Rivista "IBC" XVII, 2009, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Ciò che chiamiamo paesaggio richiede un guardare profondo, un saper vedere, un interpretare. Come leggere un libro, o un palinsesto stratificato, dove le forme e i segni rimandano all'avvicendarsi di altri uomini e altre storie.
Una cultura dello sguardo

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

In un discorso pieno di suggestioni fin dal titolo, Costruire abitare pensare, il filosofo Heidegger invita a considerare l'abitare come il tratto fondamentale dell'essere dell'uomo e vi associa l'aver cura, il prendere in custodia, che è insieme un salvare la terra, un soggiornare presso le cose, un lasciar essere ogni cosa nella sua essenza.

Sono espressioni e concetti che si sarebbe tentati di riferire anche al tema del paesaggio per ribadirne una volta di più il significato antropologico, la complessità funzionale, cominciando dal rapporto determinante fra il visibile e il non visibile. Se infatti, come dice Lucio Gambi, il paesaggio è un insieme di cose, di oggetti che vediamo per uno spazio più o meno grande intorno a noi quando ci troviamo in una posizione dominante, vi sono in esso altre cose e altri processi che vi lasciano effetti quanto mai importanti e decisivi, che poi ne definiscono la storia, la laboriosa vicenda interna. Così ciò che chiamiamo paesaggio vuole da parte nostra un guardare profondo, un saper vedere che è a un tempo un interpretare.

In fondo leggere un paesaggio è come leggere un libro, o meglio, un palinsesto stratificato, dove le forme rimandano all'avvicendarsi di uomini e istituzioni. Ma proprio per questo occorre una cultura dello sguardo, un'educazione percettiva che abbia una forza indagante e congetturale, che sappia rendere conto di una realtà contemplata e ne riscopra la dinamica interna, una natura naturans che diviene cultura, racconto e forse confronto.

Per imparare a guardare, a cogliere il "volto" di un paesaggio, la sua tonalità e il suo colore non c'è di meglio che interrogare delle immagini fotografiche "leggendole" come altrettante indagini sottratte alla convenzione opaca della consuetudine e aperte di nuovo al piacere della scoperta, al fascino dell'inedito e del singolare. Di qui la scelta del nostro dossier, che vuole essere anche un'introduzione, un esercizio di lettura, una verifica della sensibilità e del suo metodo insieme intuitivo e analitico. Come ha scritto Susan Sontag, "la forza di una fotografia sta nel conservare, suscettibili d'indagine, momenti che il normale fluire del tempo sostituisce immediatamente". Osservare è alla fine anche pensare, interpretare, fare esperienza; e, forse, anche questo rientra nel custodire di cui ci parla il filosofo dell'abitare.

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