Rivista "IBC" XVII, 2009, 4
biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni
La mostra monografica sull'incisore ravennate Marco Dente (1493-1527), organizzata presso la Biblioteca "Aurelio Saffi" di Forlì dal 23 maggio al 31 ottobre 2009, si è configurata come un evento culturale di grande rilevanza, così come il volume Marco Dente. Un incisore ravennate nel segno di Raffaello. Le stampe delle Raccolte Piancastelli, di Antonella Imolesi Pozzi, curatrice della mostra e della favolosa raccolta di Carlo Piancastelli, il "collezionista della Romagna". La mostra e il volume (Longo editore) raccolgono e coronano un ormai decennale impegno di studio e catalogazione, che ha visto l'autrice cimentarsi con la complessa realtà della ricca produzione di stampe voluta e organizzata da Raffaello Sanzio a Roma nel secondo e nel terzo decennio del Cinquecento allo scopo di divulgare i propri lavori al più vasto pubblico.
Fortunata impresa questa dell'urbinate, che vide raccolti attorno alla bottega Marcantonio Raimondi e i suoi valenti allievi Marco Dente e Agostino Veneziano, in stretta sintonia con il Baviera, volti a tradurre dai cartoni raffaelleschi un corpus amplissimo di incisioni che propalarono letteralmente la fama raffaellesca e si rivelano oggi preziosi per la conoscenza della produzione del maestro, a volte non sopravvissuta se non nella traduzione incisoria. In un efficace e sintetico quadro si viene a definire la figura del ravennate Marco Dente che, nonostante la menzione del Vasari, del Doni, di Benvenuto Cellini, dello storico ravennate Carrari, che lo definiva "intagliatore di meravigliosa, anzi unica eccellenza" resta avvolto nelle nebbie di indeterminate attribuzioni, data l'esistenza di un'unica stampa firmata, il Laocoonte.
Sulla scia degli studi critici più recenti, l'autrice delinea un artista dalla personalità ben definita, non più fantasmatica figura, o al massimo esecutore di copie dai più incisivi compagni, Marcantonio Raimondi o Agostino Veneziano. Da tale riduttivo giudizio non andò esente nemmeno Santi Muratori, bibliotecario della ravennate Classense, quando predisponendo la voce Marco Dente per l'Enciclopedia Treccani, pur riconoscendo la necessità di approfondire comunque lo studio delle stampe, e preferibilmente con l'occhio del collezionista, ne definiva la "non forte personalità" di imitatore, ancorché "meraviglioso". Così come auspicava Muratori, dallo studio delle stampe in rapporto all'opera di Raffaello e dal confronto con le esecuzioni dei "compagni" di bottega (studio svolto, se non da collezionista, però da conservatrice della Piancastelli) Antonella Imolesi Pozzi perviene a una ricostruzione della figura di Dente quale primo interprete di Raffaello e alla sua ridefinizione in senso classicista, come utilizzatore anch'egli consapevole di quegli apparati mitologici dominanti nell'iconografia precedente alla controriforma.
Le incisioni derivanti dagli affreschi della Stufetta del Cardinal Bibbiena, come la Nascita di Venere o la Venere spinaria attribuiti al ravennate, databili al 1516, rivelano, accanto a un repertorio archeologizzante carico di sapienza mitologica - si veda la scena dell'evirazione di Urano nella Nascita di Venere, non più presente nell'affresco raffaellesco - anche forti ascendenze nordiche, soprattutto nei paesaggi, di derivazione düreriana. Il confronto con il grande Raimondi, sempre sullo sfondo nel giudizio critico, può rivelarsi addirittura favorevole al nostro, come avviene nel caso della cosiddetta Madonna della coscia lunga, dove Dente si rivela vivace e dinamico interprete del dipinto raffaellesco di contro a un irrigidito Marcantonio, esecutore anch'egli del soggetto. Emblematica la serie di Gesù Cristo e dei dodici apostoli, in cui si evidenzia una derivazione de visu dai lavori dell'urbinate, conservati a Chatsworth, di contro di nuovo alle realizzazioni del Raimondi, non in possesso degli originali.
Nella realizzazione del commento alle schede è costante lo sforzo critico dell'autrice che, confortato da continui confronti bibliografici, mette in luce particolari fondanti sia per la datazione dell'opera dell'incisore, sia per la riflessione sugli originali raffaelleschi, nonché sulla discussa questione del significato da attribuirsi al monogramma "SR", riconosciuto definitivamente come raffaellesco sulla scia delle note vasariane, contrassegno anche delle incisioni di Dente, il cui corpus si attesta per ora sulle 40 opere, così come stabilito da Bartsch; 30 gli esemplari presenti nella collezione "Piancastelli", di cui viene prodotta scheda, oltre alle stampe di incisori anonimi o della cerchia di Raffaello vicini a Marco Dente presenti nel medesimo album piancastelliano "Della Volpe Golfarelli"; di tutti questi esemplari, corredati dell'apparato di fonti e bibliografia, nonché di iconografia, viene ricostruita la storia di derivazione, non sempre e non solo da Raffaello. Si vorrebbe ora, assieme al catalogo a stampa, la catalogazione informatizzata che consenta confronti, ineludibili, con gli esemplari delle altre importanti collezioni emiliano-romagnole, quella della Classense in primis, molto ampia, ma anche la raccolta dell'Archiginnasio e altre.
A. Imolesi Pozzi, Marco Dente. Un incisore ravennate nel segno di Raffaello. Le stampe delle Raccolte Piancastelli, Ravenna, Angelo Longo Editore, 2008, 176 pagine, 38,00 euro.
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