Rivista "IBC" XX, 2012, 1

musei e beni culturali / interventi, restauri

Oltre a fungere da soglia tra finzione e realtà, gli antichi sipari teatrali dipinti educavano il pubblico, raccontando momenti, atti e luoghi da ricordare nella vita dei paesi e delle città.
Il sipario racconta

Serena Sarti
[restauratrice]

Questo articolo presenta un estratto dalla tesi di laurea in Metodologie della conservazione e del restauro di dipinti su tela e tavola da me discussa al termine del biennio specialistico seguito presso l'Accademia di belle arti di Bologna (anno accademico 2006-2007). La ricerca, intitolata Intorno al sipario. I sipari teatrali dipinti nella seconda metà dell'Ottocento e le metodologie per la loro tutela, è nata da un'esperienza di collaborazione diretta nel restauro conservativo dei sipari teatrali dipinti di Pieve di Cento e Cento, all'interno del laboratorio diretto da Licia Tasini. Esperienza che, ad atto ultimato, mi ha trasmesso la tangibile certezza che i sipari storici dipinti siano tasselli straordinari dell'opera architettonica teatrale e che quindi la loro tutela debba essere garantita il più possibile all'interno di questi luoghi. Proveremo ad analizzare in che modo e con quali prerogative questo obiettivo possa essere realizzato.

Nel 1853, presso il Teatro Regio di Parma, furono apportati lavori di restauro, sia nelle parti decorative dipinte del Teatro, sia nel sipario scenico dipinto da Gianbattista Borghesi nel 1829.1 In un breve opuscolo scritto da Pietro Martini e pubblicato a spese del Municipio parmense a beneficio della famiglia Borghesi, si narra di questo restauro. Quel che sorprende di questo breve saggio sono le motivazioni date all'operazione, non diverse da quelle di oggi. Si dice infatti: "Quel sipario adunque in uso già da quarant'anni, [...] tocca a una longevità meravigliosa, in riguardo a simili tele, che, per l'incessante alzare e calare; per la polvere, pel fumo, hanno inevitabili cagioni di sciupamento; meravigliosa ancor più al considerare che, essendo i siparii dipinti a tempra, non potrebbero a lungo serbar freschezza di tinte".2

In effetti, le cause principali di degrado che si registrano nei sipari storici anche ai nostri giorni sono quelle dovute alla loro funzione usurante e alla loro labile tecnica di movimentazione, caratteristiche insite del manufatto. Se l'aspetto tecnico dei sistemi di movimentazione non ha subìto particolari cambiamenti durante le diverse età della storia teatrale,3 se non con la nascita dei sipari all'italiana (in genere di velluto rosso, che dal centro si apre orizzontalmente verso i lati e viceversa), i sipari teatrali dipinti hanno invece subìto processi di mutamento sia dal punto di vista iconografico, sia nei rapporti con lo spazio teatrale. Questo, simbolicamente, ha significato il plasmarsi del sipario come sorta di "quarta parete",4 sia nei confronti dello spazio e del luogo circostante, sia in relazione all'ambiente sociale.

Dalla fine del Seicento in avanti, le invenzioni dei Bibiena segnano la storia e l'evoluzione dei teatri. Nelle loro sperimentazioni incentrate sullo spazio scenico, nello stabilire una continuità fra la cavea e il boccascena, resta coinvolto anche il sipario, che viene adeguato a questo spirito di continuità e di unità decorativa con la frons scenae. Unità e continuità date non solo dal ripetere un determinato modulo decorativo, ma anche dal tradurre un medesimo gusto, in questo caso quello barocco.5 Nel Settecento, la tradizione dei sipari dipinti rimane ancora legata a una produzione di tipo scenografico e decorativo, ma verso lo scadere del secolo comincia a irrompere una sorta di autonomia spaziale figurativa, che apre la strada alle sperimentazioni dei dettami di tipo neoclassico.6

A Ottocento inoltrato, all'impulso economico che dà avvio alla costruzione di una serie di strutture edilizie rivolte soprattutto all'uso della collettività, corrisponde nell'ideazione dei sipari il recupero di valori civici, pittorici e di tradizione locale, pronti a sfociare in chiave romantica, e accademica.7 I motivi sono da attribuire al nuovo ruolo assunto dal teatro nella società dell'epoca. All'importanza di costruire un teatro, e quindi di dotarsi di uno spazio dall'alto significato simbolico, va associato il nuovo concetto di "decoro" urbano, particolarmente caro al ceto dirigente della metà del secolo. Un decoro che nella sua declinazione più localistica e municipale assume valori di tipo "patrio", facendosi occasione per erigere un grandioso monumento cittadino. Parte di questo monumento era il sipario, che infatti veniva fatto dipingere non più dallo scenografo del teatro, bensì da un pittore. Mentre gli scenari delle opere liriche erano pagati dall'impresario, e come tali gli appartenevano di diritto e quindi potevano essere utilizzati in altri teatri, i sipari o alcuni fondali e la loro relativa manutenzione erano pagati dalla commissione teatrale, e venivano così a far parte del corredo del teatro. Il sipario possedeva un forte potere rappresentativo ed era oggetto di critiche molto esplicite da parte degli spettatori, che potevano applaudire o screditare il manufatto.8

