Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

musei e beni culturali / inchieste e interviste, mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

Conversando con Tullio Kezich, Riccardo Aragno ricorda l'amico Federico Fellini: le notti di lavoro per la radio, i lunghi pomeriggi al cinema, l'amore-odio per Stanley Kubrick... E una meta comune: restare nel campo dell'allegria.
Il sole fatto in casa

Riccardo Aragno
[sceneggiatore e commediografo]
Tullio Kezich
[giornalista e sceneggiatore]

In occasione della mostra "Fellini. Dall'Italia alla luna", promossa dal Museo d'arte moderna e dalla Cineteca di Bologna dal 25 marzo al 25 luglio 2010,1 il sito web dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna ha dedicato al regista riminese uno speciale:www.ibc.regione.emilia-romagna.it/wcm/ibc/menu/dx/07parliamo/storico/fellini.htm. La rivista "IBC", rendendo omaggio anche a Tullio Kezich, ripropone un'intervista a lui rilasciata da Riccardo Aragno nell'ottobre del 1998, durante il convegno "Fellini autore di testi. Dal 'Marc'Aurelio' a Luci del varietà(1939-1950)", organizzato dalla Fondazione Fellini, dall'Università di Bologna e dall'IBC. Il testo fa parte degli atti, pubblicati nella collana dei "Quaderni IBC".2


Tullio Kezich - L'intervento che segue, annunciato come Fellini e il varietà, è in realtà qualcosa di diverso. Certo, caro Riccardo Aragno, da giovani, con Federico, oltre a frequentare gli avanspettacoli avete fatto anche qualcos'altro, di cui ora ci parlerai. E stavolta non posso dire, come si fa di solito, che il nostro ospite "non ha bisogno di presentazioni", perché Riccardo ostenta un po' la civetteria di essere il "milite ignoto" dello spettacolo fra due mondi: Italia e Inghilterra. E infatti cerchereste invano "Aragno" alla lettera A delle enciclopedie e dei repertori. Forse perché, avendo Riccardo fatto duemila cose, i compilatori hanno paventato che occupasse troppo spazio; forse perché, come ho già detto, è lui che si nasconde. Questo signore, oltre ai suoi meriti personali che in parte rivisiteremo, è una specie di pezzo unico, perché è riuscito a essere, ai tempi della bohéme romana, il compagno inseparabile di Fellini e, da più grandicello, un grandissimo amico di Stanley Kubrick, con il quale è tuttora in rapporti stretti. Dunque: Riccardo Aragno, nato a Torino (non ti chiederò quando, perché il fatto di non avere la voce nell'enciclopedia deve pur implicare qualche risvolto positivo)...

Riccardo Aragno - Flaiano era del '10, Federico del '20, io stavo in mezzo: nasco nel '15.

Kezich - Da quale tipo di famiglia?

Aragno - Borghese. Altoborghese, se vogliamo.

Kezich - Scuole?

Aragno - Il Collegio San Giuseppe.

Kezich - So che sei molto fiero di questo collegio, che è dei Fratelli delle scuole cristiane, perché era la scuola frequentata dagli Agnelli.

Aragno - Certo, anche dagli Agnelli.

Kezich - E da altri ottimati. Poi ti iscrivi alla facoltà di Architettura.

Aragno - Succede che io, amante della fotografia e della pittura, e sognando il grande amore di cui stiamo parlando [il cinema, ndr] decido di fare uno studio su come si dovrebbero piazzare le luci per fare delle buone foto della grande arte del Rinascimento. Mi becco così una borsa di studio a Berkeley, preparo le valigie e vado a chiedere il passaporto. "Manca l'iscrizione al partito" mi sento dire. Sto parlando di un'epoca in cui ci voleva, per ottenere il passaporto, l'iscrizione al fascio, ma io non mi sono iscritto mai. E così, dovendo rinunciare a Berkeley, ho piantato anche l'università e sono andato a Roma, all'Accademia d'arte drammatica.

