Rivista "IBC" XVII, 2009, 4
Dossier: Insieme 'in re publica' - Federalismo e beni culturali
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Il tema di approfondimento di questo dossier affronta uno degli argomenti caldi della discussione nell'ambito dei beni culturali e non solo: il federalismo come possibile destino per la tutela e la gestione del nostro patrimonio culturale. Fenomeno complesso, che proprio per la passione e l'urgenza del dibattito che lo caratterizza in questi ultimi tempi si presta a molteplici interpretazioni e, nell'universo degli addetti ai lavori dei beni culturali, condivide il primato dell'attenzione con le coppie dicotomiche pubblico-privato e tutela-valorizzazione, a cui peraltro è strettamente interconnesso. Gli interventi qui raccolti non hanno il carattere di un'inchiesta organica, bensì costituiscono il tentativo di concatenare i punti di vista e le esperienze che provengono da chi opera all'interno della principale istituzione (centrale) deputata alla tutela e gestione del nostro patrimonio (il Ministero per i beni e le attività culturali), come dagli specialisti che studiano discipline fortemente connesse al tema del patrimonio e della sua gestione.
Nella diversità delle impostazioni, delle analisi e delle soluzioni prefigurate, un fil rouge che scorre sotto traccia può essere recuperato nella comune constatazione della crisi sistemica attraversata da questo comparto: crisi accelerata dalla congiuntura economica negativa, dalle incertezze del quadro organizzativo a livello centrale, dalle ambiguità tuttora sussistenti a livello normativo, dal discontinuo impegno, in questo settore, degli attori locali nel loro complesso. Crisi che sta raggiungendo, in questi ultimi anni, un tale livello da prospettare situazioni di vera e propria paralisi, che alcuni episodi peraltro anticipano con drammaticità: si pensi, per esempio, alle difficoltà ricorrenti di alcuni dei più grandi istituti di cultura nel garantire un adeguato servizio al pubblico (a partire dalle biblioteche nazionali) o al moltiplicarsi dei commissariamenti che ormai interessano tutte le maggiori soprintendenze (da Roma-Ostia a Pompei-Napoli, dagli Uffizi a Brera), sintomi inequivocabili dell'impotenza a gestire con mezzi ordinari anche i luoghi della cultura più celebrati (e meglio equipaggiati dal punto di vista finanziario).
Se quindi l'organismo centrale - il Ministero - è ormai costretto a giocare in una posizione puramente difensiva, gli altri attori di questa vicenda - pubblici e privati - non sembrano avere la capacità di proporre alternative di sistema realmente innovative e valide per garantire, nella tutela e nella gestione del nostro patrimonio, quell'unitarietà finora garantita da uno degli impianti normativi più avanzati a livello mondiale. Eppure, anche se sono concordi nel delineare un quadro di fortissime criticità, in tutti gli autori interpellati è evidente e chiarissima la consapevolezza che sia necessario un cambio di passo per uscire dallo stallo, che tale opportunità vada cercata innanzitutto in un diverso atteggiamento cooperativo tra le varie componenti della Repubblica, e che a essa, nel suo essere costitutivo di Stato, regioni, province e comuni (anziché allo Stato solamente) l'articolo 9 della Costituzione affida la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione.
In questa direzione, pur con sfumature e accenti diversi, si muove complessivamente la pars construens di tutti gli interventi, che rimandano a una forma più sistemica e culturalmente aggiornata di federalismo, e comunque lo vedono come obiettivo non più procrastinabile e come strumento potenzialmente efficace per il superamento della difficilissima situazione attuale. Non a caso il dossier si apre con l'intervista a Roberto Balzani che, ancora nel suo ruolo di consigliere dell'Istituto, ci aveva sollecitato sull'argomento. I quesiti a lui rivolti sulle contraddizioni dell'attuale sistema costituzionale in tema di tutela e di salvaguardia (tra poteri del Ministero e deleghe a comuni e regioni), come pure sui pregiudizi e gli accenti fortemente discordanti che animano il dibattito sul federalismo, costituiscono lo sfondo e il punto di partenza per le successive riflessioni. Nelle risposte traspaiono evidentemente le esperienze e competenze dell'autore, storico moderno, preside di una facoltà di beni culturali e attualmente sindaco di un comune capoluogo, e quindi, oltre alle ragioni storiche dell'attuale situazione di impasse, sono sottolineati i limiti finanziari del nostro sistema amministrativo e le incapacità di quello universitario nel proporre un'offerta formativa adeguata alle mutate necessità del settore.
Il contributo di Girolamo Sciullo affronta le problematiche del quadro legislativo in cui ci troviamo a operare, nelle sue potenzialità, ma anche nei limiti imposti dal contesto attuativo e nelle incongruità irrisolte: quali, per esempio, l'impostazione del Codice, che pare fortemente limitante nei confronti di un decentramento così come viene auspicato nella Costituzione. Stefano Baia Curioni muove dall'evidenza della gravità della situazione in atto: quasi un Grand Tour al contrario, il suo, per rilevare come la difficoltà nella gestione del patrimonio sia in realtà, ancor più radicalmente, incapacità di proporne una più adeguata concezione. La voce del direttore generale Mario Resca insiste sul tema della valorizzazione del patrimonio, che rappresenta, d'altro canto, il momento di confronto legislativamente sancito della collaborazione centro-periferia.
