si è imbattuto nei primi saggi su Dante, Petrarca, Boccaccio e, a fianco, nei discorsi Dello svolgimento della letteratura nazionale (1868-1871), dove, oltre ad accertare nella letteratura antica i prodromi del risorgimento italiano, ricercando l'elemento "schiettamente" nazionale che ha prodotto nel Paese una cultura autoctona, Carducci lo individua nel popolo, erede della latinità romana e "glutine" della nuova Italia.

Vero è che il crescente rilievo nazionale conquistato dallo scrittore va di pari passo con il suo progressivo distacco dall'area democratico-repubblicana. L'ode Alla regina d'Italia, composta di getto nel novembre '78, segna il culmine di una riflessione che lo condurrà ad assumere, dopo il 1870, atteggiamenti via via più tolleranti nei confronti della casa regnante. La funzione unitaria della monarchia, terzo segmento del percorso, ha inteso illustrare, pertanto, come questa diventi per il poeta-professore l'unico istituto in grado di preservare il processo di unificazione e la concordia nazionale contro eventuali impulsi disgregatori sia da parte clericale sia da parte socialista.

Se l'unità è il bene primario, occorre favorire quel clima di coesione nazionale essenziale al suo consolidamento. L'obiettivo principale è allora quello di educare il popolo italiano a "riconoscersi" e andare fiero della propria identità nazionale. Questa la missione intrapresa nell'ultimo ventennio dell'Ottocento dal poeta, laddove non pochi versi delle raccolte canoniche (Odi barbare, Rime nuove e Rime e ritmi) celebrano alcuni miti identitari, in virtù dei quali la borghesia dell'Italia umbertina avrebbe riconosciuto in Carducci il massimo letterato vivente, identificandosi nel "vate" delle glorie antiche e nel custode della tradizione letteraria patria.

Sul mito del paesaggio presentato nella sua unità geografica ("l'Italia una, indivisibile, eterna"), su quello di Roma, "patria, diva, santa genitrice" della nazione italiana, sul mito dell'epopea risorgimentale con i suoi eroi (fra cui spicca Garibaldi, il più "popolarmente glorioso degli italiani moderni") è stata incentrata la quarta sezione della mostra, Carducci e l'identità nazionale, mentre nel paragrafo finale - Il "libro della patria" - i documenti hanno tracciato la storia compositiva dell'ultima fatica del "grande istitutore dell'Italia unita": l'antologia zanichelliana Letture del Risorgimento italiano (1749-1870).

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