Rivista "IBC" XVII, 2009, 4

musei e beni culturali / mostre e rassegne, storie e personaggi

"Omaggio a Uliano Vecci", Bagno di Romagna (Forlì-Cesena), Palazzo del Capitano, 31 ottobre - 8 dicembre 2009.
Vecci rivelato

Orlando Piraccini
[IBC]

"Come si fa? Come può essere? Un artista così bravo e che non si conosce?", dice a piena voce una signora del pubblico al proprio accompagnatore. "Oh be', se si sta a Roma una vita come si sta a San Piero, per forza!", ribatte lui con l'aria di uno che se ne intende... Davanti alle opere di Uliano Vecci (esposte dal 31 ottobre all'8 dicembre 2009 al Palazzo del Capitano di Bagno di Romagna), la curiosità, per qualcuno, si direbbe essere arrivata insieme all'ammirazione. E certo, fin dall'apertura della mostra, in tanti si sono domandati "come e perché" un pittore così vero abbia goduto di una conoscenza tutto sommato limitata a una cerchia ristretta di amici ed estimatori.

Ma quella di Bagno è a tutti gli effetti la prima vera mostra "personale" dell'artista oggi quasi novantenne? Anche a questa domanda si può trovare risposta ripercorrendo la pur scarna biografia di Vecci e affidandosi a qualche testimonianza certa sul lungo tratto della vita artistica a Roma, dove l'Uliano ancor giovane era arrivato da San Piero in Bagno nell'immediato dopoguerra. Nato nell'agosto del 1921, scalpellino al tempo dell'adolescenza, militante partigiano da ragazzo, emigrante nella capitale in cerca di fortuna, portato da una discreta attitudine all'ornato lapideo e decorativo, Vecci si accosta ai cenacoli artistici romani. È assunto alla Scuola comunale delle arti ornamentali come insegnante di tecnica dell'affresco ed è assistente di Alberto Ziveri; dopodiché si ha memoria di alcune partecipazioni a rassegne d'arte in ambito romano, tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Nel 1959-1960 è alla Quadriennale e nel 1967 espone a Marina di Grosseto con Attardi e Berto, presentato da Carlo Levi. Si direbbe a questo punto avviato a una buona carriera artistica il romagnolo Vecci, che nel frattempo ha messo insieme anche un bel po' di amicizie e conoscenze, da Omiccioli a Vedova, da Guttuso a Mafai, da Vespignani a Guccione, con i quali si ritrova di frequente nella rinomata trattoria "Da Menghi". Accade invece una svolta forse non inattesa per chi conosceva l'indole del pittore. Fra questi il longianese poeta dialettale Santino Pedrelli, che in una lettera inviata all'amico in occasione della mostra di Bagno scrive di "un pittore autentico, che lavora con impegno per più di mezzo secolo nel segreto e nel silenzio, senza mai concedersi né al mercato, né alle vetrine". L'artista romagnolo decide dunque che è meglio dipinger per sé e per gli amici, piuttosto che per galleristi e mercanti, al riparo da ogni facile suggestione di successo e da troppi condizionamenti. Inizia così un "secondo Vecci", rimasto finora quasi del tutto inesplorato, lungo un corso di pittura non certo antagonista di quello più giovanile, ma con una straordinaria luce propria.

Con le sue oltre cinquanta opere, la mostra ha ritagliato questi due momenti della vita artistica di Vecci, non senza ecludere alcune opere prime, della fase ancora "pendolare" tra il paese natale e la capitale, di fatto evidentemente scaturite dall'eredità lirico-naturalistica del tardo Ottocento romagnolo (tra gli altri certi delicati piccoli "vasi con fiori", alcuni non convenzionali "ritratti" di bimbi e bimbe, e un delizioso interno di casa contadina). Per il primo periodo si rileva una sostanziale assenza di influssi del nuovo realismo, mentre il pittore dev'essere stato più attento alle problematiche che investirono alcuni cenacoli artistici giovanili, come il Portonaccio, attenti alla condizione alienante dell'uomo nella nuova insorgente realtà metropolitana.

Nell'interminabile serie di "nature morte" di vasi e fiori eseguite nei decenni successivi con un'insistenza quasi maniacale, all'interno del proprio studio, forse Vecci ha finalmente ritrovato sé stesso. L'indizio di questo continuo inseguire la luce e i suoi effetti sulle cose è l'originalissima costruzione del quadro, nel quale i veri soggetti protagonisti della natura morta non sono vasi e fiori, ma, si direbbe, il grande finestrone dello studio. Fonte luminosa certo, ma pure punto di contatto con il mondo fuori con il suo scorcio paesistico verso Monte Mario. Ora, specialmente su quest'ultimo Vecci è lecito attendersi cura e attenzione. Come la mostra di Bagno di Romagna ha rivelato, qui c'è da considerare un pittore autentico della luce.

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