Rivista "IBC" XIX, 2011, 3

musei e beni culturali / storie e personaggi

Il 6 giugno di cinquant'anni fa si spegneva Carl Gustav Jung. A Ravenna, dopo una singolare esperienza di fronte ai mosaici del Battistero, seppe con certezza che "un fatto interno può apparire esterno e viceversa".
Immagini dall'inconscio

Giuseppe Muscardini
[Biblioteca dei Musei civici d'arte antica, Ferrara]

Nel cinquantesimo della scomparsa di Carl Gustav Jung potrà avere una qualche utilità rievocare un episodio significativo della sua vicenda biografica.1 A Ravenna ebbe un prodigioso abbaglio che avvalora la concezione da lui teorizzata in Ricordi, sogni, riflessioni, secondo cui nella psiche umana vi sono cose che non sono prodotte dall'Io, ma si producono da sé, e vivono di vita propria.2 Si dovrà risalire agli anni Trenta, quando il già affermato psichiatra, autore di numerosi saggi sull'inconscio e all'epoca presidente della Società internazionale di psicoterapia, si recò in Italia per dare continuità a quei viaggi e percorsi che erano alla base dei suoi studi sulla psiche umana. Affascinato dallo splendore dell'arte musiva che richiama da secoli i viaggiatori di tutto il mondo, lo psichiatra svizzero entrò insieme alla sua compagna di viaggio all'interno del Battistero Neoniano per ammirarne le pareti rivestite di preziosi mosaici.

Qui fu attirato dall'immagine di Cristo che allunga la mano a Pietro per salvarlo dalle acque del fiume in cui rischia di annegare, e ne tentò in loco l'interpretazione, disquisendo con la donna al suo fianco sul significato della morte e della rinascita in seguito al battesimo, a suo parere ben manifestato nella raffigurazione. Ma la sorpresa l'ebbe al ritorno dal viaggio, quando a Zurigo decise di approfondire le ricerche richiedendo a Ravenna una riproduzione fotografica di quel particolare del mosaico che lo aveva così colpito. Scoprì così che una rappresentazione di Cristo nell'atto di soccorrere Pietro, sulle pareti del Battistero Neoniano, in realtà non esisteva. Jung l'aveva solo percepita: si era trattato di un'illusoria parvenza originata in lui dall'incontro fra coscienza e inconscio, in una commistione di impressioni difficili da spiegare sul piano sensoriale.3

Il turbamento di Jung a Ravenna non era un fatto nuovo.4 Già vent'anni prima, nel 1914, aveva avvertito un senso di smarrimento davanti alla tomba di Galla Placidia, l'imperatrice romana figlia di Teodosio I. A quel punto, mettendo in relazione le due analoghe esperienze, fu naturale per lui richiamare alla mente il leggendario racconto sulla tempesta che nel 424 sorprese Galla Placidia quando da Costantinopoli attraversò il mare per raggiungere l'Occidente. La promessa e il voto di erigere una chiesa a Ravenna e di abbellirla con splendidi mosaici se fosse sopravvissuta ai flutti turbinosi, fu mantenuta dalla raffinata regnante e sorse così la basilica di San Giovanni Evangelista. Ma in epoca successiva un incendio devastò la chiesa e i mosaici andarono distrutti. L'associazione fra la perdita dei mosaici e la mancanza di qualcosa già visibile in precedenza, acquisiva la valenza di una privazione che dovette influenzare la sfera sensoriale di un individuo dotato di conoscenze storico-artistiche.5

Questa può essere la causa psichica della momentanea percezione visiva di Jung, tanto più credibile se si considera la condivisione dell'esperienza da parte della sua compagna di viaggio, che pure credette di vedere all'interno del Battistero Neoniano lo stesso mosaico. Anche quando una spiegazione fosse stata possibile, lo psichiatra risolse di annoverare il fatto tra i fenomeni e le cose della psiche che emergono spontaneamente dall'inconscio, seppure in assenza di condizioni plausibili per richiamarle. Nel volume autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni, si legge testualmente: "Il mio caso non è certo l'unico, di questo genere, ma quando ci capitano cose simili, non si può fare a meno di prenderle più sul serio di quando si sono solo sentite dire o si sono lette. In genere, di fronte a racconti di cose simili, si hanno pronte tutte le spiegazioni possibili: io, per parte mia, sono invece giunto alla conclusione che prima che si possa definire qualsiasi teoria nei riguardi dell'inconscio, ci sia ancora bisogno di farne molte, moltissime esperienze".6