Alcune volte, come ha sottolineato Lauro Malusi, vengono rappresentate semplici allegorie, alle quali viene data un'ingenua interpretazione locale, come accade nel sipario del Teatro di Cervia, in cui la barca di Apollo e delle Muse incrocia, nell'Adriatico, quella degli umili pescatori cervesi.9 O come a Carpi, dove nel bellissimo sipario dipinto da Giuseppe Ugolini appaiono i volti ritratti delle più belle e stimate donne carpigiane dell'epoca nelle sembianze di Muse. Oppure come a Pieve di Cento, dove nel sipario dipinto da Adeodato Malatesta e raffigurante Esopo che racconta le fiabe è forte il richiamo alla moralità: dalla parola raccontata a quella cantata, tutto nel teatro viene in qualche modo narrato, ed Esopo è la rappresentazione del primo ammaliatore che, attraverso le sue favole, innalza la coscienza di chi le sa ascoltare.

Così, nel Teatro Borgatti di Cento e nel Teatro Goldoni di Bagnacavallo, Antonio Muzzi dà prova di sfoggio accademico nell'effigiare queste due città come le terre natali di due talentuosi pittori come il Guercino e il Bagnacavallo. A Forlimpopoli, invece, un giovane pittore locale, Paolo Bacchetti, non rappresentò, come abbiamo visto in altri sipari, una storia "patria" degna di essere ricordata come orgoglio civico della città: scelse, piuttosto, di dipingere la distruzione della Rocca da parte delle truppe del cardinale Albornoz, e lo fece in tono volutamente "melodrammatico" e non salvifico. Forse per ricordare la gente di Forlimpopoli che subì quell'atrocità, o forse per segnare il punto iniziale di una vicenda che, con il passare dei secoli, ha condotto alla nascita del teatro (che, guarda caso, si trova sito proprio all'interno della Rocca dell'Albornoz).

Sono solo alcuni esempi di come il ruolo dei sipari storici sia stato non solo quello di mediare tra finzione e realtà, ma anche quello di educare il pubblico, di raccontare, di rappresentare e di rispecchiare momenti, atti e luoghi significativi nella vita dei paesi e delle città. Ma il rischio più grande che i sipari corrono, laddove i teatri abbiano ancora la fortuna di possederli, è proprio quello di non essere compresi nel pieno di queste funzioni. Benché infatti facciano parte integrante della storia di un teatro, essi invece sono spesso considerati manufatti di difficile gestione, restauro e utilizzo, talvolta abbandonati in qualche deposito ad attendere che l'incuria e il tempo decidano la loro sorte, a volte utilizzati in modo indiscriminato nonostante il cattivo stato di conservazione, a volte malamente sopravvissuti ai restauri avventuristici del secolo scorso.

Le scelte operative che accompagnano il restauro di un sipario storico sono piuttosto complesse e generalmente si differenziano molto dalla prassi comune del restauro della tela (le differenze più evidenti, per esempio, risiedono nella grandezza della tela e nella mancanza dei telai). Inoltre il restauro dei sipari può contare su pochi esempi validi con i quali confrontarsi e non contempla metodologie standard da applicare su scala generale.

L'ampiezza delle superfici, come si è detto, è il fattore più condizionante nello stabilire l'ordine metodologico delle fasi di restauro. La notevole difficoltà nell'eseguire passaggi repentini da un verso all'altro della tela costringe quasi sempre ad avere l'aiuto di personale qualificato (quando è possibile lavorare all'interno del teatro). Altrimenti si rende necessario stabilire un programma il più possibile certo e ragionato dell'intervento, con la creazione di mezzi speciali per eseguire le varie operazioni.

Nel concreto di un intervento ci si trova a dover scegliere, fin dall'inizio, tra una soluzione che favorisca di più il recupero della funzionalità scenica del sipario, e una che invece tuteli la sua conservazione in quanto bene artistico. Si tratta di soluzioni che si espletano in maniera diametralmente opposta, e, se pure non sia impossibile, è davvero difficile arrivare a un compromesso fra entrambe. Alla scelta di favorire solo il ripristino o il mantenimento dell'aspetto funzionale di un sipario, infatti, corrisponde un tipo di restauro che interviene principalmente nel consolidamento strutturale e pittorico, prevenendo gli effetti provocati dall'usura durante la movimentazione di sollevamento, ma andando inevitabilmente a scapito del beneficio conservativo. Se questa scelta può essere in qualche misura giustificata perché favorisce una delle funzioni essenziali di un sipario, quella di aprirsi e chiudersi in modo da mantenere la sua posizione fra palcoscenico e platea, un intervento unilaterale di questo tipo rischia di modificare le caratteristiche materiche e peculiari del sipario, che non si presenteranno più come erano in origine.

