Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, restauri, pubblicazioni

Per una nuova cultura del recupero architettonico, capace di imparare dagli errori: il caso del monastero benedettino di San Pietro a Reggio Emilia.
La ritrovata armonia dei numeri

Franca Manenti Valli
[architetto, già consigliere dell'IBC]

"Siamo divenuti [...] incapaci di riconoscere nel supremo libro di pietra del monumento e della fabbrica storica significati e influssi, nessi e consonanze, ritmi e ragioni, frutto sedimentato di un sapere e di un paradigma mentale che cesure e fratture epocali ormai sembrano precludere". Così Ezio Raimondi nell'introduzione al volume Oltre misura, un testo che ha raccolto i risultati di una lunga e complessa ricerca, concretizzata in una proposta di restauro e recupero del monastero benedettino di San Pietro a Reggio Emilia.1 Una fabbrica cinquecentesca pesantemente alterata, in talune parti, nel lungo tempo che va dalla prima costruzione monastica all'uso militare del secolo scorso.

Proprio gli apporti multipli e incongrui subìti da questa fabbrica hanno sollecitato la necessità di tornare a leggere in modo esaustivo il lessico originario, a riappropriarsi del vocabolario simbolico-teologico-matematico che trattiene i paradigmi del costruire, a interpretare il pensiero iniziale che ne ha delineato la forma. In questo senso la ricerca è un primo passo verso la definizione di una nuova metodologia di analisi per interventi su architetture storiche soprattutto dismesse, come in questo caso, e in attesa di una destinazione altra da quella iniziale. Una strada aperta per guidare il percorso di riqualificazione e riuso che dovrebbe essere contemplato nella normativa che attiene a questo settore.

Più di una sono le discipline che interagiscono da sempre nel comporre edile, un comporre "umanistico" in costante riferimento alle arti del quadrivio, perfetta sintesi di saperi, scienza e téchne. Un'interazione feconda di cui oggi ci si dimentica, essendo andati dispersi, insieme a molte delle opere o quantomeno al loro originario assetto, anche i termini fondanti di una puntuale esegesi. Il recupero architettonico costituisce dunque un'occasione imperdibile per comprendere il pensiero e la prassi esecutiva dei maestri costruttori e per svelare i princìpi e le ragioni che presiedevano la realizzazione delle grandi fabbriche del passato.

È infatti solo adottando una linea esegetica e una prassi operativa che si può riproporre con chiarezza lo spirito originario; è solo mettendosi in sintonia con il costruire còlto del passato che è possibile riproporre un dialogo tra "nuovo e antico", componendo il fragile equilibrio tra conservazione e libertà di interpretazione. Per stabilire un'"appropriata forma di riuso" che, come indicava la Carta della conservazione e del restauro del 1987, contribuisca ad assicurare la sopravvivenza. Se, stando ancora alla Carta, "compito del restauro architettonico è interpretare un manufatto storico", diviene necessario "formare squadre di veri 'conoscitori'" attingendo a professionalità di diversa estrazione disciplinare.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto legislativo 42-2004) perde però lo specifico riferimento all'architettura, limitandosi a definire una generica conservazione che deve essere assicurata "mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro". Attività tutte non meglio delineate. Nella formulazione della legge nazionale, poi, i beni mobili e immobili sono normati insieme, anche se viene auspicato che "linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali" siano definiti dal "Ministero [...] con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti". Ma non risulta a tutt'oggi che tali linee di indirizzo siano state predisposte, almeno in forma immediatamente accessibile e sistematizzata.

Quello proposto dalla ricerca reggiana potrebbe essere dunque un suggerimento che, di concerto con le soprintendenze regionali, proponga al Ministero criteri selettivi e indicazioni oggettive sul territorio di competenza. Una pluridecennale esperienza sul campo e il determinante confronto con altre professionalità ci hanno consegnato la sola prassi operativa vincente: identificare la regola che dà ordine all'impalcatura strutturale e imprime le proprie ragioni e il proprio ritmo all'intero sistema costruttivo; regola che sola costituisce la base reale di una conoscenza esaustiva dalla quale derivare proposte di utilizzo motivate e partecipate. Per superare la soggettività delle interpretazioni e maturare un consenso che accordi progettazione, committenza, tutela.

