Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

Dossier: Dentro l'evento - Anatomia di una manifestazione culturale

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Niente di straordinario

Marcello Di Bella
[dirigente del Settore cultura del Comune di Rimini]

È difficile aggiungere delle osservazioni. Vorrei però precisare come è nato questo festival. Qui si è parlato di "format", di economia, di turismo e quant'altro. Il nostro evento nasce in realtà parecchi anni fa, e non come festival. Si chiamava "Antico/Presente" ed era un ciclo di commenti magistrali realizzati nell'Anfiteatro romano: la sigla è rimasta tuttora, ma da tre anni (questo sarà il quarto) ha una specificazione che dichiara ciò che è diventato: "Festival del Mondo Antico". Prima di raccontare come tutto questo sia successo, desidero fare una precisazione sul tema dei costi. Il nostro è un festival che costa molto poco. I finanziamenti rientrano nel bilancio del Comune e della Provincia di Rimini. C'è un piccolo aiuto della Regione Emilia-Romagna. Gli sponsor privati sono pressoché inesistenti. Per parlare di cifre siamo, come uscita complessiva, sui centocinquantamila euro.

Detto questo, la manifestazione si realizza perché è il risultato di un modo di interpretare il lavoro quotidiano di una biblioteca, dei musei e delle attività teatrali di una città. Come dipendente comunale responsabile di queste istituzioni, con il compito di riempire una casella intitolata "fruizione", ho pensato che muovendo dai documenti materiali - siani dei libri, antichi e moderni, siano dei cocci, siano degli affreschi, dei dipinti, dei mosaici - si può ricostruire il mondo che li ha generati e mettere in relazione quel mondo con il nostro. È qualcosa che la cultura ha sempre fatto e continua a fare: la rilettura dell'antico per analogia e per differenza è un atto costitutivo della cultura moderna contemporanea e anche dell'avanguardia. Ecco: questo è il compito istituzionale che abbiamo cercato di realizzare. È dunque il lavoro quotidiano di tutti i collaboratori della biblioteca e dei musei ad avere generato questo evento, che è il punto di approdo di un'azione permanente.

Il Festival - che è pur sempre un prodotto molto artigianale, per il quale possiamo anche usare la parola "format", sebbene mi sembri un po' esagerata - sta lentamente crescendo nell'interesse del pubblico. Un pubblico invitato a seguire proposte che fanno rivivere la parola degli antichi, greci e romani, oppure le riflessioni su questo o quell'aspetto della cultura antica e non soltanto del nostro Occidente, ma anche del Medioriente o dell'Oriente più lontano, anche nella dimensione antropologica. Non dimentichiamo che a Rimini - insieme a una pinacoteca, a un museo archeologico che si sta espandendo, a una biblioteca che ha una certa tradizione (la prima biblioteca civica d'Italia) - c'è anche un museo antropologico che si chiama Museo degli Sguardi. Quello che si è cercato di fare, con mezzi abbastanza limitati, è far parlare le pietre e gli altri materiali. Certamente c'è il problema dei contenuti, del senso da dare alle scelte. Nel caso nostro si tratta di ottimizzare il lavoro di queste istituzioni. In realtà lo sforzo organizzativo per definire e mettere a fuoco degli avvenimenti ha ricadute positive sul piano delle relazioni, delle acquisizioni di materiali, della vita stessa di queste istituzioni. È un investimento tale che, anche se cessasse l'occasione festival, sarebbe conveniente da fare.

Scegliere Rimini per dedicarsi al mondo antico mi sembrava un ossimoro così significativo che valeva la pena sperimentarlo. Sempre a Rimini organizzo degli incontri di filosofia che si chiamano "Meditazioni riminesi", e anche questo è un ossimoro perché, come è stato detto, nessuno pensa che Rimini sia un luogo meditativo. Noi - e parlo di istituzioni pubbliche, in questo caso un comune - occupiamo uno spazio che non è né quello televisivo né quello della scuola: è quella via intermedia di cui, forse, si avverte l'esigenza. Poi, considerando in generale la situazione della cultura, credo non sia del tutto inutile dare degli strumenti, delle occasioni o delle suggestioni a un pubblico, specialmente quello più giovane, che è schiacciato esclusivamente sul presente e per il quale il tempo è bidimensionale, privo di una prospettiva.

Non penso al turismo che non investe in queste iniziative. Preferisco pensare che un buon evento culturale avrà delle ricadute turistiche se è fatto bene. Tengo poi a sottolineare un aspetto: lo scopo di questo festival è di andare oltre la dimensione locale, è di portare nella dimensione locale la dimensione universale e viceversa. La chiusura localistica, infatti, è uno dei limiti che più soffocano la diffusione della cultura. Se conservare, e bene, le proprie reliquie storico-artistiche o archeologiche è un atto dovuto, da dare per scontato, non è affatto scontato farle in qualche modo parlare quelle reliquie. E quando le si fa parlare, non ci si rivolge solo ai cittadini di un comune o di una provincia: quando si fa cultura si parla in generale al pubblico, ai cittadini di una nazione e non solo. Le istituzioni locali hanno un senso solo se si misurano con ciò che non è locale, ma questa è una battaglia molto difficile, troppo spesso soffocata da chiusure di ordine politico ristretto.

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