Rivista "IBC" XVII, 2009, 1

mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, storie e personaggi

I colori dell'artista David Tremlett illuminano i muri del castello di Formigine, recentemente restaurato. E rimettono in comunicazione antico e moderno...
Pastelli e grafite

Chiara Vecchio Nepita
[responsabile dell'Ufficio comunicazione esterna del Comune di Formigine (Modena)]

"Viaggi per rivivere il tuo passato?" - era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: "Viaggi per ritrovare il tuo futuro?". E la risposta di Marco: "L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà".1


Lo hanno paragonato a un cantastorie, a un archeologo, a un rabdomante;2 lui stesso si definisce un acchiappafantasmi.3 Per chi ha conosciuto bene David Tremlett e lo ha visto lavorare, egli è semplicemente un viaggiatore-artista. È arrivato nel maggio del 2008 al castello di Formigine, poco distante da Modena, portando con sé unicamente uno zaino e due assistenti: per lui, due compagni di viaggio. L'Assessorato alla cultura gli aveva commissionato un intervento al piano terra del palazzo marchionale, antica residenza dei signori destinata, dopo i recenti restauri, a utilizzi pubblici.4

L'intento dei curatori del progetto, Vincenzo Vandelli e Nicoletta Brigati, era ridare un'identità propria a locali che il restauro ottocentesco e soprattutto postbellico, dal gusto neomedievale, avevano occultato, eliminando i soffitti originali e buona parte degli intonaci parietali, che un tempo dovevano apparire sgargianti nei colori. Come spiega l'architetto Vandelli: "La cultura del Medioevo di mattone aveva decretato astoricamente stili e correnti artistiche uniformi per intere aree geografiche. Intonaci e decori originali vennero considerati superfetazioni e in quanto tali raschiati e abbandonati al loro destino, sostituiti dal rosso dei mattoni che divenne la dominante assoluta di torri, palazzi merlati e mura di cinta. Sono così perdute o ridotte le straordinarie testimonianze artistiche e architettoniche, ingenerando nel fruitore gusti, convinzioni e immagini errati, non facili da cambiare e oggi così abituali e radicati da essersi diffusi nella produzione architettonica contemporanea delle nostre periferie di provincia padana".5

In un momento storico in cui il dibattito sulle istituzioni museali si fa quanto mai stringente, incalzato anche da autorevoli interventi provocatori, il progetto della committenza formiginese appare decisamente coraggioso, poiché pensa al suo castello nei termini di "un patrimonio spirituale che testimonia della storia di un paese".6 Lo sottolinea anche Angela Vettese, direttrice della Galleria civica di Modena, che ha sostenuto il progetto insieme alla Fondazione Cassa di risparmio di Modena, con il contributo della galleria studio G7, e delle ditte LAR e Tellure Rôta: "Questo castello dimostra una grande dedizione verso l'arte contemporanea, senza volerne fare spettacolo a tutti i costi. L'idea è quella dell'arte come buona compagnia per la nostra vita, buono spunto per riflettere, buon modo per abitare. È certamente spettacolare l'importanza dell'artista, che era alla Tate Britain già nel 1972 e al MoMA di New York l'anno dopo. Ciononostante, il modo con il quale è stato concepito l'intervento è estremamente pulito, vorrei dire quasi intimo e dedicato a una comunità. Chi segue l'arte contemporanea vede mostre tutte un po' identiche, a Sidney come a Shanghai, a New York come a Londra: una festa rumorosa che lascia solo cocci, senza la minima attenzione per il territorio. In questo caso, un artista di rilevanza internazionale ha interpretato i muri di un castello, ha letto le strutture architettoniche ma anche la struttura umana del sito e l'ha tradotta in un intervento che rimarrà come patrimonio. Quest'opera, piuttosto di fare spettacolo, tende a fare identità; è un passo attraverso cui il castello, e con esso tutta la cittadina, costruisce o ricostruisce o prolunga la propria identità".

