Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

musei e beni culturali / corrispondenze, mostre e rassegne

Anniversari e grandi eventi, a Parigi, sono ancora un modo per reagire alla crisi e creare opportunità culturali.
Gli anni che contano

Valeria Cicala
[IBC]

Un anno assai difficile anche per la Francia, il 2010, sebbene costellato di ricorrenze e di eventi che richiamano pubblico e l'attenzione dei media: per citarne alcuni, i trent'anni dalla morte di Roland Barthes, oppure i cento da quella del fotografo Nadar, al secolo Gaspar-Félix Tournachon, l'amico degli impressionisti, dei quali ospitò nel suo studio la prima mostra nel 1874. Ma i mezzi di comunicazione, soprattutto quelli stranieri, hanno sottolineato le difficoltà della capitale francese, e come questa si mostri appannata, rispetto ai suoi standard abituali, anche nell'ambito della cultura: è di pochi mesi fa la rinuncia al progetto di Jean Nouvel per la Tour Signal, alla Défense. E quello che, con la sua realizzazione, doveva costituire un segno della rinnovata grandeur diviene, nel vuoto che crea, il segno architettonico della crisi, non solo immobiliare.

Il presidente Sarkozy, non pago della pesante disfatta alle elezioni regionali, "migliora" la sua immagine con i provvedimenti nei confronti dei rom e tenta di recuperare popolarità persino frequentando il set di Woody Allen (che sembra in grado di far recitare financo la marmorea modella presidenziale!). E tuttavia, nel crescente disagio sociale ed economico, va dato atto che Parigi, per sua fortuna, anche in una temperie finanziaria pesante, non sembra considerare secondario lavorare a progetti culturali e onorare adeguatamente personaggi ed eventi della sua storia recente.

Guardiamo, per esempio, quanto succede uscendo dalla prima cinta della città, andando verso la banlieue, seppure ancora in un contesto focalizzato sugli studi: l'Université Paris 13 Nord (www.univ-paris13.fr). Questa "université d'avenir", come la definisce la brochure che si può recuperare all'ingresso del campus principale di Villetaneuse, è situata nel dipartimento Seine-Saint-Denis, e il suo edificio centrale è stato ribattezzato camembert per le linee architettoniche. Questa istituzione, articolata su 4 campus, festeggia quarant'anni di attività, come annuncia uno striscione posto all'ingresso: ecco un primo anniversario tra i tanti in cui ci imbatteremo. Oltrepassato l'ingresso, si propone immediata una realtà giovanile in cui predomina l'elemento di colore, lo stesso che popola stabilmente questa località e le tante contigue. Il taglio degli occhi e il velo, seppure raro, che copre i capelli di alcune ragazze, si conciliano con jeans attillati, scarpe da tennis o tacchi esasperati. Ma raccontano la consistente componente magrebina, di ragazzi e di adulti per la maggior parte nati in Francia.

I segni delle recenti manifestazioni di protesta per i provvedimenti del Ministero dell'Istruzione, che penalizzano i giovani universitari, comunicano attraverso volantini, manifesti informali, e rare scritte sulle pareti, quanto l'università sia sentita da questi studenti come un'opportunità ancora riservata a una fascia limitata nel loro orizzonte. La si vive come un'occasione di affermazione, di normalizzazione del proprio status. Un motivo d'orgoglio per essere usciti da un'area anche solo mentalmente recintata: la banlieue può davvero essere un muro difficile da sgretolare. La Rive Gauche può essere molto più lontana delle 8 fermate che si impiegano per giungere qui, prendendo il metrò al Jardin du Luxembourg e cambiando alla Gare du Nord: neanche mezz'ora in tempo reale, ma una distanza infinita se manca un confronto egualitario di responsabilità, di torti e di ragioni.

Il multiculturalismo, sbandierato un po' ovunque, non solo in Francia, non risolve; è espressione vuota se non è alimentato da profonde convinzioni democratiche, da un impegno costante che non scivoli nell'incapacità di frantumare schemi sociali e ricomporre nuove identità. Si studia assai volentieri a Paris 13 Nord, ma senza sussidi o borse di studio è difficile arrivare fino in fondo, è facile restare fuori, essere risucchiati da un quotidiano di esperienze ambigue e di occasionali lavoretti. Se si frequentano le lezioni o qualche seminario, anche arrivando da fuori o forse proprio per l'estraneità al contesto, si può percepire il clima di questa università, che ovviamente offre uno spaccato piuttosto diverso da quello della Sorbona. In queste aule dalle larghe vetrate c'è un'atmosfera di ricerca e di curiosità meno formale, ma carica di vita e di contaminazioni. Gli spazi sono un po' deteriorati, ma le attività collaterali, quelle in cui i giovani si esprimono in prima persona, sono diverse: ci si afferma anche così, non solo sostenendo esami.

