Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, mostre e rassegne, itinerari

A Trieste, un gruppo di architetti, urbanisti, geologi, botanici, artisti e abitanti ha attraversato a piedi campi coltivati, orti urbani, zone industriali dismesse e vie di trasporto periferiche. Per immaginare territori possibili.
Camminando per la città

Elena Marchigiani
[ricercatrice di Urbanistica all'Università di Trieste]
Debora Zanette
[architetto]

E dovete camminare come il cammello, l'unico animale, così si dice, che rumina mentre cammina (Henry David Thoreau, Camminare, 1862)


Un laboratorio di indagine territoriale

Trieste può diventare una città più abitabile anche a partire dalla restituzione di un ruolo e di un significato ai molti spazi aperti che, dal Carso al mare, ne solcano le periferie. Spazi solo apparentemente vuoti, come quelli che a sud-est, dal quartiere di edilizia pubblica Borgo San Sergio, arrivano a lambire da un lato il canale e i lotti produttivi dell'Ente zona industriale, dall'altro il tratto di costa contiguo alla ferriera, sulla cui dismissione si discute ormai da decenni. Spazi troppo spesso attraversati velocemente, con uno sguardo distaccato che non permette di coglierne la varietà.

Se però si rallenta il passo e ci si immerge camminando in questi luoghi, non possono sfuggire le loro potenzialità nascoste. Si tratta di campi coltivati, orti urbani, zone dismesse, linee ferroviarie parzialmente utilizzate, ambiti in cui la natura faticosamente si insinua tra le distese di asfalto e i recinti industriali, che oggi spesso ospitano usi inaspettati. Qui, talvolta, si incontrano pratiche spontanee, che solo un osservatore partecipe e una lettura attenta possono interpretare come indizi concreti di domande di trasformazione. Domande alle quali gli strumenti della pianificazione urbanistica, in corso di revisione, ancora non sembrano offrire risposte adeguate.1

È proprio sulla costruzione di rappresentazioni inedite, tese a evidenziare le risorse e le possibilità di riqualificazione di questo brano della periferia triestina, che l'atelier "Green(S)trip" ha concentrato le proprie attività.2 "Green(S)trip" è stato inteso come un laboratorio di indagine territoriale, un contenitore aperto a chi è interessato a una riflessione critica sul ruolo che il progetto degli spazi verdi può giocare nella costruzione di visioni per la Trieste di domani. Architetti e urbanisti, geologi e botanici, artisti e abitanti si sono cimentati in un'esperienza alla deriva tra spazi urbani complessi per assetto fisico e funzionale: tre camminate collettive, alle quali hanno fatto seguito momenti di discussione pubblica su temi, luoghi, questioni emersi durante il lavoro sul campo.


Un catalogo di spazi

Oggi Trieste è una città dove il verde sembra essere solo a portata di... auto! Periodiche migrazioni, verso l'altopiano o la costa, soddisfano la crescente fame di natura di chi vive in città. Ma in mezzo, tra le case e i quartieri, siamo proprio sicuri che non ci siano spazi verdi ed elementi di naturalità a portata di... pedone? L'esperienza della camminata, documentata attraverso un video e la raccolta di appunti, immagini fotografiche e oggetti, ha permesso di leggere questi territori come un articolato catalogo di spazi aperti di diversa natura che potrebbero essere resi più facilmente raggiungibili da chi vi abita e/o lavora.

Luoghi dell'immaginario dove si ricerca la solitudine per svolgere pratiche non codificate; spazi funzionali disponibili a usi molteplici; luoghi occupati, oggetto di atti di appropriazione che ne hanno trasformato la configurazione fisica; spazi del coltivo; giardini autocostruiti; frutteti spontanei che costruiscono un paesaggio da "gustare" camminando; un giardino botanico diffuso, in cui spazi verdi abbandonati, o localizzati ai margini di lotti e recinzioni, ospitano un ricco repertorio di specie vegetali; luoghi emergenti ma nascosti, composti da spazi e manufatti della storia e della memoria, la cui riscoperta può rafforzare l'identità dei luoghi; sentieri persi, binari e connessioni dimenticate; recinti e recinzioni; spazi attrezzati, gestiti da soggetti pubblici o privati; "belvedere" da cui osservare il paesaggio circostante.