Kezich - Era il secondo anno di vita dell'Accademia fondata da Silvio D'Amico. [...] Nel '38-'39 ti diplomi in regia e metti in scena come saggio di diploma La pesca di Eugene O'Neill. Accade al Teatro Valle di Roma il 9 febbraio '39 (ammira la precisione della ricerca che ho fatto!) e andate in tournée a Ginevra, Lugano e Milano. Ti cito la recensione di Leonida Repaci sull'"Illustrazione Italiana": scommetto che non te la ricordi...

Aragno - Hai vinto la scommessa.

Kezich - Repaci, allora autorevolissimo critico teatrale, definisce la commedia di O'Neill "un atto perfetto" ed elogia gli interpreti, che sono Pietro Tordi (poi caratterista abituale del cinema italiano) e Giovanna Galletti (che sarà, fra l'altro, la vamp dei nazi in Roma città aperta). Sulla regia, Repaci scrive: "Ecco un ottimo saggio di regia dovuto all'allievo Riccardo Aragno, anche autore delle scene e dei costumi che sono apparsi molto belli...". Voi penserete che, dopo una recensione così, uno si trova spianata davanti una meravigliosa carriera di regista. No, il nostro opera la tipica mossa del cavallo e si mette a fare rapidamente dell'altro. Gli è nata la passione della lingua inglese. A proposito, come nasce questa tua anglofilia, che ti porterà nel dopoguerra a trasferirti a Londra?

Aragno - Da una forma di ribellione. Avevo dodici anni quando il regime fascista ostacolò l'insegnamento della lingua inglese nelle scuole. Allora sono andato in giro per bancarelle e ho chiesto: "Ha un libro inglese, un dizionario, un quaderno?". Ho comperato Rob Roy di Walter Scott e mi sono messo a tradurlo alla buona, senza sapere la lingua. Poi ho tradotto molte commedie di Oscar Wilde e un sacco di roba nuova americana, che stava arrivando. In seguito mi sono divertito con il francese, con lo spagnolo, e non mi sono mai pentito di avere avuto la passione delle lingue. Attualmente ho sul tavolo, in corso di scrittura (ve lo dico perché stiamo chiacchierando), una commedia in francese, una commedia in inglese e una in italiano. Ho avuto commedie mie rappresentate a Londra, a Stoccolma e in altre parti d'Europa. Ora mi sto interessando della programmazione di un teatro, a Roma, che si intitola a Ennio Flaiano... E questo mi fa venire in mente che con Ennio e Federico, da giovanotti, formavamo un trio che regolarmente finiva al varietà...

Kezich - Così giustifichiamo il titolo dell'incontro.

Aragno - Siamo nel '38-'39: voi giovani non lo sapete, grazie a Dio, ma si usciva dalla guerra di Spagna. C'erano delle leggi per cui certe compagne di scuola dovevano scappare perché erano ebree. E poi c'era un tale, chiamato Hitler, che stava preparando, per il primo di settembre, di farsi la Polonia e il resto. Quindi non è che noi ci divertivamo molto, ma invece eravamo nei pasticci e ci sentivamo di non poter sopportare l'incubo del mondo fascista e l'ossessione di quello che noi consideravamo l'oscurantismo cattolico: due forze molto forti.

Kezich - Ti ricordi il primissimo incontro con Fellini?

Aragno - Ah! Molto semplice: via Nicotera, 26, Roma. Stanno costruendo un piccolo residence. L'ha disegnato l'architetto che ha fatto il bellissimo Teatro Eliseo. Io vado per vedere se c'è un appartamento da affittare, metto il piede su una scala di legno provvisoria e c'è un altro che dice: "Lei cerca casa qui? Anch'io". Quel giorno ho preso l'appartamento numero 5, e quel giovanotto lungo, magro, di nome Federico Fellini, ha preso il numero 9, e abbiamo più o meno vissuto per tre anni e mezzo lì. Chiesi: "Ma tu cosa fai?". "Ho una rubrica sul 'Marc'Aurelio'" rispose. "E io ce l'ho sul 'Travaso delle Idee'"...

Kezich - Poi vi ritrovate alla radio, dove c'era il famoso Cavallotti.

