Rivista "IBC" XVII, 2009, 3
biblioteche e archivi / interventi, mostre e rassegne
Dal 12 al 14 giugno 2009, a Bologna, Villa Aldrovandi Mazzacorati ha ospitato la prima edizione della "Festa dei librai e degli editori", organizzata dall'associazione "Cultura e Arte del '700", con la collaborazione di "Antiche pagine" e dell'Associazione dei commercianti della provincia. Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato nel corso dell'inaugurazione da Roberto Pazzi, scrittore, poeta e giornalista ferrarese, autore di opere tradotte in numerose lingue.
Dagli anni Novanta tengo corsi di scrittura creativa nel nostro Paese, in alcune università e accademie - a Lucca, a Macerata, a Perugia, ad Assisi - e, come un appuntamento ormai fisso, nella mia città di Ferrara, con un numero di corsisti di ogni età, affollato da un centinaio di persone. E ogni volta, di fronte alle catastrofiche previsioni di sostituzione del libro con l'e-book e con i sussidi informatici, si rafforza in me la convinzione dell'insostituibilità del libro nel futuro che ci attende. Perché ne sono così convinto? Tanto da affermare che potranno convivere cultura, Internet e libro, ma che il libro resterà alla radice del nostro futuro?
Il rapporto di fruizione del lettore di libri è affidato a piaceri che non tramonteranno mai, ma che anzi sono destinati a rafforzarsi nella resistenza alla dipendenza tecnologica dalla macchina e ai suoi rischi di disumanizzante sostituzione della memoria, il tratto più caratteristico della intelligenza umana, o almeno della civiltà occidentale nata con la scoperta dell'alfabeto. Chissà se nessuno ha notato come, da quando esiste il cervello artificiale del computer, è aumentato il morbo di Alzheimer? Cercherò, fra questi piaceri, di elencarne alcuni fra i più riconoscibili, almeno alla mia esperienza di scrittore di sedici romanzi e sette raccolte di versi.
Il libro è un oggetto che ha un peso, una forma, un colore, spesso un odore, che convive accanto a noi, come una penna, un abito, un paio di scarpe, un'automobile, un orologio, un anello. È un bene che si insinua nella nostra vita come un feticcio caro, a cui ci si affeziona per il valore aggiunto di compagnia e durata nella durata della nostra vita. Il libro occupa uno spazio fisico definito, colorato, volumetrico, che entra nel reticolo delle nostre abitudini e le garantisce, nello scorrere dei giorni protetti dal suo valore larico, memoriale, emozionale, autobiografico. Chi ce lo regalò? Quando? Perché in quel momento della nostra vita lo acquistammo? Perché ce lo regalammo? Fu il tam tam degli amici a suggerirlo? Quali amici?
Vi sono libri che nella biblioteca mentale della nostra formazione occupano un posto che non si cancella più, neanche visivamente. Sappiamo dove sono in casa nostra, che posto occupano là sopra, nella scansia più alta a destra, dove fanno compagnia da anni a un Plutarco, a un De bello gallico, a Cecità di Saramago, a Viaggio al termine della notte di Céline. Accade però, talvolta, che si cerchi un libro tornato alla memoria dopo anni, per qualche necessità di consultazione, come dover aiutare il nipote a fare una ricerca su Fontamara di Silone... Lo cerchi e non lo trovi. Corri il rischio di andare di nuovo a comprarlo, così ne avrai due, in casa, di copie...
E così la ricerca diventa una ricognizione di tutti i tuoi libri, una rivista generale, un richiamo all'ordine, un appello che rinfresca dati, emozioni, conoscenze. In genere, tuttavia, sappiamo dove si trovano in casa i libri più cari, perché sappiamo che importanza hanno occupato nella formazione delle nostra personalità. Sappiamo quanto dobbiamo al pessimismo di Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione è lassù, nel quarto scaffale a ricordarcelo. Fu al primo innamoramento infelice, verso i sedici anni, che mi incantai a leggere le pagine del filosofo tedesco sulla liberazione dal Dolore, l'annullamento della Volontà di vivere, la noluntas che il grande filosofo teorizzava a partire dal pensiero indù, affascinato dalla stessa rinuncia ascetica che cent'anni dopo doveva catturare Hermann Hesse.
Ma c'è un altro aspetto fondamentale che lega al nostro futuro il libro. I libri sono soggetti a consumazione infinita, come il bisogno di sapere e di rinnovare le nostre conoscenze, come la nostra ansia di avventura intellettuale. Ecco perché ogni giorno sentiremmo il bisogno di comprarne uno, se potessimo... "Un" frigorifero, "una" televisione (magari due, come due automobili, ma non di più), "una" lavatrice, "una" lavapiatti, "una" radio per ogni casa. Ma quanti libri per ogni casa bastano? Possiamo dare noi un numero definito alla conoscenza come alle esigenze dei piatti puliti, degli abiti lavati, dei cibi ben conservati? È nella natura stessa del libro la sua adattabilità alla vita infinita, alla curiosità luciferina della nostra natura umana: "Fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza".
Si dirà che una biblioteca intera sta in un PC, che un libro di 500 pagine sta in un file, senza ingombrare spazi, impolverare mobili, rischiare la distruzione del fuoco... Ma a parte il rischio terribile di perdere con un semplice guasto della macchina, o pigiando un tasto sbagliato, milioni di pagine e ore, giornate, mesi, anni di fatiche, di ricerca, sta proprio nella sua occupazione di uno spazio fisico, nel suo ingombro fra le cose, la forza insostituibile del libro. E le tecniche nuove informatiche sono così veloci, che subito diventano superate quelle che conoscevamo, spesso rendendoci inutili gli strumenti informatici che avevamo imparato ad usare...