Invece lo studio dei caratteri originari e dell'evoluzione delle fabbriche storiche, oggi, viene affrontato dopo la scelta di destinazione. Il processo andrebbe in realtà rovesciato: ritrovando i metodi dell'operatività antica, reinterpretando alla loro luce elementi, segni, testimonianze, e rendendo conseguente il progetto di recupero. Si passerebbe così, in modo naturale, dall'analisi al progetto, dal campo della ricerca a quello dell'applicazione, laddove la natura stessa della disciplina architettonica richieda cambiamenti di ottica. E si potrebbe anche fare - realmente - comunicazione: ridando voce ai messaggi e alle valenze espressi nelle fabbriche storiche e accordandoli alle nuove esigenze, ai nuovi paradigmi, alle nuove tecniche, ai nuovi materiali, in un dialogo tra passato e presente davvero creativo e propositivo.

Il caso del monastero benedettino di San Pietro a Reggio Emilia è in tal senso emblematico. Passato dal demanio all'amministrazione locale, una convenzione tra Ministero, Comune e Università ne aveva fissato la destinazione d'uso, poi parzialmente rivista, a prescindere da qualsiasi indagine sulla facies originaria e dalla motivazione prima dell'opera. I lavori, avviati ormai da anni, hanno seguìto una sequenza discutibile, facendo precedere il restauro degli apparati decorativi all'analisi e al progetto di recupero architettonico. Condotti nella totale assenza di un progetto di comunicazione che partecipasse le peculiarità del manufatto e il conseguente percorso di recupero, questi lavori hanno evidenziato un modo di procedere anomalo, proprio in una città che ha visto, in altri casi, un ricercato e insistito coinvolgimento. Inspiegabile anche la mancata ricerca di partner privati, che avrebbero contribuito a livello economico e propositivo: prassi, oggi, ovunque attuata, e prevista anche dall'attuale legislazione, all'articolo 120 del Codice del 2004.2

Seguire la linea interpretativa sopra delineata si sarebbe tradotto, nel caso specifico, nella valorizzazione e nell'esaltazione dei segni-cardine, testimonianze ed espressioni della struttura originaria, che si propongono secondo modalità diverse: alcuni svelano le proprie ragioni solo se misurati e trasferiti in unità locali, altri invece sono chiaramente visualizzati e percepibili già nel disegno della struttura. "Poi mi fu data una canna simile a quella dell'agrimensore e mi fu detto: Alzati e misura il Tempio di Dio".3 Con queste parole, nell'isola di Pathmos, l'apostolo Giovanni viene esortato a compiere quello che è un vero e proprio atto di conoscenza.

È infatti solo attraverso la misurazione, atto fondante dell'architettura, che si è potuto comprendere come al numero 7 - lato del chiostro piccolo in pertiche reggiane, e modulo compositivo delle piante di entrambi i chiostri - sia affidato il significato metafisico dell'opera. Gli spazi aperti e coperti, misurati in braccia, dichiarano invece l'utilizzo sistematico dei numeri della progressione aurea di Fibonacci, qui come altrove strumento esecutivo per un rapido e corretto dimensionamento: 5 sono infatti le campate del chiostro piccolo e 8 le finestre lunettate del piano di fondazione del chiostro grande, a significare non solo numeri emblematici scelti quali valori trascendenti, ma anche orditura e passo della struttura pensata all'origine. Sottolineate di giorno da un disegno geometrico cortilivo per rimarcarne la scansione, illuminate di notte per riproporre il tema attraverso la luce, le finestre avrebbero potuto dichiarare la regola proporzionale della fabbrica. Ineludibili indicazioni del tutto ignorate nel procedere dei lavori, segni distintivi cancellati dai tamponamenti. Negata, così, la possibilità di riconoscere il senso primo della fabbrica.