In passato la maggior parte dei sipari ha subìto restauri invasivi, con cui si è creduto di limitare i danni generati dall'azione continua compiuta dai meccanismi, ma di fatto si sono provocati altri danni. Il più delle volte, per esempio, i sipari venivano totalmente foderati, per irrobustire la tela e saturare le lacune; con ciò non si vuole sostenere che la foderatura rappresenti di per sé uno sbaglio, ma nel caso specifico di un sipario rappresenta un rischio che sarebbe meglio evitare: appesantire questi grandi manufatti con l'aggiunta di ulteriore tela, infatti, esula profondamente dalla natura di questi oggetti, creati proprio per essere il più possibile leggeri e flessibili in funzione del movimento che devono compiere. Inoltre, visto che già di per sé, con il tempo, essendo stesi in verticale, i sipari tendono a formare delle pieghe causate dal loro peso specifico, l'aggiunta di un ulteriore carico può aggravare notevolmente questa tendenza, rendendo necessario rivedere totalmente il sistema meccanico di sollevamento, per tararlo a un nuovo peso.

Nella pratica moderna, quindi, sarebbe bene evitare la foderatura, favorendo invece un rinforzo più localizzato del supporto, per esempio con l'aggiunta di strisce perimetrali di tela che permettano di creare anche un puntello nei confronti dell'aggancio del sipario ai sistemi di tiro, oppure con saturazioni localizzate della tela grazie a innesti limitati alla chiusura della lacuna. Inoltre, rispetto alle tecniche di restauro più remote, oggi i materiali utilizzati tendono a rispondere a criteri di reversibilità, mentre il restauratore si impegna ad attuare un intervento il più possibile minimo e ragionato.

Nei restauri dei sipari di Cento e Pieve di Cento realizzati dallo studio di Licia Tasini, con cui ho collaborato, l'impegno maggiore è stato profuso nel tentativo di restituire agli oggetti in questione un degno stato di conservazione. Dove è stato possibile, è stato favorito in parte anche il movimento di sollevamento, senza che questo inficiasse la conservazione dell'opera; dove non è stato possibile, si è scelto di raggiungere l'unico obiettivo possibile, cioè la tutela dell'opera nel tempo, conservando il più possibile le sue insite peculiarità. A guidarci nell'azione è stata la netta consapevolezza che ogni intervento di restauro è capace di modificare la profonda natura dell'opera. E d'altro canto, se in alcuni casi il sipario è destinato a perdere la sua funzione meccanica essenziale, solo attraverso un serio restauro si può lasciare ai posteri un'opera d'arte. In questa mutazione inevitabile reciterà il ruolo di complice anche il teatro, spazio del continuo divenire e testimone di un ennesimo "cambio di scena".


Note

(1) Sulla vicenda si veda: E. Farioli, L'evoluzione della decorazione teatrale nell'Ottocento in Emilia-Romagna, in Teatri storici in Emilia-Romagna, a cura di S. M. Bondoni, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Grafis, 1982, pp. 78-79.

(2) P. Martini, Intorno il sipario; dipinto da Gianbattista Borghesi pel R. Teatro di Parma, Parma, Tipografia F. Carmignani, 1869, pp. 1-15: 4.

(3) Per informazioni relative agli aspetti tecnici dei sipari teatrali dipinti: L. Malusi, I sipari dei teatri di Romagna, "Romagna arte e storia", VI, 1986, 17, pp. 85-99.

(4) L'avventura del sipario. Figurazione e metafora di una macchina teatrale, a cura di V. Morpurgo, Milano, Ubulibri, 1984, p. 11.

(5) Si vedano in proposito: L'avventura del sipario, cit., p. 98; Francesco Galli Bibiena (1659-1739), Bozzetto di sipario per il Teatro di corte di Leopoldo I (1714), incisione di I. A. Pfeffel e C. Engelbrecht, cm 46.5x52.5, Monaco, Deutsches Theatermuseum.

(6) Si vedano in proposito: L'avventura del sipario, cit., p. 109; Felice Giani, Bozzetto per il sipario del Teatro di Tordinova, tecnica mista su carta, cm 46x53, Roma, Accademia di San Luca; Scuola di Felice Giani, Primo Disegno del Sipario per il Teatro Comunale di Bologna l'anno 1798, tempera acquerellata, cm 42.4x49, Colonia, Istituto per il Teatro.

(7) F. Farneti, S. Van Riel, L'architettura teatrale in Romagna 1757-1857, Firenze, Uniedit, 1975.

(8) Si veda in proposito: L. Torri, Varietà: a sipario calato, "Emporium", febbraio 1913, 218, p. 144, dove viene riportato con dovizia di particolari ciò che successe la sera dell'inaugurazione del Teatro di Reggio Emilia (21 aprile 1857), quando il sipario del Chierici raffigurante il Genio delle Arti fu oggetto di critiche molto aspre, che puntavano a screditarlo anche sulla base dei costi.

(9) L. Malusi, I sipari dei teatri di Romagna, cit, p. 88.

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