Di esperienze Carl Gustav Jung ne ebbe molte, come viaggiatore, come studioso, come individuo dedito ai misteri della mente. Il rifiuto di una visione dogmatica della religione, il suo graduale allontanamento dalle teorie di Sigmund Freud, su cui peraltro si era formato nel tentativo di interpretare i sogni dei pazienti, non gli consentirono di dare al curioso episodio di Ravenna spiegazioni certe. Restava un mistero dell'anima, uno dei tanti: una visione onirica mai sfuocata in ambiguità, ma ben definita, e presente in lui anche a distanza di tempo. Tanto definita da poterne descrivere, come in un sogno di cui si conserva viva memoria, perfino i dettagli: i colori (l'azzurro del mare, riferisce Jung), l'ampiezza della raffigurazione e i cartigli riempiti con le parole di Pietro e di Cristo.

E un'aura di analoghe e metafisiche parvenze regnava anche il 26 febbraio 2011 nei locali della Libreria di viaggi Lilliput di via del Cerchio a Ravenna. All'interno si svolgeva la presentazione del Liber novus di Carl Gustav Jung, conosciuto come Il libro rosso e ripubblicato nel 2010 dalla casa editrice Bollati Boringhieri.7 Il viaggio interiore dello psicanalista, condito da immagini da lui stesso realizzate a corredo del testo, è stato riconsiderato dalla psicologa Giancarla Tisselli, che ha sottolineato il valore simbolico delle illustrazioni realizzate da Jung, soffermandosi in particolare su quella coloratissima di una nave in balìa di una tempesta, scossa dalle onde minacciose di un mare a tratti azzurro e a tratti verde.

L'evento ha riconvocato tra i presenti le emozioni e i sentimenti a cui cedette Jung nel trattare le sue intime visioni. Quelle che ebbe a Ravenna paiono dettate da un principio basilare a cui egli sempre volle attenersi quando volgeva il pensiero alla duplice natura del mondo reale, principio sintetizzato nell'aforisma da lui stesso coniato: "Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia". Eppure, quando si prova a far luce su questioni visceralmente sentite da altri, ma talvolta incomprensibili per molti, non deve mancarci la puntigliosa volontà di scavare oltre, di cercare tasselli e conoscenze probatorie a cui necessariamente certa mitografia deve soccombere. In nome di questa volontà, in un recentissimo articolo dal titolo Carl Gustav Jung due volte a Ravenna,8 Giovanni Montanari ha evidenziato le anomalie, le imprecisioni e gli anacronismi presenti nella descrizione fornita da Jung in merito alla sua curiosa esperienza ravennate del 1934.

La pur efficace testimonianza junghiana pare infatti viziata da elementi a cui oggi, con animo sereno, possiamo dare un'interpretazione. Riconsiderando minuziosamente i passaggi del capitolo IX, intitolato Ravenna e Roma, Montanari sottolinea con perizia alcune sviste che nell'economia del ricordo scritto di Jung acquistano non poca rilevanza. Vi è, per esempio, la questione della ricerca condotta in loco, all'epoca, per reperire le immagini fotografiche dei mosaici del Battistero Neoniano. La ricerca di Jung sarebbe avvenuta presso gli Alinari, ma nell'articolo si fa opportunamente notare come allora, a poca distanza dal Battistero, fosse presente l'Agenzia De Stefani, che commerciava in articoli religiosi, mentre gli Alinari erano fiorentini. Ma in relazione all'immagine (che peraltro non esisteva), prima ancora vi era stato un difetto nella lettura esegetica delle Scritture. Montanari ricorda come la richiesta di aiuto a Cristo da parte di Pietro trovi una conferma in Matteo 14, 24-32, a proposito di un momentaneo smarrimento dell'apostolo di fronte alla minaccia incombente di una tempesta di mare. E infine si registra un'ulteriore svista nella notizia relativa alla distruzione dei mosaici all'interno della chiesa di San Giovanni Evangelista, databile per Jung "nei primi secoli del medioevo", quando in realtà il più documentato Corrado Ricci, sovrintendente ai monumenti di Ravenna, riconduce la perdita delle preziose tessere al XVI secolo.

