Rivista "IBC" XVII, 2009, 1
biblioteche e archivi / linguaggi, pubblicazioni
Quando ho preso in mano il libro di Marzia Panzini, Nel ricordo dipingimi, mi sono chiesto come potevo esaudire la richiesta contenuta nel titolo, da perfetto estraneo quale mi sentivo, e presentarlo in maniera adeguata. Un oggetto circonfuso dell'affetto degli amici che hanno contribuito a realizzarlo con il loro impegno e sostegno, dall'immagine di copertina di Sergio Tisselli alla scelta e cura dei testi, pareva richiedere l'attenzione di chi, attraverso una memoria condivisa, fosse in grado di specchiarsi in esso in maniera intima: e sembrava paradossale che potessi farlo io, che di primo acchito non mi sentivo in una relazione così stretta. Eppure un libro non è mai un fatto privato, il suo scopo essendo proprio quello di portare le voci degli autori al di là dei limiti che sono loro imposti dalle circostanze (spesso inique) dell'esistenza. Quindi, messe da parte le mie riluttanze, ho aperto le sue pagine, lasciando a loro la voce.
Ho così scoperto un paradosso nel paradosso: mentre credevo di non conoscere Marzia, in realtà la conoscevo abbastanza bene. Solo sfogliandone le pagine ho cominciato infatti ad avvertire una strana familiarità, un tono che sembrava conservare l'eco di qualcosa di conosciuto. La curiosità da un lato, e dall'altro l'abitudine radicata dal mestiere di smontare e rimontare libri, mi hanno spinto a cercare nell'indice e nelle pagine finali, dove si trovano le note ai testi, una spiegazione, trovando infatti una conferma della mia sensazione: dalla fine degli anni Ottanta (dopo quella felicissima esplosione di creatività che precedette, accompagnò e seguì l'edizione bolognese della "Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo" nel 1988) sino al 2000 e oltre, Marzia Panzini è stata presente in quei luoghi, eventi, momenti che sono stati i nuclei pulsanti e vivi del fare letterario a Bologna: il festival di poesia e narrativa organizzato dall'associazione "Versodove", l'antologia femminile curata da Alberti, Codrignani e Frabotta, i censimenti della poesia di Castelli e Centi, le riviste come "Opposizioni", "Private", "Voci della Luna". Occasioni, spazi e pagine che frequentava assiduamente chi in quegli anni aveva curiosità di conoscere o idee da condividere o voglia di partecipare, mosso da un autentico desiderio di mettersi in gioco e di imparare, che allora costituiva spesso la principale motivazione del fare artistico (così diverso dalla fatua ansia di protagonismo che oggi imperversa su tutti gli schermi).
Molte dunque erano le esperienze che si era trovato a condividere con lei chi, come me, compiva in quegli anni il proprio apprendistato, perché le scene su cui si era mossa Marzia erano le più importanti, le più osservate. Ritornando allora ai testi con questa consapevolezza, messe finalmente da parte le ingombranti ambasce del commento, con più calma e attenzione ho lasciato spazio a loro: questo in fondo si chiede al lettore, secondo l'etica ben descritta da Ezio Raimondi, in quell'atto che costituisce l'incontro più intimo che si possa dare con un altro essere umano, nel momento in cui si cedono alle sue parole la propria vista, il proprio respiro, il flusso stesso del proprio sangue. È riemersa allora la viva verità di una voce e di una stagione: dell'una come dell'altra, la sostanza, la cifra caratteristica, erano l'ironia e l'intelligenza, l'acume consapevole sia delle amarezze sia della propria forte determinazione nel voler cambiare le cose. E soprattutto, nei versi di Marzia, nella sua prosa, si percepisce la scrittura come una passione fortissima, come la più alta delle passioni: non è un caso che in una poesia si definisca l'arte con due aggettivi, "dolce" e "aspra", che abbinati così ricordano molto da vicino il glukupikron, il dolceamaro di Saffo, epiteto che la poetessa greca riservava proprio all'amore.
Marzia costituisce dunque una parte viva di quella particolare cultura e di quella stagione, non solo perché le aveva vissute intensamente, ma perché aveva saputo imprimere su di esse la propria impronta. Chi si è formato in quegli anni, e oggi cerca di continuare a scrivere, non può dunque fare a meno di rispecchiarsi e riconoscersi nella sua scrittura e nella sua appassionata determinazione; con tutte le differenze del caso, personali e di tempi; con tutti i propri limiti. Non può fare a meno di concludere che Marzia la conosceva, e bene, perché spesso quelle parole o inflessioni sue vorrebbe ritrovarle sotto la propria penna. Ed era ciò che intendeva Foscolo in quello splendido poema purtroppo ormai noto solo per essere imposto controvoglia sui banchi di scuola. Da questo punto di vista si può davvero dire che Marzia è stata a suo modo un'autrice "classica", parola che pare altisonante appena pronunciata, ma di cui un poeta di oggi (Stefano Dal Bianco) sa spiegare bene il senso: classica è la voce che sa trovare le parole e la pronuncia di una generazione.
Ci si può certo rallegrare di ciò, nel momento in cui la scrittura compie la sua più grande capacità: restituirci la voce di chi è trasceso oltre il nostro orizzonte, facendola risuonare viva attraverso la nostra. Resta però il velo di tristezza che accompagna ogni riconoscimento postumo. Viene da chiedersi (almeno me lo chiedo io, che mi sono sforzato per anni di essere un lettore attento): possibile avere dimenticato tutti da dove veniamo, chi siamo stati e cosa abbiamo condiviso? Possibile dover dare luogo solo a commemorazioni? Ben vengano, queste, perché certo svolgono una funzione importante nella nostra memoria: eppure quanto sono anch'esse dolci e aspre, nel momento in cui celebrano un ritrovarsi, perché conservano al tempo stesso il segno di una distanza e ci accusano implacabilmente di dimenticanza e distrazione. Bologna ha prodotto tantissima arte e cultura in questi ultimi venti-trent'anni: per restare solo all'ambito di Marzia, posso aggiungere i nomi di Gilberto Centi e di Patrizia Vicinelli, anch'essi scomparsi. Possibile che distratti dal luccichio dei salotti mediatici romani e milanesi, spesso più frivoli e vanesi di quanto vorrebbero far credere, ci siamo dimenticati la solida ricchezza che abbiamo avuto in casa nostra? L'auspicio è che Nel ricordo dipingimi serva anche a ricordarci di ciò, e a fare meglio in futuro.
M. Panzini, Nel ricordo dipingimi. Poesie e racconti, Bologna, Edizioni Pendragon, 2008, 116 pagine, 8,00 euro.
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