Rivista "IBC" XVI, 2008, 2
Dossier: Dentro l'evento - Anatomia di una manifestazione culturale
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Grazie all'IBC e grazie a Ortoleva e ai suoi collaboratori per avere offerto, con la loro ricerca, una valida griglia interpretativa alle persone che lavorano in questo settore. Non entrerò nel merito dei risultati ma ne farò uno strumento utile ai miei fini di presidente del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Come è stato giustamente ricordato da Ortoleva, in Italia negli ultimi dieci anni i festival sono fioriti come i famosi cento fiori di maoista memoria, e altri ne nasceranno. Questi eventi "politici", sempre più connotati da un rapporto privilegiato con il pensiero e la parola (e differenti dai festival di musica, di balletto, eccetera), sono una novità recente in questo Paese. Una novità difficile da capire sia per chi li "fa", sia per chi cerca di studiarli, sia per i pubblici amministratori.
Parlo di eventi "politici" muovendo dal significato della parola polis, città: per quanto riguarda il nostro festival - ma lo si potrebbe dire per quello di Mantova e per tanti altri - si tratta di manifestazioni che hanno portato a discutere sulla ridefinizione dello spazio pubblico condiviso delle città. Per il Festival Filosofia abbiamo restituito alle piazze di Modena, Carpi e Sassuolo un ruolo di aggregazione che per motivi economici, religiosi, amministrativi era insito in questi spazi ma che negli ultimi anni si era affievolito. Abbiamo detto: "riportiamo i filosofi nell'agorà" e ci siamo resi conto che un ampio pubblico desiderava questo approccio.
Il caso di Rimini evidenzia, in positivo, l'inutilità di una contrapposizione, creata talvolta dagli amministratori, quella tra marketing culturale da una parte, e marketing turistico dall'altra. Il Festival del Mondo Antico denota, infatti, la volontà di ridefinire l'identità culturale della città, è un segnale preciso, da consolidare. Non sottovaluterei il ruolo degli insegnanti nel successo di questa iniziativa, e neppure l'esigenza di aggiornamenti emersa da parte loro, rilevata anche dalla ricerca. Se ricordate, gli assessorati alla cultura sono nati, come nel caso di Modena, per gemmazione dagli assessorati alla scuola: l'idea era quella di offrire delle occasioni di apprendimento anche oltre il percorso scolastico, lungo tutto il corso della vita (quello che oggi l'Unione europea, con un'espressione molto elegante, definisce lifelong learning).
Dal punto di vista culturale, uno degli elementi fondamentali di questo genere di manifestazioni è la capacità di intersecare linguaggi e discipline diversi. Di mescolarli in un difficile cocktail di festa condivisa. Senza disdegnare la cucina: poiché noi mangiamo parole e, come diceva uno scrittore spagnolo, il palato è nella memoria. L'organizzazione di un festival, inoltre, produce effetti che vanno ben oltre le giornate in cui si svolge: insegna a lavorare in modo differente, produce interazioni tra chi vi lavora e le istituzioni, i gruppi e i privati che vi partecipano, e queste relazioni, se ben gestite, possono portare frutti nel resto dell'anno. Questo è un aspetto da non trascurare: è un modo per ribadire l'esigenza di ridefinire la politica degli strumenti di comunicazione che riguardano la cultura.
Anche il profilo economico non è da trascurare. Molti assessori - non è il caso di Rimini - hanno voluto i festival per un puro scopo di marketing turistico, rischiando in qualche modo di soffocarli nella culla, con forte miopia e con poco senso della prospettiva. Si è parlato molto di Mantova, che è il capostipite di un certo tipo di festival; Mantova, però, è nata su un modello diverso: è stata commissionata una ricerca e la proposta che ne è scaturita ha ricalcato il modello sperimentato dagli anglosassoni nei festival di letteratura. Quello mantovano, infatti, è un festival a prenotazione, con biglietto, esattamente come quello di Edimburgo o di altri festival di quell'area geografica. A Modena non è così: non ci sono né biglietti, né prenotazioni. Corriamo dei rischi, abbiamo più problemi, siamo esposti a più critiche, ma in questo modo di procedere c'è anche un'interpretazione politico-sociale e culturale del festival. Tengo a ribadirlo.
La ricerca presentata a Mantova qualche settimana fa dimostra, dal punto di vista economico, che per un euro investito ne ritornano dieci in quella città. La cosa, devo dire, mi ha stupito, perché queste cifre non mi parevano realistiche e possibili, ma prendo per buono questo tipo di analisi. In ogni caso, per quel che riguarda i festival, io sono per la teoria dei cento fiori: come dire che siamo diversi ma nello stesso tempo ci sentiamo affratellati agli altri festival. E sebbene non costituiscano più una novità, come sottolinea anche la ricerca, e i festival richiamino l'attenzione dei media per ciò che vengono a dire gli oratori e non più perché siano un fatto sociale, continuano in parte a stupire. Dovremmo fare in modo che i festival trovino un punto di equilibrio permanente, di solidarietà reciproca, soprattutto grazie alla loro diversità, in modo da presentarsi come un interlocutore della società italiana e anche, diciamo pure, dei governi che verranno. Insomma, perché non pensare a una vera e propria lobby dei festival?
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