Aragno - Cesare Cavallotti era un funzionario dell'EIAR di Torino [l'Ente italiano audizioni radiofoniche, ndr] trasferito a Roma, e in quell'occasione ha invitato sia Federico che me. Ci telefonava ogni mercoledì e dava il tema della scenetta.

Kezich - La trasmissione si chiamava Terziglio.

Aragno - Dava il tema. Funerale, incendio, primo amore...

Kezich - C'erano tre scenette affidate a tre autori diversi, e infatti ho trovato questo slogan che dice: "Un argomento solo, tre scrittori / questo è il programma, cari ascoltatori: / e certo, dalla loro fantasia / scaturirà una nuova geometria". I tre scrittori erano: Alfredo Brancacci, Fellini e Aragno. Queste però erano delle ulteriori coabitazioni con Federico, nel senso che ognuno scriveva la sua scenetta. Avete anche lavorato insieme, avete scritto insieme qualcosa?

Aragno - No, sempre separati. Federico e io ci scambiavamo delle pillole di simpamina. Lui scendeva giù e mi diceva: "Ce l'hai una simpamina? Devo scrivere un pezzo per la radio". O io correvo su e dicevo: "Ce l'hai la simpamina?".

Kezich - È un mito, no?, questo della simpamina, perché era un placebo: non è che facesse niente. Io ho preso la simpamina agli esami di maturità, perché me l'avevano consigliata dicendo: "Questa ti tiene sveglio". Invece mi addormentai sulla scala della scuola con la testa appoggiata sulla ringhiera. Ma, a parte questo, che vita facevate? Andavate al varietà, mi hai detto. Non è che vi piacevano le ballerine, per caso?

Aragno - Eravamo un gruppo di tre amici con una decisione unica: restare nel campo dell'allegria.

Kezich - Però tu avevi una formazione intellettuale, eri un regista diplomato, traducevi Oscar Wilde; Federico era più ruspante, all'epoca, ne sapeva molto meno. Tu avevi la passione del teatro, la passione della musica, la passione della letteratura. In fondo a Federico piaceva solo il varietà, perché al cinema è sempre andato poco. Andavate al cinema?

Aragno - Tutti i giorni al Moderno, vicino al Plaza.

Kezich - Allora Federico mentiva, perché diceva di non aver mai visto niente. Lui diceva: "Ma sì, ho visto Il traditore, ho visto Biancaneve e i sette nani...".

Aragno - Arrivavamo alle tre e mezzo e vedevamo due film...

Kezich - Si diceva: "fare porta". Facevate porta al cinema, che è la connotazione dell'appassionato...

Aragno - E quando si andava a mangiare da Righetto, al Bottaro, da Otello, di cosa si parlava? Di cinema!

Kezich - Adesso tocchiamo un argomento interessante. In quegli anni, questo frivolo signor Aragno, che ci racconta come stava fra le ballerine del varietà e i giornali umoristici e la radio, si impegna in un'attività politica clandestina, sotto il segno del costituendo Partito d'Azione, e finisce a Regina Coeli, che tra l'altro è un sito frequentato: perché lui ci trova, per esempio, Mario Pannunzio, no?

Aragno - Franco Antonicelli e Pannunzio erano nella stessa cella. Sono entrato e una delle guardie mi dice: "C'è qualcuno che fa segno". E io dico: "Non conosco nessuno". E poi scopro che è Antonicelli. Era stato mio professore.

Kezich - Franco Antonicelli, piemontese, grande antifascista.

Aragno - Incatenati l'uno all'altro, siamo stati portati al penitenziario di Castelfranco Emilia: quindi, ormai, era la gloria. Poi, l'organizzazione clandestina di quello che sarebbe diventato l'ufficiale di campo del generale Clark, appena gli americani entrarono in città, mi ha fatto fuggire. E uno dei funzionari che agiva per conto del governo, ma in realtà era d'accordo con i partigiani, mi fa: "La seconda porta a sinistra è una scala". Ho imboccato la scala, ho viaggiato come potevo e sono tornato a via Nicotera. Mi siedo accanto a Federico, mi mettono davanti un bel piatto di pasta col sugo e svengo. Federico mi prende in braccio e mi porta al numero 5.