Pur se particolarmente attuale, il tema prescelto non si può certo dire nuovo: "prove" di federalismo e iniziative che a vario titolo sono ascrivibili sotto l'etichetta più vaga, ma tangenziale, di "decentramento", sono in corso da anni con caratteristiche ed esiti molto diversificati, tanto che è possibile cominciare a trarre qualche bilancio. Se nel complesso è stato stigmatizzato, anche in questa sede, il carattere di quasi totale asistematicità di tali sperimentazioni, questo non ha impedito il prodursi di risultati di grande rilievo culturale, quali sono quelli delineati nei contributi del direttore generale alle antichità Stefano De Caro e dell'ex soprintendente Giuseppe Voza, che portano l'attenzione su due aree del Sud privilegiate per ricchezza di beni archeologici: la Campania e la Sicilia.
Per quanto riguarda la Sicilia, regione autonoma, si tratta di un federalismo derivato da un differente assetto legislativo, che non ha mancato di suscitare, in certi esiti, acute critiche, ma che, a distanza di alcuni decenni, ha anche saputo proporre realizzazioni importanti. Diversa è la situazione campana, per la quale un importante flusso di finanziamenti europei ha consentito di impostare, dagli inizi del secolo attuale, un vasto programma di riqualificazione territoriale: il tentativo di rifondare l'economia della regione, devastata dal fallimento del modello industriale, a partire dalla valorizzazione del nostro patrimonio culturale è tuttora in atto, pur tra mille incertezze, proprio in senso federalista.
La necessità di costruire un concetto di federalismo fortemente ripensato rispetto alla vulgata attuale e che si innesti in una riflessione ad ampio raggio, una sorta di rifondazione della politica culturale, è l'auspicio di fondo che connota gli interventi qui presentati: quasi unanimemente, insomma, i nostri autori identificano nell'elaborazione di una nuova politica del patrimonio - una politica capace di innescare un processo di confronto paritario con quella economica e non velleitariamente superiore nel dettato normativo, quanto regolarmente perdente in re - un passaggio ineludibile. Una politica culturale federalista non in quanto frutto di sterili contrapposizioni istituzionali, ma perché capace di suscitare dei meccanismi di riconoscimento e di appropriazione nei confronti del valore del nostro patrimonio culturale, a un livello non più solo elitario ma ampliato alle comunità (nel senso più allargato del termine) viventi sul nostro territorio: primi e fondamentali attori di una tutela non solo passiva, e di quella fruizione che ne è il necessario ma troppo spesso trascurato esito.
Come detto, le posizioni ospitate in queste pagine non esauriscono il panorama della discussione in atto, la cui importanza, in ogni caso, ci ha spinto a prolungare, in un certo senso, la nostra indagine al di là dei limiti editoriali di questo dossier: nel prossimo numero della rivista, quindi, ulteriori contributi serviranno ad approfondire un tema così cruciale per i destini del nostro patrimonio. La riflessione continua...
La biblioteca immaginaria di Rabelais
Esistono libri citati o descritti in altri libri, ma frutto di pura immaginazione e fantasia. Accade anche nell'opera più famosa di François Rabelais. Durante gli studi all'università di Parigi, l'autore cinquecentesco frequentò la biblioteca di Saint Victor, un importante centro di studio della teologia, della scolastica, della giurisprudenza, e ne trasse ispirazione per redigere un catalogo burlesco, in cui ironizzava su quelle scienze. Un buon numero dei titoli da lui elencati nel capitolo VII del Libro secondo del Gargantua et Pantagruel (1532-1564) sono del tutto immaginari, altri si riferiscono ad autori e a opere esistenti. Cinque secoli dopo, raccogliendo il testimone dell'ironia, lo scrittore romagnolo Gianni Zauli, appassionato artista dei giochi di parole, ha proposto questi titoli ad alcuni degli autori di "Libri mai mai visti", il concorso internazionale per oggetti-libro manufatti, organizzato a Russi di Ravenna dall'associazione "VACA vari cervelli associati" e giunto nel 2009 alla quindicesima edizione (si vedano le immagini del dossier di "IBC", VII, 1999, 3; www.vaca.it). E gli artisti, invitati a ricreare la raccolta immaginaria di Saint Victor, hanno risposto con entusiasmo.
È nata così "La bibliothèque imaginaire de Rabelais", una mostra che raccoglie una settantina di libri manufatti ispirati ai titoli pantagruelici. L'esposizione, curata dallo stesso Zauli, è stata allestita per la prima volta in Francia nell'estate del 2003, all'interno della Maison de la Devinière (nei pressi di Chinon), la casa a cui si attribuiscono i natali di Rabelais, oggi museo. L'anno dopo è stata ospitata nel suggestivo Château de Lichtenberg in Alsazia, per approdare nel 2004 al Museo dell'illustrazione di Ferrara, e nel 2007 alla Fiera del libro di Torino e al Festival della filosofia di Mantova. Le foto di Luca Pirazzini che pubblichiamo in queste pagine ritraggono una selezione di questi preziosi libri, tanto concreti quanto immaginari. A chi si chiedesse come mai siano state scelte per illustrare le pagine di questo dossier, si potrebbe rispondere che a volte, persino nelle materie più complesse, la concretezza più efficace nasce dall'immaginazione più libera.
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