Rivista "IBC" XX, 2012, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / interventi, storie e personaggi

L'architetto Sergio Venturi ci ha lasciati. È stato uno dei protagonisti dell'intensa stagione di politica culturale in cui fu creato l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna.
L'urbanista spaesato

Sergio Venturi
[architetto]

Sergio Venturi ci ha lasciati. È stato uno dei protagonisti di quella intensa e nuova stagione della politica culturale in cui fu creato l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Era un architetto, ma non si può imbrigliarlo in questo titolo di studi: era un uomo di cultura, dotato di una curiosità onnivora rispetto ai temi del patrimonio. Era un ricercatore bravo ed entusiasta. La sua attenzione si rivolgeva con eguale metodo a studiare i palazzi storici di Bologna, come a condurre un rilevamento sull'Appennino tra case rurali e pievi ricche di sorprese, o a seguire il percorso delle acque con le loro risorse e le tecnologie che le riguardano. Architetture di pietra e architetture naturali lo trovavano sempre coinvolto e pronto a immergersi tra libri, carte, avventure in biblioteca, ma anche in autopsie dei luoghi.

Indagare il paesaggio nella sua complessità era la sua passione e in questo approccio, nella scelta degli interlocutori - Andrea Emiliani, Lucio Gambi, Pier Luigi Cervellati, Ezio Raimondi - influiva anche il fatto di essere un emiliano nato in Australia. Aveva assimilato i grandi spazi, la natura estrema dei suoi primi orizzonti, ai nostri crinali, alla pianura, al "grande fiume" di guareschiana memoria. Vogliamo ricordarlo con un intervento che fu pubblicato sul "Notiziario dell'Arte", supplemento di "Mongolfiera", il 26 febbraio 1990.


"Visibilmente a disagio, disorientato, in seguito a notevoli difficoltà d'ambientamento...", così recita il dizionario Devoto-Oli alla voce "spaesato" e così rischia di sentirsi un'intera generazione di urbanisti, o perlomeno coloro che con maggiore attenzione hanno seguito e condiviso quanto è stato dibattuto nell'ultimo ventennio che, bene o male, coincide con "l'età dei piani regolatori", con l'età della conoscenza e tutela dei beni storico-artistici e ambientali. Certo è, comunque, che gli ultimi tempi hanno segnato profondamente la società, scardinando alcune fondamenta che parevano storicamente acquisite e quasi inamovibili. L'età dell'elettronica, dei computer, della traduzione alfanumerica e digitale del sapere (spesso senza sapienza!) si compiace di un nuovo lessico: giacimenti culturali, memorabilia, progetti dai fantasiosi richiami umanistici greco-latini, oppure anglosassoni nell'esibizione di un vernacolo più consono alle macchine che agli operatori.

Le recenti e tuttora attuali polemiche sul piano paesistico regionale, nonostante la sospensiva del parere del commissario di governo da parte del Tribunale amministrativo dell'Emilia-Romagna di cui attendiamo gli effetti, ci riportano a momenti di lotta politica che sembravano esauriti, o perlomeno sopiti, in una stagione che ci vede spettatori, spesso inconsci o sorpresi, di grandi mutamenti economici e sociali. Il postmoderno, il postindustriale, il postcomunismo, la diffusione di una coscienza ambientale (spesso sottilmente pilotata), la scoperta di un'anima "verde" già ampiamente strumentalizzata dalle grandi industrie, non possono che inquietarci e, almeno per una volta, farci tutti vestire i panni del Cipputi di Altan.

Che sul territorio si giocasse la partita dei beni storici, artistici e ambientali è stata, fin dai primi anni delle deleghe regionali, la convinzione di numerosi amministratori, responsabili delle istituzioni pubbliche, e dei tecnici che hanno partecipato alla fondazione dello stesso Istituto per i beni culturali e che hanno orientato, fino a pochi anni orsono, il dibattito culturale. Abbandonate le tentazioni di rivisitazioni nostalgiche, non possiamo comunque non constatare il fallimento della politica regionale per il territorio, quando non l'abdicazione di competenze e responsabilità: la meteora dei comprensori, infatti, e le deleghe in materia di beni paesaggistici, hanno conseguito solo risultati negativi.

Ampia dimostrazione ne è quanto accade in questi giorni: la legge numero 431, che col piano paesistico ripropone la "regionalità" della competenza sulla pianificazione del territorio, e in particolare della tutela, viene sistematicamente contrastata, e con essa questo strumento, proprio per il suo atteggiamento responsabile di coordinamento e limitazione degli interventi. È proprio su questo campo che si fonda la diatriba e nascono anche gli ostacoli.

In un'era di crisi della pianificazione comunale, e nell'epoca di una programmazione (c'è mai stata poi?) che tendeva a un'utopia da realsocialismo, era scontato che l'imprenditoria più accorta si impadronisse di quanto di meglio esprimeva la cultura del pubblico servizio. Le multinazionali dai floridi bilanci si permettono di investire il plusvalore nei settori più negletti dell'intervento pubblico (ma futuribilmente più redditizi!): i grandi restauri, le grandi mostre, in una logica che parte dalla semplice sponsorizzazione per approdare alla commercializzazione del know-how per la catalogazione, il censimento e il restauro dei beni culturali.

Non è qui questione di demonizzare l'intervento privato bensì di rilevare (e dispiace dirlo) la disparità dei contraenti: è ingenuo pensare di orientare il grande capitale senza mettere in conto delle ricadute, talvolta infauste. "If you can't beat them, eat them!" recita un popolare motto inglese, e a essere sinceri crediamo che una semplice cointeressenza, mediante agenzie o joint ventures tecnologicamente ed economicamente non paritetiche, possa riservare delle sorprese non sempre gradevoli. Un'alternativa, probabilmente non gradita alla cultura che caratterizza la classe politica italiana, sarebbe quella di una riforma radicale della gestione della "cosa pubblica", nel senso di una reale responsabilizzazione e partecipazione del privato.

Le vicende recenti del piano paesistico dimostrano palesemente, se ancora qualcuno avesse dei dubbi, che la conservazione e la tutela passano attraverso un'accorta politica del territorio. Un territorio ad altissima densità di componenti storico-indediativi e ambientali non può che sconcertare un "partito del cemento", che resta incapace di ipotizzare la tutela quale volano di sviluppo, preferendo perseguire una politica ormai logora di consunzione di beni raramente rinnovabili. Profondi mutamenti sociali e culturali avvengono con sempre più accelerata frequenza, quindi ci sia consentito auspicare una cultura del territorio più confacente ai tempi. Senza dover attendere, scusate se celio, una seconda Fatima!

Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it