Kezich - Federico sapeva qualche cosa dell'attività politica di Aragno? Ne avete mai parlato, gli è mai venuta la tentazione di partecipare?

Aragno - No.

Kezich - Lo sapeva che tu pescavi nel torbido?

Aragno - No.

Kezich - Non gli hai detto niente?

Aragno - Lui aveva il suo torbido e io avevo il mio.

Kezich - E il torbido... di Fellini che cos'era?

Aragno - Federico voleva diventare un disegnatore ed era molto dotato. Scrivere gli interessava poco e questa è la fortuna del cinematografo: così comincia la carriera di Federico.

Kezich - Ecco, questo non l'ho letto in nessuna biografia di Fellini, inclusa la mia, e quindi sono molto grato, perché vado a casa con qualcosa che è stato detto qui e non è stato detto prima. Dunque, Federico non sapeva niente delle tue azioni clandestine col Partito d'Azione, ma aveva delle idee politiche?

Aragno - Secondo me, no. E questa è una delle meraviglie della vita di Federico. Aveva dei timori che qualcosa, qualcuno, potesse danneggiare i suoi film.

Kezich - Ogni tanto, in questo fiume di esperienze di vita, tu dici una cosa fondamentale, che mi apre delle finestre. Io ti ho chiesto: "Fellini aveva delle idee politiche?". E tu mi hai risposto: "Le ha avute quando si trattava di difendere i suoi film". Allora, se voi ripercorrete la carriera di Fellini, vi accorgerete che l'uomo, in fondo agnostico, politicamente si sveglia ed è capace di diventare furbo, diabolico: va dal cardinale per scavalcare il ministero e togliere il divieto a Le notti di Cabiria di partecipare a Cannes. Fellini aveva capito come funzionava l'Italia in quel momento: per smuovere il ministero bisognava andare dal cardinale. Fu criticatissimo per questo, ma questo è un gesto di Realpolitik. Come, non era un politico! Era un politico abilissimo, però solo in funzione dei suoi film. E, nell'ultima fase, Fellini diventò una belva, si scatenò, perché non sopportava le interruzioni pubblicitarie dei film in televisione. Era una cosa su cui non ragionava. È riuscito a fare degli interventi filmati per l'ANAC [l'Associazione nazionale autori cinematografici, ndr], ma è andato a fare di tutto, pubblicamente, per difendere i suoi film dall'ingiuria dello spot. Tutta la sua straordinaria intelligenza, sensibilità, bravura, furbizia - tutto quello che vuoi, insomma - Fellini lo metteva in atto in difesa dei suoi film. Questo è il Fellini politico, e tu hai individuato esattamente il punto dove si può parlare di una politica di Fellini.

Aragno - Federico era la mamma, il film era il bambino: era il suo amore, era il suo bimbo ogni volta.

Kezich - Ho letto - non so se l'ha scritto Mario Soldati - che ogni grande amicizia, per essere veramente grande, deve contenere una porzione di inimicizia. Vedi, questa piccola porzione di inimicizia sarei portato a individuarla, e qui sono malizioso, nel fatto che quando Fellini si prepara a girare il Satyricon gli montano immediatamente un Satyricon in concorrenza, prodotto da Alfredo Bini. E chi è lo sceneggiatore del Satyricon in concorrenza? Confessa e discolpati!

Aragno - La mia idea di fare un film dal Satyricon risale al 1962 e alla mia amicizia con Peter Ustinov, che doveva fare Trimalcione. Vengo a Roma, porto il copione a Bini, il quale dice: "Questa è una buona idea". Peter Ustinov è uno di quelli che dice: "Dopo il prossimo film, faccio il tuo". E il prossimo film si sposta, si sposta, si sposta... Quand'ecco che, sei anni dopo, torna a galla il progetto e vengo a sapere, a Londra, che sono in lite con Federico, perché Alfredo Bini ha tirato fuori il mio vecchio copione dicendo: "Spetta a me fare questo film".

Kezich - Assolto! Il tuo Satyricon era preesistente. Del resto, lo sfortunato film di Polidoro non era neanche brutto.

Aragno - Non l'ho mai visto.

Kezich - Fu sequestrato, martoriato, cancellato.