Un nuovo lessico

La frammentazione fisica e funzionale, insieme alla compresenza di diversi regimi proprietari e gestionali, costituiscono una condizione specifica di questi luoghi. Una condizione che, unitamente all'esiguità delle risorse economiche oggi a disposizione dell'operatore pubblico, rende inapplicabile il termine "parco urbano" così come viene tradizionalmente inteso. Il lessico che il progetto degli spazi verdi ha da tempo adottato negli interventi su tessuti antichi e aree centrali, infatti, dimostra qui tutta la sua inattualità e tutta la sua inattuabilità, imponendo una riflessione più attenta su ciò che simili contesti concretamente offrono. Una riflessione orientata a riconoscerne i valori peculiari.

È proprio sulla necessità di assumere un drastico cambiamento di prospettiva, passando dalla nozione di "spazio pubblico" a quella di "bene collettivo", che si sono focalizzate le discussioni interne all'atelier. Lo spazio verde urbano, sia esso di proprietà pubblica o privata, è un diritto della collettività. Perché, allora, non immaginare che non solo l'orto e il giardino, ma anche i lotti produttivi e le infrastrutture diventino un'occasione per fare paesaggio? Un paesaggio da ripensare come un collage di "luoghi verdi (non) comuni": luoghi che non rientrano nei codici tradizionali del progetto urbano, che non necessariamente devono essere attraversati o modificati; spazi che, pur rimanendo in uno stato di vaghezza, comunque concorrono a costruire un tessuto verde da conservare.


Immagini del possibile

Come le molte "green(S)trip" che irrorano la città di Trieste, quella da noi percorsa sembra in sostanza reclamare nuovi approcci nella costruzione di un piano/progetto del verde: un disegno fatto di interventi piccoli e leggeri, ma non per questo meno efficaci nel migliorare la qualità dell'abitare. Interventi sostenibili, realizzabili grazie a inedite sinergie tra le attività degli enti pubblici e quelle (anche di ordinaria manutenzione) degli attori privati. È in queste microtrasformazioni che trova traduzione il nuovo lessico proposto per questo il progetto. Un progetto che, nella mostra allestita a chiusura dell'atelier, è stato illustrato sotto forma di diverse "immagini del possibile":

· Spazi verdi sotto casa. Ai margini dei tessuti urbani più densi, spazi oggi inutilizzati possono ospitare nuove aree agricole amministrate dal Comune e assegnate ai cittadini, piccole attrezzature per il gioco dei bimbi, percorsi in terra battuta per pedoni e ciclisti. Riconoscere un valore e un uso a questi spazi permette di sottrarli alle pressioni edilizie. Allo stesso modo, la realizzazione, tra le case, di orti sociali (per anziani, ma non solo) è un'occasione per riorganizzare gli spazi verdi e le loro modalità di gestione, disegnando e infrastrutturando in maniera leggera luoghi in cui lavorare, incontrarsi, conservare e tramandare la cultura del coltivare.

· Sentieri di prossimità. Offrire agli abitanti l'opportunità di attraversare quotidianamente gli spazi verdi vicini a casa è un primo, importante, gesto progettuale. Alimenta la consapevolezza del ruolo strutturante che questi spazi possono svolgere nel ridare qualità alle periferie. Nelle aree agricole e tra i quartieri, semplici percorsi in ghiaia ridisegnano e riammagliano la rete dei sentieri esistenti. Inoltrandosi tra i giardini privati, riconnettono le enclave di edilizia pubblica e privata alle aree verdi limitrofe. Così, nella zona industriale, i binari di raccordo oggi in parte dismessi vengono mantenuti, ma temporaneamente riutilizzati come percorsi pedonali. In attesa di progetti per il futuro di aree produttive e collegamenti metropolitani, perché non immaginare questi tracciati come un sistema di connessioni verdi tra gli spazi aperti prossimi al canale industriale, gli ambiti della residenza e quelli del lavoro?

· Verde di mediazione. Oggi le sponde del canale industriale non sono utilizzate solo per attività produttive e logistiche. Persone diverse già ne fruiscono per le pratiche del tempo libero. Nei tratti prossimi alle "isole" di vegetazione esistenti, nuovi percorsi e piccole aree da cui godere di un panorama inusuale rendono questi luoghi più attraenti. Sempre lungo il canale, il sistema di piccoli pontili che si alternano agli attracchi per le merci e il diporto viene in parte implementato, laddove tratti di sponda sono ridisegnati per dare spazio a una molteplicità di usi e per fornire, a chi lavora, la possibilità di una sosta all'aperto.

· Verde di mediazione / di testimonianza. Sempre tra i recinti della zona industriale, la foce del torrente Rosandra e un pioppeto autoctono si stagliano come frammenti di naturalità. Poche persone conoscono questi luoghi. Ma cancellare la memoria del loro valore naturalistico e geografico è una grave perdita. Segnalare la loro presenza è un primo passo verso la riappropriazione collettiva di questo patrimonio.

