Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / pubblicazioni, storie e personaggi
Testimone silenzioso di più di cinque secoli di storia reggiana, il monumentale palazzo Manenti, già Panciroli Trivelli, si affaccia sul corso della Ghiara, l'attuale via Garibaldi. Dal Quattrocento all'epoca napoleonica, quando il Bonaparte vi sostò tre volte (una per l'istituzione del Tricolore, nel 1797), questa residenza nobile rappresentò, nello scenario di una città di palazzi, un episodio architettonico rilevante. Se è vero che la storia di un edificio ripropone, con la sua vicenda, una parte della vita cittadina, allora leggere questo episodio significa ripercorrere pagine di storia, civile, dinastica, architettonica e figurativa. Questo è il proposito di Maria Pia Manenti, Maria Cristina Costa, Francesco Lenzini e Massimo Pirondini, autori di una monografia dedicata al palazzo.
Prima di tutto il sito: l'alveo del Crostolo, sede di insediamenti antichi e fulcro dell'assetto urbano da quando, allo scadere del Cinquecento, l'eco dei prodigi e il santuario della Beata Vergine della Ghiara trasformarono il "corso" in una strada importante. Qui dove ogni maggio, in onore della Madonna di Reggio, si teneva una fiera famosa, i "vip" vollero una dimora. Sorsero così, negli anni, il palazzo dei duchi, quelli dei Magnani e della famiglia Rangoni, che prospettarono, con le facciate, sulla grande via chiusa come da un fondale dall'Oratorio del Cristo: uno "scrigno" per un Crocifisso miracoloso.
Su questo luogo, "piazza" per manifestazioni civiche e religiose, il generale delle truppe francesi, l'allora giovane Napoleone, tenne un comizio, e si affacciò a un "balconcino" dei Trivelli. Lì (nel palazzo che diverrà Manenti solo dopo il 1931) l'imperatore tornò nel 1805, e in quell'occasione un apparato effimero venne disteso sull'architettura, progettata nel 1786 dal Marchelli. Che l'edificio fosse sede di rappresentanza lo si deduce dalla corte d'onore, una struttura cinquecentesca voluta dai Panciroli, sulla quale lo scenografo Vincenzo Carnevali, all'aprirsi del XIX secolo, affrescò un trompe l'oeil: sono atri, loggiati, fughe, che con un'accelerazione prospettica straordinaria dilatano gli spazi all'infinito.
Oltre a questo saggio della pratica teatrale reggiana, il cortile conserva, fortunatamente, tracce delle decorazioni precedenti. Sempre a un incarico dei Panciroli, databile al 1628, risalgono Le Beatitudini, quasi un "prolungamento" del cantiere pittorico della Ghiara. È possibile, infatti, per Massimo Pirondini, riconoscere negli affreschi un intervento di Luca Ferrari, impegnato nel santuario in quegli stessi anni al seguito del Tiarini e di Carlo Bonone. Al piano nobile si susseguono poi le decorazioni commissionate dalla famiglia Trivelli. Nella camera di Napoleone, motivi a tempera ornano allegorie, mentre gli stucchi richiamano l'atelier degli Albertolli per confronto con le ornamentazioni eseguite da questi stessi artisti a Parma, nella salle à manger del palazzo Sanvitale.
Una cultura figurativa "alta", quindi, voluta dai Trivelli per allietare le serate degli ospiti "di riguardo": oltre al Bonaparte, la principessa d'Etruria, il Viceré Eugenio Napoleone e Gioachino Murat, che risiedette nell'appartamento per più di un mese. Un bel capitolo di storia, ripercorso dagli autori e documentato nel dettaglio dalle illustrazioni del volume.
M. P. Manenti, M. C. Costa, F. Lenzini, M. Pirondini, Palazzo Manenti a Reggio Emilia, Calenzano (Firenze), Conti Tipocolor, 2009, 192 pagine, [senza indicazione di prezzo] edizione limitata e fuori commercio.
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