Rivista "IBC" XVI, 2008, 2
Dossier: Dentro l'evento - Anatomia di una manifestazione culturale
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
La ricerca è molto ben costruita, collega tutte le problematiche, gli aspetti positivi e gli aspetti negativi, li mette tutti in evidenza. Ma c'è un tema sul quale però non entra, un tema che si collega molto bene anche alle problematiche del pubblico: quello dei costi di questi eventi e dei soggetti chiamati a finanziarli. I festival costano tante decine e centinaia di migliaia di euro, mediamente dal mezzo milione al milione e mezzo. Quello che Di Bella realizza a Rimini costa pochissimo, è un suo merito, ma credo che ci si debba porre l'interrogativo "chi mette i soldi cosa si aspetta?". Bisogna soffermarsi sul legame tra chi finanzia e chi fruisce.
Al di là delle aspettative che può nutrire un assessorato per un ritorno di flusso di interesse sulla città, non dobbiamo dimenticare che i festival sono finanziati in forte misura da grandi aziende private: ENEL, ENI, Telecom, Vodafone, banche, eccetera. Costoro si aspettano dei ritorni molto precisi, che riguardano evidentemente il tema dei flussi di persone che partecipano a tali eventi. Trovo che il Festival di Rimini, in particolare, abbia un'ambizione che deriva forse dalla formazione culturale di chi più ci si dedica, Di Bella, il quale vuol dare delle risposte in termini di contenuti. Dice Di Bella: "Occuparsi di mondo antico per noi significa soprattutto avere un occhio antropologico, cioè vedere cosa c'è nella nostra cultura, nelle altre culture, ed è interessante comprendere ciò che è altro da noi".
Dunque qui si tratta di contenuti molto precisi, che non so quanto si collegano ai flussi di pubblico così generale che necessitano di un evento medio. Questa ricerca evidenzia una sorta di polarizzazione che c'è a Rimini tra l'evento alto, "accademico", e una divulgazione, non di basso profilo, ma insomma comunque più facilmente fruibile. Ecco: l'evento "medio", come viene definito, c'è meno. Questo è un problema, perché in realtà gran parte del pubblico che frequenta il Festival di Rimini è fatto da quelli che, come gli insegnanti, vogliono costruire, mantenere viva la loro preparazione, la loro formazione. È un fatto positivo, certo, ma è anche una categoria molto specifica, mentre poi il resto del pubblico, almeno stando a questa ricerca, va e partecipa in massa quando c'è un'autorità mediatica, come le definisce Ortoleva: il personaggio comunque già noto perché scrive sul giornale, perché va in televisione, perché fa parte di quel gruppo di personaggi che ormai si ritrovano in quasi tutti i festival.
Possiamo chiederci, per un gusto un po' provocatorio, se davvero questa formula del festival continui ad avere una sua importanza, un suo rilievo culturale vero, o se non sia da incentivare, come suggerisce anche la ricerca di Ortoleva, un'interattività tra il pubblico e chi parla, così da dare all'evento un carattere formativo che nel formato festival è ben difficile ci possa essere. Volendo estremizzare, non è un caso che nella ricerca si usi l'espressione "format": "format" è il classico programma televisivo, dove succedono tante cose come nei festival, con linguaggi diversi come nei festival, dove si mette insieme la proposta alta con il gioco, con la rappresentazione visiva di qualcosa; è un succedersi di immagini e di eventi, dove in fondo la gente, come nella platea televisiva, è contenta di partecipare tutta insieme a un evento.
Credo insomma che il festival sia ancora importante come stimolo culturale, ma occorre stare attenti a non trasformarlo in una forma di fruizione passiva che non riesce a suscitare emozioni, a sedimentare conoscenze, a coinvolgere appunto sui contenuti, come Di Bella e anche altri auspicherebbero, piuttosto che sul programma. Non so se quelli che vanno a Rimini percepiscono questo senso antropologico, il bisogno dell'essere e non dell'avere; mi auguro di sì. Sono dell'avviso però che, al di là di quanto ha detto Franchini, se i fiori diventassero un po' meno, e qualcuno appassisse, sarebbe forse meglio. Non riesco a capire che senso abbia un festival a Firenze, in una città che è stracolma di turisti, mentre credo abbia più senso in quelle città medio-piccole che, come Rimini, riescono a creare una tradizione sedimentata.
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