Con il libro in casa, che viaggia insieme a noi, nella durata della nostra esistenza, posso dire che interviene un legame di piacere amoroso? Perché nella sua invasione del nostro spazio si assicura - come una moglie, un'amante, una compagna - il diritto al nostro amplesso, al rinnovarsi del nostro amore nel tempo. Ogni tanto, infatti, ci ricordiamo di lui, sappiamo dove si trova, fedele al nostro bisogno di riparare un'amnesia, ritornare a un'emozione che ci aveva arricchito leggendo in Marcel Proust la pagina del primo bacio di Charles Swann a Odette De Crecy, dove fare l'amore, nel gergo amoroso, si diceva "fare cattleya"...
E qui scatta uno dei piaceri più insostituibili che ci dona la carta. La carta del libro porta i nostri segni del tempo, le rughe della nostra anima e del nostro volto. Eccole, su questa copia di Memorie di Adriano della Yourcenar, le note che prendevamo venti, trenta, quarant'anni fa... mentre un altro nostro io leggeva. La prima volta avevo 32 anni, mi colpiva dell'attacco la frase "È difficile rimanere imperatori davanti al proprio medico". Vent'anni dopo, a 52, rileggendolo mi colpiva invece, poche righe dopo, una frase che a 32 anni non poteva colpirmi... "Giunto a un'età che la vita sembra una sconfitta accettata". Rileggere quali pagine avevamo chiosato nel 1971, su quali ci siamo soffermati nel 1991, quali abbiamo sottolineato a matita perché si rendessero cancellabili come noi, ci restituisce la memoria non effimera del nostro mutamento, la mappa della nostra crescita, la radiografia della grande e unica avventura della Vita che è fatta di Tempo, di giorni, di pagine, come quella del libro.
Quel segno di vecchia matita è il nostro io perduto di trent'anni fa ritrovato! Quella parola a commento di quella frase, scritta con quella grafia che oggi non usiamo più, ci dice che percorso abbiamo fatto per diventare oggi quelli che siamo... Tutto finisce in un libro, scriveva Mallarmé! Noi tutti, qui, diverremo le lettere di un nome e cognome, scritto da qualche parte su qualche documento, se ci andrà bene un suono di un nome caro sulle labbra di qualcuno. Parola, insomma...
Ma il libro è anche un rimprovero e una tentazione diabolica, per molti di noi. E la più sottile... Quale? Quella di scriverne uno noi, finalmente. Di arrivare un giorno a dover scegliere insieme all'editore la copertina, la carta, i caratteri, il numero delle pagine, la fotografia, l'epigrafe, la dedica (a chi la dedicheremo, delle persone che abbiamo amato?). A scrivere la biobibliografia... A litigare con l'editore per il prezzo... Quale e-book mai offrirà questi piaceri di autoriconoscimento quasi artistico, quasi artigianale? Il libro ha un'anima, l'e-book è un prodotto meccanico, senza gusto e personalità. "Piantare un albero, mettere al mondo un figlio, scrivere un libro". Un detto cinese antico sostiene che queste sono le tre azioni che danno un senso alla vita di un uomo. Non v'è dubbio che accennino tutte e tre a una fame di immortalità, a un bisogno di piantare radici, di iscrivere il segmento limitato della propria durata nella linea retta infinita della Storia dell'umanità. Scrivere finalmente un libro anche noi, sarà forse il desiderio inconscio che muove il lettore a leggerne? Può essere che sia vero per molti, se non lo è per tutti.
Restano da accennare alcune altre considerazioni corollarie sull'effimero dell'informazione dedotta da Internet, e quella che non si consuma, dedotta dal libro. La ricerca su Internet, costante, metodica, sostituita alla lettura cartacea, erode la memoria. Perché ricordare? Tanto è su Internet, tanto si può scaricare da Internet - "scaricare", questo brutto verbo fecale... La ricerca su internet diventa la resa del cervello, come banca dati autonoma, e la sua dipendenza da una macchina stupida, assolutizzata a divinità. La ricerca su Internet, come la chat, come la corrispondenza in diretta, mentre unifica il mondo e abbatte muri, ne crea di più alti ancora... Perché abitua all'autosufficienza, a stare seduti ore e giornate, soli, a investigare ombre e luoghi virtuali, a sostituire la realtà di carne e ossa con la sua copia cibernetica.
Anche il libro evocava mondi fantastici, è vero. Ma eravamo attivi protagonisti di quel film interiore che la pagina suscitava nella nostra mente, eravamo attori, registi, sceneggiatori, truccatori, fotografi, costumisti di quel film che era la nostra lettura, seduti in poltrona... La passività della fruizione, legata all'immagine del piccolo come del grande schermo, è l'esatto contrario del processo attivo della fruizione legata alla parola. Per certi aspetti, fra sapere informatico e sapere cartaceo, si tratta della stessa differenza che corre fra sentire un concerto con l'ausilio di un lettore mp3, che consente di scaricare musica da Internet in file da ascoltare in digitale, e ascoltare un concerto dal vero, in una piazza, in un teatro, in un auditorium. Cosa mai perderemo, per via informatica, di tutte le mozioni, le sfumature e le impressioni, rispetto alla diretta dei nostri sensi? Alla fine, temo, perderemo la Vita.
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