Rivista "IBC" XVII, 2009, 4

Dossier: Insieme 'in re publica' - Federalismo e beni culturali

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Una prospettiva giuridica

Girolamo Sciullo
[docente di Diritto amministrativo all'Università di Bologna]

Occuparsi di federalismo e beni culturali in una prospettiva giuridica è un compito agevole e al contempo arduo. Agevole nell'illustrazione degli strumenti al riguardo disponibili, arduo in rapporto alla spiegazione dell'utilizzo che degli stessi finora si è fatto e soprattutto all'indicazione delle prospettive per il futuro.

Nell'ordinamento italiano è presente in effetti una tastiera di strumenti idonei a realizzare nel campo del patrimonio culturale (comprensivo dei beni culturali e di quelli paesaggistici) un assetto federale, impiegando questa espressione in un'accezione lata, ossia come indicante un assetto non accentrato nello Stato, ma in cui trovino uno spazio significativo regioni, province e comuni. Come è noto, la Costituzione già nei suoi principi fondamentali impegna la "Repubblica", e quindi non solo lo Stato ma tutte le articolazioni che compongono l'ordinamento complessivo, a operare per lo "sviluppo della cultura" e a "tutela[re] il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" (articolo 9). Stato, regioni, province e comuni sono quindi egualmente coinvolti in un comune obiettivo, diremmo di valorizzazione e di tutela del patrimonio culturale. Il che, come è evidente, implica un assetto conseguentemente articolato quanto a poteri e competenze e comunque la mancanza di una "riserva" statale nel settore.

Le specificazioni dell'assetto sono ora contenute nelle disposizioni del titolo V, parte seconda, sempre della Costituzione, innovate dalla riforma del 2001. Sul piano della legislazione, se allo Stato è affidata in via esclusiva la "tutela dell'ambiente e dei beni culturali", la "valorizzazione" degli stessi costituisce materia ripartita fra Stato e regioni (articolo 117). È però subito da aggiungere che questo assetto è suscettibile di evoluzione a favore delle regioni, perché altra disposizione costituzionale (l'articolo 116), prevede che proprio con riguardo al patrimonio culturale "forme e condizioni particolari di autonomia" legislativa possano essere attribuite dalla legge statale alle regioni, per questa via assimilabili alle regioni a statuto speciale, che sulla materia godono di una situazione differenziata.

Sul piano dell'amministrazione l'articolo 118 della Costituzione non fa emergere rigidità di attribuzioni a favore dello Stato. I criteri di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione permetterebbero che anche compiti di tutela venissero assegnati alle autonomie territoriali. Anzi la stessa disposizione, stabilendo che la legge disciplini fra Stato e regioni "forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali", sembrerebbe dare per necessario (o quantomeno possibile) un ruolo regionale.

È noto però che le potenzialità del quadro costituzionale non hanno trovato una piena rispondenza sul piano della legislazione attuativa. Se in tema di paesaggio e beni paesaggistici il ruolo delle autonomie territoriali, in specie delle regioni, trova un certo spazio nel Codice del 2004, tanto in termini di valorizzazione che di tutela, pur se non nella misura auspicata dalle stesse autonomie (articoli 131 e successivi), per i beni culturali la situazione risulta sensibilmente diversa. Grazie alla lettura operata dalla Corte costituzionale (sentenza 26-2004), il Codice anzitutto assume che le competenze legislative in tema di valorizzazione conoscano un ulteriore riparto, su base dominicale, con la conseguenza di riservare allo Stato per intero la disciplina legislativa in tema di valorizzazione sui beni culturali di proprietà statale (articoli 102 e 112). Sul piano delle competenze amministrative per la valorizzazione vale del pari il criterio dominicale (ciascun ente provvede ai propri beni, anche se viene auspicata l'intesa con gli altri enti territoriali; si vedano gli articoli 102 e 112), mentre per la tutela resta la polarizzazione in capo allo Stato (articolo 4): le regioni mantengono le attività di tutela a esse assegnate dal Decreto del Presidente della Repubblica 616-1977 circa i beni librari (articolo 5) e si vedono conferiti nuovi limitati compiti, da esercitarsi in concorso con lo Stato, specie in tema di catalogazione e conservazione (articoli 17 e 29). Resta per ora sulla carta la possibilità che ulteriori compiti, sempre di tutela, vengano dallo Stato a esse attribuiti sulla base di specifiche intese (articoli 4 e 5).

Questo dunque il quadro normativo esistente, considerato nelle sue potenzialità e nella sua effettiva conformazione. Indicare le ragioni dello stacco fra le une e l'altra non è agevole nella prospettiva giuridica, perché quelle presumibili sono in prevalenza di ordine metagiuridico. Anzitutto c'è l'idea che il patrimonio culturale italiano, a cominciare dai beni culturali, costituisce pure un complesso saldamente unitario, che richiede, specie sotto il profilo della tutela, una responsabilità affidata a quell'ente in grado di gestirla secondo una visione organica su tutto il territorio nazionale, ossia allo Stato. È quanto traspare dall'articolo 4, comma 1, del Codice, in cui l'attribuzione della tutela allo Stato poggia sul "fine di garantire l'esercizio unitario delle funzioni" relative. Connessa è la sottolineatura del valore identitario nazionale dello stesso patrimonio, che rafforzerebbe la necessità di un ruolo centrale dello Stato in quanto proiezione organizzativa della nazione.