In questo stesso contesto, un'altra data che ha offerto lo spunto per apposite manifestazioni è la nascita, cinquant'anni fa, di due personaggi del mondo dei fumetti: Asterix e Obelix. In realtà i due Galli, o Celti che dir si voglia, da sempre impegnati a difendere il loro villaggio dai Romani, fecero la prima uscita il 29 ottobre del 1959, grazie alla matita di Albert Uderzo e ai testi di René Goscinny, ma i festeggiamenti si stanno protraendo e l'Université Paris 13 è particolarmente coinvolta. A Bobigny, infatti, dove è situato uno dei suoi campus, viveva Uderzo all'epoca in cui nacque Asterix e, per uno strano gioco del destino, il campus stesso è situato nell'area di un antico villaggio celtico poi divenuto romano (lo hanno assicurato gli scavi condotti per oltre vent'anni). L'archeologia ha restituito una documentazione capillare dell'insediamento preromano, mentre il suo toponimo è proprio legato alla fase successiva. C'è anche un fumetto che coniuga un racconto di fantasia con i dati dello scavo: La lègende balbynienne.

Nel marzo scorso, l'università ha organizzato una mostra e una serie di incontri dal titolo "Drôles de Gaulois", che hanno coinvolto più dipartimenti. Le iniziative hanno avuto un grande successo perché la bande dessinée, il fumetto, è già da tempo un soggetto di studi in Francia e, proprio per questo, l'evento non rischia quel carattere enfatico o un po' nazionalistico che stonerebbe in un tessuto culturale e sociale come quello di Villetaneuse, ma propone un'osmosi tra l'approccio alle origini del luogo e alle vicende della storia e l'ironia debordante dei personaggi disegnati. Un modo per sdrammatizzare antichi conflitti sempre di attualità: un messaggio subliminale, forse, c'è. Del resto, una buona politica culturale si crea con eventi che non propongano solo manifestazioni di grande richiamo, ma tentino di costruire riferimenti comuni, di comporre trame, oltre che d'ordine intellettuale, di ancoraggio quotidiano per chi vive in un territorio.

Rientrando per la Gare du Nord nel "perimetro" dei grandi musei, un altro omaggio si adombrava al Musée Maillol (www.museemaillol.com). Questa volta dedicato a un italiano, a quattrocento anni dalla sua morte, e in effetti la mostra "C'est la vie. Vanités de Caravage à Damien Hirst", curata da Patrizia Nitti e Claudio Strinati, la si può definire uno strepitoso memento mori. Si tratta di un percorso tra ben 160 opere di rilevante bellezza, come pure tra approcci assai diversificati per i materiali impiegati, soprattutto quando si giunge alla contemporaneità.1 A dispetto del titolo, l'esposizione, seppure non in ordine cronologico, muoveva dalla compagine pompeiana, che si poneva come eloquente preambolo attraverso un grande mosaico raffigurante un teschio e altri oggetti: una farfalla, la ruota della fortuna, le vesti da ricco e da povero, tutti segni della precarietà umana. C'era anche una squadra: un invito, neanche tanto velato, alla misura che, restando in clima campano, rimanda ai versi caustici di una celebre poesia di Totò, A livella. Ma la fine della stessa Pompei, sotto la cenere del Vesuvio, rimane la più esplicita rappresentazione della vanità dell'onnipotenza terrena.

Segno iconografico dominante, fin dalle tessere del mosaico romano, e poi declinato in tutti i tempi e in ogni tipo di oggetto, compresi straordinari gioielli, era il teschio. Diversi i moniti e le allegorie della tradizione classica, sia pagana che cristiana, ma il percorso sembrava più focalizzato sul rapporto, a volte ossessivo, con la morte, soprattutto negli autori del Novecento. Il nostro tempo non vuole parlarne e la si esorcizza in ogni modo, ma è lei la protagonista che, forse per scaramanzia, anche il titolo dell'esposizione ignora, oppure cita con un giro di parole. E, del resto, proprio nel titolo, la citazione del nome di Caravaggio non era un semplice riferimento cronologico bensì il segno di una relazione profonda con la tormentata fragilità umana.