L'utile contributo di Giovanni Montanari non sminuisce certo il valore della "scoperta" visionaria di Jung. Semmai, nel tentativo di dare una risposta all'insorgere delle reiterate suggestioni ravennati, penetra e sonda i tratti dell'universo culturale a cui Jung afferiva; un universo non del tutto alieno da profonde impressioni religiose, da echi di un'austera formazione, da retaggi allegorici e "inquinamenti" esoterici. Ne registrò personalmente gli effetti anche Gabriele D'Annunzio, quando lodò Ravenna con versi ad alta densità simbolica: "Ravenna, glauca notte rutilante d'oro, / sepolcro di violenti custodito / da terribili sguardi, / cupa carena / grave d'un incarco / imperiale, ferrea, costrutta / di quel ferro onde il Fato / è invincibile, spinta dal naufragio / ai confini del mondo, / sopra la riva estrema!".9 Non è forse questo che si prova varcando le soglie di certe chiese di Ravenna, o nei camminamenti dietro San Vitale, illuminati di notte da una luce diafana e giallastra, sfondo ideale per quegli aspetti misteriosi della nostra mente che talvolta emergono con inquietante evidenza?


Note

(1) Si legga in proposito il recente articolo di E. Silvestri, Cinquant'anni fa moriva Jung, allievo e poi avversario del padre della psicanalisi, "Il Giornale", 3 giugno 2011.

(2) C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, raccolti ed editi da A. Jaffé, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 225-226.

(3) A. Cunningham, Jung in Ravenna. The Vision Fades, "Harvest. Journal of the C. G. Jung Analytical Psychology Club London", 51, 2005, 2, pp. 163 e seguenti.

(4) Sulla frequenza delle esperienze sensoriali in cui Jung incorse a Ravenna e altrove, si veda il circostanziato contributo di J. Hillmann, Plotino, Ficino e Vico, precursori della psicologia junghiana, "Rivista di psicologia analitica", 4, 1973, 2, pp. 326-331.

(5) Eloquenti le parole stesse di Jung: "La sua tomba mi sembrava come un ultimo vestigio attraverso il quale potessi avere con lei un rapporto diretto. Il suo destino e tutto il suo essere mi toccavano profondamente e nella sua natura fervente la mia 'anima' trovava un'adeguata manifestazione storica. Con questa proiezione fu raggiunto quell'elemento atemporale dell'inconscio e quell'atmosfera in cui poté aver luogo il miracolo della visione. In quell'attimo essa non differì minimamente dalla realtà. L'anima dell'uomo ha un carattere eminentemente storico. In quanto personificazione dell'inconscio essa è impregnata di storia e di preistoria, comprende gli elementi del passato e fornisce all'individuo quegli elementi che dovrebbe conoscere della sua preistoria. Per l'individuo 'l'anima' rappresenta tutta la vita del passato che è ancora viva in lui [...]. Dopo la mia toccante esperienza al Battistero di Ravenna so con certezza che un fatto interno può apparire esterno e viceversa": C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, cit., pp. 340-342.

(6) Ibidem, p. 342.

(7) C. G. Jung, Il libro rosso. Liber novus, a cura e con introduzione di S. Shamdasani, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.

(8) G. Montanari, Carl Gustav Jung due volte a Ravenna, "Annali Romagna 2011", supplemento di "Libro Aperto", 2011, 65, pp. 87-95.

(9) G. D'Annunzio, Le città del silenzio, in Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. Elettra, vv. 55-63.

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