Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4
musei e beni culturali / mostre e rassegne
La mostra "Dissonanti Armonie", allestita in Palazzo Farnese a Piacenza dal 16 ottobre al 7 novembre 2010, è stata l'occasione per vedere affiancati quattro artisti che abitano settori disciplinari ed estetiche differenti tra loro: lo scultore Paolo Perotti, il fotografo Davide Rossi, il pittore Veniero e l'incisore Roberto Tonelli. Non basta dire che tre sono votati alla figurazione e uno all'informale (Veniero), o che tre sono votati alle due dimensioni e uno al tutto tondo (naturalmente Perotti), o ancora che due lavorano sull'idea di pezzo unico (Perotti, Veniero) e due sull'idea di riproducibilità (Rossi, Tonelli): occorre proprio tener presente che si tratta di artisti con percorsi totalmente divaricati, con un sentire l'uno diverso dall'altro, con idee di mondo non conciliabili. E allora, perché questa mostra?
Il senso andrà cercato nella scelta che sta a monte, che è quella del fare arte. Perché chi fa questa scelta - non importa secondo quali direttive, non importa per quale profondo credo - si va comunque a collocare nello schieramento di chi consacra la propria vita alla fatica e la espone alla possibilità dell'insuccesso. In un'epoca in cui le cose vanno come peggio non potrebbe, la società civile chiede molto agli artisti: da un lato che sappiano interpretare quello che sta accadendo, dall'altro che siano in grado di offrire rassicurazioni, ricomponendo i frammenti e dando loro forma. E la ricompensa è sempre più esigua, il mercato del contemporaneo si ferma, e si concepisce la bellezza come sottomessa alla gratuità.
Hanno fatto bene quindi Perotti, Rossi, Veniero e Tonelli a promuovere "Dissonanti Armonie". Perché hanno dato un segno di presenza a una città, Piacenza, che ha sì sviluppato nel Novecento un collezionismo affezionato alla produzione locale, ma non ha saputo allo stesso tempo riconoscere un ruolo sociale agli artisti: nel tempo le opere si sono vendute, però gli artisti sono stati lasciati da parte. Ma di che artisti si tratta, nello specifico? A legarli sono le descrizioni di atmosfere temporali ben precise, l'una diversa dall'altra ma tutte collocabili su una stessa linea.
L'arte di Perotti è primordiale, racconta un mondo mitico che se non è stato appena creato è senz'altro ancora giovane. Le sue figure dai tratti squadrati, refrattarie al colore, sono i nostri leggendari antenati, sono uomini e donne di grande forza perché all'inizio dei tempi il vigore del mondo era maggiore. C'è poi Tonelli, con i suoi paesaggi che mostrano la mano dell'uomo, ma di un uomo che si nasconde. Ecco allora che c'è stato il progresso (esistono le case, le barche), ma ancora gettiamo lo sguardo su un passato di decenni fa, dove i computer, i cellulari e anche solo gli elicotteri non hanno cittadinanza. In un pulviscolo di segni innamorato della tradizione delle nostre terre. Negli anni Settanta si svolge il viaggio americano di Rossi. Certo, l'ha compiuto di recente, ma i colori saturi che utilizza ci riportano a modalità d'immagine molto diffuse in quel periodo e inoltre la bella serie "American memory" testimonia cimeli che ci riportano indietro. Che tempo infine catturano le opere di Veniero? È il tempo fuori dal tempo, perché la sua maniera, che beccheggia tra informale e astratto, appartiene a una memoria di forme e di colori che sta alla base dei pensieri, che è degli uomini di sempre.
Un'ultima notazione: Paolo Perotti ha portato in mostra anche un'opera inedita realizzata insieme a Lodovico Mosconi ma mai collocata. Si trattava di una cancellata dovuta a Mosconi, morto nel 1987, a fianco della quale faceva capolino una figura di Perotti. Un esempio di arte sacra dell'oggi che ci pare ancora praticabile.
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