L'interpretazione artistica del genius loci inizia nel momento in cui David Tremlett si pone letteralmente in dialogo con i muri sui quali deve intervenire. Nel primo caso, in regione, di recupero e valorizzazione di un edificio storico attraverso un'opera d'arte contemporanea, che ha interessato la Cappella di Santa Maria dei Carcerati (nel complesso del Palazzo Re Enzo a Bologna) e che è stato affidato proprio a Tremlett nel 2003, l'artista dichiarava di avere percepito chiaramente, nel luogo di culto abbandonato, l'ultimo grido di dolore del condannato a morte. Basando il lavoro su questa sensazione, egli regalava un cielo salvifico, ispirando le sue geometrie alle volte stellate delle antiche basiliche. Nel castello formiginese, a parlare non era soltanto ciò che rimaneva delle passate decorazioni: il rosso, il giallo e il verde di un fascione geometrico che si incuneava dall'esterno dentro ai vani delle finestre della struttura quattrocentesca; le delicate foglie d'acanto intervallate a pigne (o nidi che rappresentavano le trame delle alleanze politiche?), ad aquile e agli stemmi araldici dei Pio nella stanza del Capitano delle Guardie; la finta tappezzeria settecentesca nella camera da letto dei Conti Calcagnini d'Este. Qui Tremlett interroga il palinsesto di stratificazioni succedutesi nel corso dei secoli e tutti gli elementi architettonici, per trovare, a suo dire, un equilibrio fra leggerezza e pesantezza. Sembra quasi che studi anche i committenti, con i quali non istaura mai rapporti di sottomissione intellettuale, bensì di ispirazione reciproca e, in molti casi, di sincera amicizia. Certamente coglie i sapori della terra che lo ospita, partecipando della passione tutta inglese per i cibi e per i vini italiani. Arrivato in Italia per la prima volta all'inizio degli anni Settanta, Tremlett non sembra affascinato esclusivamente dagli affreschi di Giotto, di Piero della Francesca o di Mantegna: da buon viaggiatore, è la cultura italiana nel suo complesso a interessarlo, e può capitare che Formigine sia ricordato dall'artista anche per l'aceto balsamico o per il tosone!

Una volta preparato il bozzetto dell'intervento su carta, David Tremlett si avvia a trasferirlo sui muri. Lo fa predisponendo scale e impalcature, metri da muratore per misurare, nastro adesivo e cartoni per sezionare le porzioni delle pareti. La precisione e la raffinatezza del suo lavoro, tutt'altro che performativo (siamo noi a volerlo "spiare" suo malgrado, talvolta con telecamere e macchine fotografiche), unitamente alla presenza di assistenti, non può non ricordare le botteghe degli antichi maestri. L'artista, tuttavia, rifiuta un collegamento diretto con questa tradizione, ritenendo del tutto naturale circondarsi di aiutanti, ai quali offre l'inusuale possibilità di divenire autori dell'esecuzione del progetto, che in ogni sezione dipinta si arricchisce della personalità di ognuno, come lui stesso ama sottolineare. Quale eccezionale opportunità, allora, è stata per i due studenti dell'Istituto d'arte "Venturi" (Walter Morselli e Valentina Bimbi) che, invitati dal Comune di Formigine, hanno partecipato alla realizzazione dell'opera; assieme a Kanako Noda, studentessa dell'Accademia di belle arti di Bologna, e a Peter Smith, esperto collaboratore di Tremlett.

Se la grafite con la quale l'artista disegna gli spazi rimanda ai primi lavori degli anni Settanta, già di chiara ispirazione concettuale, i pastelli colorati (che lui chiama semplicemente "pigmenti") sono il frutto più evidente della sua vita di abitante del mondo, sin da quando raggiunse i genitori in Australia facendo l'autostop, e poi l'Oriente e l'America Latina, fino all'Africa, dove fu attratto dai muri delle baracche diroccate, irresistibili perché fatte di fango e per questo "precarie". David Tremlett racconta di avere scoperto i pigmenti in India, osservando i cumuli di polveri con le quali venivano tinti i tessuti.7 Immergendo il dito in queste polveri coloratissime, l'artista ebbe un'intuizione: con pochissimo colore era possibile coprire superfici molto ampie. Molto di più di una semplice tecnica artistica, l'uso del pastello divenne ben presto un modus vivendi, che Tremlett traduce nella "filosofia del viaggiare leggeri".