· Verde tecnico. Nelle aree industriali dismesse in trasformazione, dove i processi di bonifica sono già in corso, il progetto del verde tecnico va inteso come un valore aggiunto, e non come un banale prezzo da pagare. Perché non cogliere questa storica occasione per ricostruire paesaggi autoctoni a partire dai residui di naturalità che ancora possiamo riconoscere? Delineare un progetto integrato del verde significa, inoltre, non trascurare elementi apparentemente accessori, come le recinzioni. Affiancarle con fasce di alberi ad alto fusto non solo innalza le qualità percettive di questi luoghi mascherando i grandi manufatti, rende anche più vivibili gli spazi del lavoro, svolgendo un importante ruolo di termoisolamento dei processi di produzione.

· Spazi del connettivo/collettivo. Le periferie spesso si configurano come una caotica sommatoria di spazi residenziali, commerciali e produttivi, a sé stanti. Perché non trasformare le strade esistenti da meri ambiti funzionali in luoghi più articolati, capaci di ospitare pratiche collettive? E ancora, perché non lavorare sui pochi spazi attrezzati già presenti, per accentuarne il ruolo di luoghi di riferimento collettivo? Tra la ferriera, la grande viabilità e i depositi dell'industria, lo squero di San Sabba è un'oasi in cui fermarsi per osservare il mare e il paesaggio. Qui non occorre molto di più di quello che già c'è: forse solo un piccolo bar, raggiungibile attraverso un percorso, lungo il quale gli alberi, una volta cresciuti, nasconderanno alla vista strutture e recinti produttivi.


Azioni selettive e responsabili

Mettendo in campo molteplici sguardi e sensibilità, diversi strumenti e linguaggi, l'atelier ha costruito una descrizione collettiva della parte sud-est di Trieste: una descrizione fatta di mappe, repertori fotografici, immagini del possibile; un menu di ricette ideate a partire dai frutti e dagli ortaggi trovati lungo il percorso. Una descrizione tesa non solo ad alimentare, tra cittadini e amministratori, la curiosità per luoghi in parte sconosciuti, ma anche e soprattutto a mostrare come possano bastare azioni minimali per metterne in valore le potenzialità. Azioni selettive e mirate, che, per concretizzarsi, richiedono però una diversa attenzione e una maggiore responsabilità ai molti attori pubblici e privati che ogni giorno, attraverso grandi e piccole trasformazioni, plasmano e modificano gli spazi delle nostre città.


Note

(1) La Variante generale al Piano regolatore generale comunale di Trieste è stata predisposta dagli uffici tecnici comunali ricorrendo a una procedura secretata. Adottata il 6 agosto 2009, sta percorrendo un difficile iter di approvazione. I documenti sono pubblicati sul sito www.retecivica.trieste.it.

(2) L'atelier è stato promosso dalla Facoltà di architettura e dal Dipartimento di progettazione architettonica e urbana dell'Università di Trieste nell'ambito della "Piazza dell'Architettura", la manifestazione svoltasi nel capoluogo giuliano tra il 23 luglio e il 7 agosto 2010 (promossa dall'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia, con la collaborazione dell'Assessorato alla cultura del Comune e del Museo Revoltella galleria d'arte moderna: piazzadellarchitettura.wordpress.com). Hanno partecipato: Elena Marchigiani (coordinamento scientifico), Debora Zanette (coordinamento organizzativo), Carlo Andreasi, Elisa Biagi, Marina Bradicic, Matteo Carli, Roberto Carollo, Sara Casa, Paola Cigalotto, Claudia Ciulla, Francesca Cogni, Giulio Dambrosi, Myriam Del Bianco, Donatello De Mattia, Stefano Devoto, Anna Dordolin, Mirna Drabeni, Ilaria Ericani, Fabiola Faidiga, Claudio Farina, Elisa Fontanot, Marco Francese, Teresa Frausin, Eugenia Gotti, Stefano Graziani, Antonietta Intini, Romana Kacic, Andrea Lakovic, Giulio Mari, Alice Martinelli, Francesco Nicoletti, Alberto Oss Pegorar, Paola Pisani, Alessandro Ruzzier, Giuliano Sauli, Daniele Tassan, Martina Tomsic, Vittorio Torbianelli, Dusana Valecic, Paola Vattovani, Dean Vukusic e Ada.

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