Aragno - Credo anche che voi siate d'accordo con me che è quasi sicuro che Federico non abbia mai letto il Satyricon.

Kezich - Certamente non ha mai letto Le memorie di Casanova. Di questo sono sicuro, perché sono un casanovista di complemento e inorridivo nel sentirgli dire: "Ma quello è l'elenco dei telefoni! Un libro che non si può leggere!". Poi ne ha fatto una raffigurazione strepitosa... Ma arriviamo al dunque, al momento più interessante dell'incontro. Peter Sellers va a pranzo con Riccardo Aragno, nel '62 a Londra, e si porta dietro un amico, che è il regista del film che lui sta interpretando in quel momento. Il film è Lolita, l'amico è Stanley Kubrick: lui e Aragno simpatizzano e diventano amici. E l'amicizia dura dal '62. Allora, prima domanda: attraverso l'amicizia con Kubrick, come si concreta la tua collaborazione con lui? Una collaborazione che ha avuto degli aspetti interessanti. Tu, per esempio, hai curato tutte le edizioni italiane di Kubrick.

Aragno - ...e non ti dico con quanta meticolosità sono state seguite da lui! Ma torniamo al primo incontro, che avvenne, per la verità, in casa di Peter Sellers. Durante Lolita lui aveva preso una casa nuova, e così invitò tutti gli amici: in Inghilterra si usa. Dicono che è per scaldare la casa. Se invece Peter ci avesse invitati ogni volta che comperava una macchina nuova, saremmo ancora a tavola, perché lui si faceva settanta macchine all'anno. Faccio un passo indietro. Proprio in quei giorni, un amico italiano che lavorava alla BBC, Paolo Foà, mi aveva raccontato un fatto divertente. Dalla telescrivente aveva appreso che duecentosettantamila cinesi erano morti per lo straripamento di un fiume. La notizia lo aveva sconvolto ed era tornato a casa rabbuiato. La mamma gli chiede: "Ma cos'è successo?". E lui: "In Cina sono morti duecentosettantamila eccetera eccetera". E la mamma, che è di Venezia, commenta: "Xe tanto lontan che no conosso nissun!". Càpita, allora, che il mio vicino di tavola, in casa di Peter, mi dice: "Voglio assolutamente andare a comperarmi un'isola nel Pacifico, perché la bomba finirà per distruggere buona parte dell'umanità...". Io allora gli racconto la battuta della mamma di Foà, e lui resta pensoso. Il giorno dopo ricevo una telefonata: "Abbiamo parlato, ieri sera, a tavola... la storia dei duecentosettantamila cinesi... È libero per colazione?". Ero libero, sì. E così, per i seguenti ventiquattro anni, abbiamo continuato a fare spesso colazione insieme. Lui era Stanley Kubrick.

Kezich - Siete diventati subito amici?

Aragno - Per un po' fummo un trio: Stanley, Peter e io. Mi ricordava il trio con Federico e Flaiano. A proposito, mi concedo un breve intermezzo per dire quanto ho sofferto quando Ennio e Federico hanno litigato a metà degli anni Sessanta. Fu un incidente che nacque dal disagio di Flaiano, che diceva: "Il suo nome è sempre dappertutto e il mio non è mai da nessuna parte: è possibile?". E io a ripetergli: è possibile, possibilissimo, è così ovunque. Per esempio, io l'ho sperimentato come autore drammatico in Inghilterra. Non si mette mai sul giornale, nella pubblicità quotidiana, il nome dell'autore della commedia: si mette il nome dell'interprete. Giusto o sbagliato, questo è l'uso. Se tu scrivi una commedia, al pubblico importa che in scena c'è Peter Sellers, e non che l'ha scritta Aragno: così ragionano i giornali. E questa cosa Ennio, con l'orgoglio dello scrittore, non la mandava giù. Come quella di avere il nome insieme ad altri sceneggiatori; e su questo non so dargli torto: è un uso italiano veramente osceno. In Inghilterra io mi sono sempre rifiutato di sharing credits [condividere i meriti e/o i titoli di coda, ndr]: se ci sono io, non servono altri; se ci sono altri, non servo io. Ma anche questa è un'abitudine, e contro le abitudini inveterate c'è poco da fare.