Viene evocata di frequente anche l'esigenza che la tutela, per svolgere al meglio il compito di garanzia che la sostanzia, non potrebbe che essere affidata a un soggetto "terzo", non influenzabile dal gioco degli interessi non economici, in genere locali, che ruotano intorno al patrimonio culturale e che potrebbero spingere per soluzioni non rispettose delle primarie esigenze di conservazione: se, come afferma il Codice, la "valorizzazione [va] attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze" (articolo 6), solo (o meglio di altri) lo Stato può farsi garante di detta compatibilità. Non manca, infine, il convincimento, generato da talune vicende, che non poche autonomie territoriali, (anche) in tema di tutela dei beni culturali e paesaggistici, non "abbiano retto alla prova dell'autogoverno", per riprendere le parole di una fonte autorevole.1

Il risultato complessivo è che l'opinione dominante, specie fra gli "intellettuali della cultura", è a favore del mantenimento di una presenza significativa dello Stato, mentre un ampliamento del ruolo delle autonomie territoriali, in particolare nel campo della tutela, è visto con un timore, in genere sfociante in una dichiarata contrarietà. Persino l'attuale assetto duale (valorizzazione distinta dalla tutela in termini funzionali e organizzativi) suscita talora riserve.

All'indomani dell'emanazione del Decreto 616-1977, che nell'operare un ampio trasferimento di funzioni statali alle autonomie territoriali aveva rinviato ad altra legge l'assetto dei beni culturali, non mancò chi (come Pastori) delineò i tratti di un'organizzazione unitaria del settore.2 Si trattava di una sorta di "servizio nazionale dei beni culturali" in cui i ruoli dello Stato, delle regioni e degli enti locali potevano reciprocamente comporsi in una trama unitaria in grado di garantire il massimo di omogeneità normativa e di coordinamento in sede nazionale e il massimo di ricomposizione territoriale delle funzioni di amministrazione e gestione in sede locale. Questa prospettiva, che non assumeva né la distinzione fra tutela e valorizzazione, né quella fra interesse nazionale e interesse locale nei beni culturali, né il principio dominicale, ma un criterio di articolazione per ruoli funzionali, non risultò vincente. Prevalse una considerazione dualistica, per natura e organizzazione delle funzioni e per appartenenza dei beni. Il Decreto legislativo 112-1998 (di realizzazione del cosiddetto federalismo amministrativo), il nuovo titolo V della Costituzione e il Codice "Urbani" ne hanno segnato l'affermazione.

Personalmente - con ciò passo al terreno insidioso delle prospettive - non credo che l'attuale assetto duale subirà in futuro mutamenti di fondo. Se il dato costituzionale preclude il ritorno ad assetti "centralistici", quella serie di ragioni che si è sopra menzionata non sembra dare spazio a forme di ulteriore federalismo (il termine è sempre usato in un'accezione ampia) di carattere "sistemico", ossia uniforme nei contenuti e generale quanto ad amministrazioni destinatarie.

Più probabile o almeno possibile (e auspicabile) appare la via di un federalismo flessibile, misurato sulle specificità e le capacità delle singole aree del Paese. Un federalismo fatto di accordi fra lo Stato e singole regioni ed enti locali, un federalismo quindi negoziato e differenziato, del resto consentito e favorito dall'attuale quadro normativo, costituzionale e legislativo. Si pensi, per esemplificare, all'elaborazione congiunta (Stato-regione) di piani paesaggistici, che quando attuata articola differentemente il meccanismo della tutela (articoli 143 e successivi), e, nel caso dei beni culturali, alle intese per la definizione di obiettivi e di piani di sviluppo in tema di valorizzazione (articolo 112), e agli accordi in tema di tutela (articolo 5). Inoltre l'esperienza della "programmazione negoziata" da tempo connota le relazioni fra lo Stato e le autonomie territoriali.

Ecco, si può immaginare che il federalismo nell'ambito del patrimonio culturale passi attraverso lo strumento dell'accordo, che consente gradualità di approccio, aderenza alle condizioni effettive, soluzioni "pragmatiche". Non che si tratti di una via senza ostacoli. Lo Stato, o meglio il Ministero, deve immaginare un nuovo ruolo, non più quello del fare, ma quello del far fare, favorendo "maieuticamente" l'assunzione di progressive responsabilità da parte dei territori. D'altra parte per questa via può essere dato spazio, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, a preziose risorse della società civile, che possono essere più facilmente incanalate verso il patrimonio culturale in presenza un quadro di riferimento condiviso.


Note

(1) Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Convegno "Mezzogiorno e unità nazionale. Verso il 150° dell'Unità d'Italia", Rionero in Vulture (Potenza), 3 ottobre 2009 (www.quirinale.it).

(2) G. Pastori, La legge sulla tutela dei beni culturali, "Le Regioni", IX, 1981, 2, pp. 321-337.

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