Le tematiche di questa mostra, in qualche modo, si intersecano con l'argomento di un'altra, allestita tra marzo e giugno al Musée d'Orsay (www.musee-orsay.fr). Curata da Jean Clair, "Crime et Châtiment" ha ripercorso due secoli per raccontare il rapporto con la pena di morte: dal 1791, anno in cui Le Peletier de Saint-Fargeau ne invoca la soppressione, fino al 30 settembre 1981, data in cui il parlamento francese vota la sua abolizione. "Delitto e Castigo": il titolo preso da Dostoevskij già adombra la scansione espositiva, imperniata sul rapporto che la letteratura, la comunicazione, l'arte e il cinema hanno avuto con l'argomento.

Oltre a proporre una riflessione sul Male, sulla violenza che intride l'anima e l'estetica della condizione umana, sebbene il curatore abbia escluso esplicitamente "il delitto di massa, vale a dire la guerra e il genocidio" per concentrarsi sul crimine individuale,2 una mostra come questa aiuta a non smarrire una profonda esigenza di pietas, tanto necessaria a noi tutti. E a meditare su quanto la pena capitale sia vergognosamente attuale, sullo stillicidio quotidiano di morte inflitto a milioni di persone, sulla furia omicida che si dissimula in tante azioni collettive, non solo nelle forme codificate. Clair è sempre capace di sollecitare lo spirito critico del visitatore, di porlo di fronte a pesanti interrogativi; non dimentichiamo che tra l'autunno del 2005 e l'inizio del 2006 propose al Grand Palais un'altra mostra di fortissima suggestione: quella dedicata alla Malinconia.3

Dall'atmosfera inquietante di una mostra così complessa può essere rasserenante passare al Louvre per immergersi, inaspettatamente, nel cromatismo mediterraneo di Cy Twombly. L'appartato e mitico artista virginiano, che da decenni vive in Italia, a Gaeta, ha affrescato il soffitto della Sala dei Bronzi, al primo piano dell'ala Sully (www.louvre.fr). Vi domina un azzurro intenso e tutta la composizione suggerisce pianeti e una dimensione spaziale in cui si leggono, scritti in greco, i nomi di grandi artisti dell'antichità. Forse, è proprio un'idea di eternità, di superamento della morte attraverso la forza dell'arte che l'opera vuole comunicare. Seppure in un momento difficile, insomma, le opportunità di carattere culturale che la città propone sono svariate e si avvertono, tra molte di esse, sotterranee e persino involontarie connessioni.

Un'ulteriore suggestione è quella proposta dalla Maison de Victor Hugo, situata nell'armonico quadrilatero della Place des Vosges. Qui, fino al 4 luglio, una mostra ha accostato al poema dello scrittore, Les Orientales, una serie straordinaria di opere d'arte che trattano tematiche affini (www.paris.fr/portail/loisirs/Portal.lut?page_id=5852). I versi di Hugo si compenetrano con i quadri e vi si ritrova quella malia e quel rapporto di misteriosa fascinazione che profondamente attraversa il legame degli artisti occidentali con il Vicino Oriente tra la fine dell'Ottocento e gli esordi del secolo successivo. Il pensiero va alla Salammbô di Gustave Flaubert, il romanzo ambientato a Cartagine, ma i rimandi sono molteplici. Il confronto con le radici degli altri si ripropone, seppure in modo assai diverso da come succede nelle aule di Paris 13. Continuiamo a guardarci e a incontrarci con reciproca attenzione e rispetto.


Note

(1) La mostra è stata allestita dal 3 febbraio al 28 giugno 2010: www.museemaillol.com/content_vanites/annonce_vanites.pdf.

(2) B. Craveri, Delitto e Castigo. Clair: "Perché l'arte ama il crimine", "la Repubblica", 16 marzo 2010, p. 60.

(3) Si veda in proposito: V. Cicala, I colori di Saturno, "I martedì", XXX, 2006, 240, pp. 43-45.

Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it