Kezich - Adesso vorrei sapere se Fellini e Kubrick si sono mai incontrati.

Aragno - No, mai.

Kezich - Si sono parlati al telefono?

Aragno - Con lo scarso inglese di Federico? Ne dubito. Però di Federico devo raccontare una cosa stupenda. Noi eravamo in Irlanda a fare Barry Lyndon, la scena del duello. Telefono a Federico, lui mi dice: "Come va Stanley?". Io gli rispondo: "È un po' fermo, perché la stagione non è bella: deve girare un duello ma non ha mai il sole giusto e quindi sta tirando avanti da settimane...". E Fellini ribatte: "Diglielo, a Stanley, che, quando giro io, il sole me lo regolo a comando nel teatro 5 di Cinecittà!".

Kezich - Buon consiglio! E ora le ultime due domande: che cosa pensava Fellini di Kubrick, e che cosa pensava Kubrick di Fellini?

Aragno - La strada, La dolce vita, 8 1/2: ammirazione sconfinata. Poi, meno. A Kubrick i film successivi non sono piaciuti. Neanche Amarcord. Mi disse: "Bello il pazzo sull'albero che grida 'Voglio una donna!', ma il resto del film non è all'altezza di Fellini".

Kezich - E Federico che cosa diceva di Kubrick? Veramente a questa domanda potrei rispondere anch'io. Diceva che non aveva visto i film. E non era vero. O almeno non sempre, non del tutto.

Aragno - Quando sono arrivato a Roma con la copia di Arancia meccanica per il doppiaggio (avevo portato i microfoni nostri e scritturato i migliori attori sulla piazza...), telefono a Fellini e gli dico: "Sono arrivato alle due con l'aereo del lunch (lo chiamavamo così) e ho qui Arancia. Se vuoi, stasera te lo faccio vedere". "Ah, peccato! Non posso: devo fare una telefonata a New York...". Non aveva proprio voglia di vedere i film degli altri.

Kezich - Secondo me, ha visto 2001: Odissea nello spazio. Me ne ha parlato più volte.

Aragno - L'ha visto, sì, certo che l'ha visto.

Kezich - Credo che avesse una grossa ammirazione per Kubrick e anche, diciamolo pure, un certo fastidio che Kubrick esistesse.

Aragno - Esatto.

Kezich - Non so se la cosa fosse reciproca, cioè se anche Kubrick preferirebbe che Fellini non esistesse...

Aragno - No, no! Stanley ha una passione vera per il cinema, per tutto il cinema.

Kezich - E allora è questo che differenzia i due maestri. L'importanza che il cinema degli altri ha avuto nelle loro vite: grandissima per Kubrick, meno grande per Fellini.

Aragno - Sull'importanza di vivere in mezzo alle immagini, ogni tanto mi viene da riflettere. Pensate che siamo vicini di un mese e mezzo, o due, all'ultimo anno del ventesimo secolo. E questo resterà il primo secolo in cui si è sviluppata la competizione tra due linguaggi: uno è il linguaggio delle parole, quello che stiamo usando qui, e l'altro è il linguaggio delle immagini. Pensate che i vostri bambini, sotto i cinque anni - cioè prima di andare a scuola - hanno già visto alla TV quattromila assassinii, ventimila storie d'amore, mascalzoni di tutti i tipi, qualche faccia simpatica, i paesaggi dell'intero pianeta... Poi vanno a scuola e il maestro gli dice: "Le vocali sono A, E, I, O, U". E il bambino potrebbe rispondere: "Adesso te lo racconto io, il mondo com'è!". Capito com'è la realtà di oggi? E come si configura quella di domani?


Note

(1) Fellini. Dall'Italia alla luna, a cura di S. Stourdzé, Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2010.

(2) R. Aragno, Fellini e il varietà. Intervista di Tullio Kezich, in Federico Fellini autore di testi. Dal "Marc'Aurelio" a Luci del varietà (1939-1950), a cura di M. Filippini e V. Ferorelli, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 1999, pp. 45-53.

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