L'artista non ha bisogno né di acqua né di solventi per diluire i suoi colori, non usa neppure spatole e pennelli: massaggia le pareti con i polpastrelli aiutandosi, di tanto in tanto, con spugne. La modalità è del tutto simile a quella dello scultore mentre plasma l'argilla, o del ceramista: non ci sono intermediari fra la mano creatrice e la materia. Determinanti si rivelano gli studi giovanili di scultura al Royal College of Art di Londra, e ancora di più la convinzione che la pittura sia illusoria, una sorta di finzione lontana dal suo bisogno di costruire qualcosa di reale, solido, strutturale. In quest'ottica, i cinque wall drawings realizzati per il castello di Formigine (così vengono comunemente chiamati questi interventi su parete) si presentano all'artista come "blocchi di pietra posizionati all'interno di una cornice".8 Sono forme geometriche irregolari, determinate da linee perfette; trapezi, sezioni di cerchi, rettangoli spezzati che contengono parti dipinte di rosso, di verde, di arancio. Colori forti ma non sgargianti, che ricordano terre e sabbie lontane, dove anche il bianco e il nero rivestono ruoli importanti. Fragilissimi supporti di grafite sorreggono le imponenti composizioni e servono da punto di fuga verso il soffitto, il pavimento, le finestre. Li ritroviamo più forti, questa volta dipinti, nella recente personale che Ginevra Grigolo, prima mecenate dell'artista in Italia, ha voluto dedicare a David Tremlett all'interno della sua galleria bolognese. Il risultato finale dell'opera formiginese è un effetto decisamente tridimensionale, dove le cinque pareti interessate dall'intervento dialogano tra di loro attraverso molte suggestioni e rimandi.

Un'esperienza così fertile dal punto di vista creativo non poteva non avere ricadute sulla programmazione culturale della città. Da qui la decisione dell'Assessorato alla cultura di raccogliere, per la prima volta, i bozzetti degli interventi realizzati da Tremlett per sedi storiche pubbliche e private, e di esporli in mostra, con il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali. La rassegna, curata da Vincenzo Vandelli e da Nicoletta Brigati, con l'allestimento dell'architetto Domenico Biondi, ha raccontato di una villa palladiana e di un casino di caccia nelle campagne del meridione, di un palazzo senatorio nel cuore di Bologna e di una cappella dedicata al Barolo, come in un Grand Tour contemporaneoattraverso luoghi dove le persone pregano, si amano, vivono.

Questi interventi - che testimoniano di un dialogo possibile tra antico e moderno, così come quelli realizzati per il castello di Formigine - si presume rimarranno nel tempo. Ma a David Tremlett la cosa non interessa: "Spesso" - ha detto - "mi chiedono perché distruggo le mie opere e se questo non mi dispiace. Fa parte della storia. Non mi causa dei grossi problemi, ho lavorato anche in parti del mondo dove non esiste il concetto di dover tenere tutto, dove magari il sole è talmente forte che distrugge tutto ciò che fai, dove la vita stessa è una di quelle cose che non sono così permanenti. Io tratto le mie opere in questo modo, come una parte della vita, come il respirare, il fare, il tenere, con l'idea che passiamo il nostro tempo a fare del nostro meglio, e se a volte sono cose destinate a scomparire, allora così sia. Non sono mai stato un tipo sentimentale".9 L'atteggiamento di questo cavaliere errante, in tutta la sua leggerezza di calviniana memoria, fa riflettere su quanto sia importante, anche nell'approccio con l'arte contemporanea, sostenere la creatività. E innamorarsi dell'idea di creazione prima ancora dell'oggetto creato.


Note

(1) I. Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2007, p. 27.

(2) A. Vettese, David Tremlett, la forza della visione, in David Tremlett al Castello di Formigine e in altre sedi storiche, a cura di N. Brigati, Milano, Silvana Editoriale, 2008, p. 14.

(3) R. Paiano, David Tremlett, l'acchiappafantasmi, in A. Melandri, David Tremlett, Bologna, Grafiche Damiani, 2008, p. 5.

(4) C. Vecchio Nepita, Narra la fortezza..., "IBC", XV, 2007, 2, pp. 30-32.

(5) G. Pesci, V. Vandelli, Segni antichi e contemporanei nel castello ritrovato, in David Tremlett al Castello di Formigine e in altre sedi storiche, cit., pp. 17-18.

(6) J. Clair, La crisi dei musei. La globalizzazione della cultura, Milano, Skira, 2008.

(7) C. Fini, Filosofia della leggerezza. Intervista con David Tremlett, in David Tremlett al Castello di Formigine e in altre sedi storiche, cit., p. 23.

(8) Ibidem, pp. 22.

(9) Ibidem, pp. 24.

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