Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
"Un mondo di spacciatori di idiozie presentate come grandi operazioni artistiche. Personaggi che non perdono occasione per citare Duchamp, Man Ray, Picabia, Brancusi... e nelle loro azioni dimostrano poi di non aver assimilato nulla della lezione di questi grandi maestri": così scriveva Dino Gavina nel catalogo della mostra da lui curata in occasione dell'inaugurazione della Galleria Accursio, nei vecchi sottopassaggi di piazza del Nettuno a Bologna. Era il 2004. Tre anni dopo la sua scomparsa, a questo imprenditore illuminato, partito da una piccola bottega di tappezzeria e diventato uno dei personaggi chiave del design italiano del Novecento, dal 23 settembre al 26 dicembre il Museo d'arte moderna della città ha dedicato una doverosa quanto completa retrospettiva.
Non era facile rendere giustizia a un personaggio tanto sfaccettato, imprenditore e artista, industriale ed editore, designer e istigatore di costumi, voce dissonante e anticonformista nel panorama culturale odierno, omologato e omologante. Ma la mostra, curata da Elena Brigi e Daniele Vincenzi, sebbene forse "tecnica", per addetti ai lavori, ci riesce. Ci riesce selezionando i nomi degli artisti che con lui hanno collaborato (Fontana, Duchamp, Ray, Matta, Oppenheim), e delle aziende che nel corso dei decenni si sono legate al marchio Gavina, e scegliendo per ogni tappa di esporre solo alcuni pezzi tra i più rappresentativi e simbolici: gli oggetti elementari di "Anonimo", la celeberrima sedia "Wassily", la sedia "Tripolina" o la "Diagramma" di Ignazio Gardella, il divano "Suzanne", la bellissima lampada "Arco" di Flos o la "Saori" (elegantissimo tributo di Takahama ai tagli di Fontana), la spregiudicata linea "Ultramobile" del 1971. Una serie di articoli che hanno fatto la storia del design, alcuni famosissimi e venduti ancora oggi, altri con intorno quell'aura futuribile d'antan che fa un po' sorridere.
Gavina è passato dall'ideazione e produzione di mobili ai corpi d'illuminazione, fino all'arredo urbano, perseguendo sempre una, magari semplice, idea di democrazia: l'utopia di portare la bellezza ovunque, di farne un bene alla portata di tutti. Con questo obiettivo primario, ha realizzato con i fratelli Castiglioni alcune lampade intramontabili, si è messo sulle tracce di Marcel Breuer per rimettere in produzione alcuni suoi progetti in acciaio tubolare dei tempi del Bauhaus, ha anticipato di una ventina d'anni l'Ikea insieme a Enzo Mari (ideando una serie di mobili scomposti in kit, con tavole di legno e chiodi da assemblare in maniera fai-da-te), ha chiamato Carlo Scarpa per realizzare il suo punto vendita in centro a Bologna (tuttora meta di turisti e studenti d'architettura).
Alla metà degli anni Cinquanta scopre Kazuhide Takahama, col quale intraprende un sodalizio che lo porterà nel 1983 a coronare la filosofia che sta sottesa a tutto il suo operato. Stiamo parlando di "Paradisoterrestre", iniziativa dedicata allo spazio urbano per cui studia un catalogo di arredi per l'esterno, ripensati in chiave contemporanea nei materiali, nelle linee e nel gusto. Panchine, fioriere, lampioni, cestini, portabiciclette, pensiline degli autobus, le stesse che ancora si possono vedere per le vie di Bologna. Negli ultimi anni la piega che aveva preso il mondo della cultura, e dell'arte in particolare, non gli piaceva. Sentiva probabilmente che, a causa dell'egemonia esasperata del mercato, si stava andando da tutt'altra parte rispetto a quell'utopia che lo aveva animato e che aveva inseguito per una vita, la stessa utopia che lo portò a fondare il Centro Duchamp, fucina non profit di sperimentazione che accoglieva artisti, designer e imprenditori, inaugurato a San Lazzaro di Savena alla presenza di Man Ray.
In quel catalogo della mostra alla Galleria Accursio scriveva ancora: "Viviamo un periodo dominato dalla banalità, dall'opportunismo, dall'ipocrisia, dove troppo spesso i mediocri prevalgono conosciuti e riconosciuti. Il mio obiettivo è semplice: reagire alla volgarità cercando di individuare artisti che operano con la consapevolezza acquisita dalla modernità... tutte forze vive che operano, senza clamore, lontani dall'effimero".
Atlante Gavina, Mantova, Corraini Edizioni, 2010, 109 pagine, 18,00 euro.
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