Altra eccezionalità è l'insolito ma motivato sfalsamento dei chiostri, straordinario accorgimento di matrice matematica che genera direttrici visuali da esaltare. L'area di raccordo, uno spazio apparentemente anonimo, si è invece svelato come vero nodo focale dell'intera fabbrica, giunto di collegamento fra le prospettive dominanti, cardine attorno cui si dispongono in modo singolare le aree claustrali. La scoperta del suo significato funzionale e simbolico di unità di misura, di parametro iniziale a cui era stato affidato il dimensionamento del complesso, suggerisce una rinnovata centralità, quale sede dei collegamenti verticali e incontro mirato di quelli orizzontali; una centralità che, restituita, correggerebbe le alterazioni operate al momento dell'uso militare del complesso.

Alterazioni incongrue e inspiegabilmente conservate. Come del resto - ed è il caso più eclatante - i piani di calpestìo degli invasi claustrali. Nel chiostro piccolo, sintesi di significati emblematici e scena di giochi cromatici tra la bicromia delle colonne e il verde del prato, l'originario tappeto erboso è ora accuratamente sostituito da sassi; laddove, nei monasteri, il verde dei chiostri e degli orti ricordava la condizione originaria dell'Eden.4 Nel chiostro grande - del cui piano cortilivo avevamo da tempo riconosciuto l'abbassamento di quota e restituito graficamente l'esatto livello - non sarà riproposta la platea iniziale, che rendeva lo spazio "architettura".

Sempre dalla conoscenza dell'idea originaria scaturiscono proposte creative che oggi risolverebbero i problemi organizzativi e distributivi: un esaltante coinvolgimento di affacci, rimandi visivi, articolazioni spaziali, proiezioni ottiche, in dialogo immediato con le mirabili architetture cinquecentesche.

Emergono, per la fabbrica di San Pietro, motivazioni così alte del suo essere forma, spazi così emozionanti di un'architettura pensata e simbolicamente fondata, che altrettanto alto, eloquente, "europeo" dovrebbe essere il riuso, in modo da accordare le esigenze attuali alle forme intellettuali del costruire antico. In una destinazione univoca dei tre corpi di fabbrica che insistono sull'area, inscindibili dagli spazi claustrali e complementari alla loro fruizione. Un utilizzo di importante significato culturale e di coerenza progettuale dovrebbe inoltre comprendere la pluralità dei linguaggi dai quali ha preso vita il progetto originario. Primo modello di un approccio che dall'interpretazione dei valori sapienziali tragga la proposta creativa e ponga in essere la realizzazione esecutiva.

L'antico monastero potrebbe divenire il luogo dove si svolgono, a livello accademico, programmi che affrontano l'interazione tra le discipline del mondo scientifico, tecnologico e artistico. In questo senso, appunto, una destinazione quale "Centro di studi a matrice numerica" (matematica, musica, architettura, poesia, scienza) ribadirebbe il riconoscimento del programma culturale implicito nella concezione iniziale. Tanto più che un eventuale utilizzo come sede di master di alto livello dell'Ateneo di Modena e Reggio Emilia rientrerebbe nella convenzione tra Ministero, Comune e Università. Lo spirito originario del progetto si schiuderebbe di nuovo alla contaminazione, oggi troppo disattesa, fra saperi un tempo connessi, e la città ritroverebbe un importante elemento della sua storia e della sua identità.

Dall'esito sconcertante dell'intervento in fieri sul monastero reggiano emerge immediata l'esigenza di proporre al legislatore, in casi così complessi e di indiscusso valore artistico, norme che impongano un approccio responsabile e modellato su una consolidata metodologia di analisi. Tracciando un sentiero. Formalizzando una prassi condivisa da tutti gli attori presenti sulla scena del recupero architettonico. Ponendo come primo, dovuto, irrinunciabile atto la lettura del "supremo libro di pietra", con tutti i suoi "significati e influssi, nessi e consonanze, ritmi e ragioni".


Note

([1]) F. Manenti Valli, Oltre misura. Il linguaggio della bellezza nel monastero benedettino di San Pietro a Reggio Emilia, Modena, Franco Cosimo Panini, 2008.

(2) "È sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale", Decreto legislativo 42-2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio, articolo 120.

(3) Apocalisse 11, 1.

(4) Nel giugno scorso, quando l'erba ancora campiva lo spazio aperto, il luogo aveva dato prova della sua perfetta acustica accogliendo una Suite di Bach, eseguita in una notte indimenticabile dal maestro Mario Brunello.

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