Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

biblioteche e archivi / convegni e seminari

Dagli standard internazionali alle opportunità di rete offerte dal Web: come cambia e in che direzione viaggia la descrizione archivistica?
L'archivio condiviso

Stefano Vitali
[Archivio di Stato di Firenze]

Standard, condivisione, interoperabilità: le parole chiave introdotte dall'uso del Web sono sempre più diffuse anche nel mondo degli archivi, caratterizzato da una complessità che fino a un decennio fa sembrava impossibile da governare con strumenti partecipati a livello nazionale e internazionale. A questo tema, ai suoi aspetti teorici e ai suoi sviluppi operativi all'estero e in Italia, è stato dedicato il convegno "Standard e formati di scambio per l'interoperabilità dei sistemi archivistici", organizzato a Bologna l'8 e il 9 maggio 2008 dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, con la collaborazione dell'Archivio di Stato del capoluogo e il contributo della Fondazione del Monte e della Fondazione Carisbo. Pubblichiamo l'intervento pronunciato da Stefano Vitali, dell'Archivio di Stato di Firenze, membro italiano dell'"Encoded Archival Context working group" e coideatore del convegno.


Se l'avvento dell'informatica e l'elaborazione dello standard ISAD (G) hanno segnato, fra la fine degli Ottanta e l'inizio dei Novanta, l'avvio di un significativo mutamento di metodologie e pratiche descrittive, è stato solo con l'ISAAR (CPF), e con il modello della gestione separata ma connessa di archivi e soggetti produttori, che sono state poste le basi per una concezione della descrizione archivistica realmente innovativa e capace di confrontarsi con i caratteri peculiari del mondo digitale.1 Proseguendo sulla linea aperta dall'ISAAR (CPF), il Committee on Best Practices and Standards ha rilasciato recentemente due nuovi standard che arricchiscono la descrizione del contesto archivistico di altri elementi quali le funzioni esercitate dai soggetti produttori di archivi,2 e le istituzioni che se ne prendono cura e che, conservandoli, determinano, con la loro storia, le loro politiche culturali, gli stili di comunicazione con il pubblico, un nuovo contesto in cui gli archivi storici vedono quindi ridefiniti i loro usi e significati.3

L'intreccio e la combinazione delle descrizioni di questo insieme di entità delineano un modello di sistemi descrittivi archivistici multidimensionali, dinamici, aperti, capaci di collocare le descrizioni dei complessi archivistici all'interno di una complessa rete di riferimenti contestuali in grado di fornire una articolata illustrazione dei processi di produzione, trasmissione e uso della documentazione e di indicarne le affinità, i legami, le connessioni storiche o concettuali con altre risorse culturali. Un modello quindi che, da un lato, costituisce una innovazione profonda rispetto all'impianto monodimensionale, statico e autoreferenziale, dei tradizionali strumenti di ricerca, di tipo inventariale e, dall'altro, appare particolarmente congeniale per l'ambiente digitale e per le modalità di ricerca e di navigazione nei depositi dell'informazione e della conoscenza che sono tipici del Web.

Certo, dopo più di un decennio da quando questo modello ha cominciato a muovere i suoi primi passi, ci si potrebbe legittimamente interrogare su quanto esso abbia realmente attecchito a livello internazionale e in che misura sia stato applicato, nelle diverse realtà nazionali, alla realizzazione di strumenti di ricerca digitali. Una analisi, anche superficiale, di quelli accessibili sul Web indurrebbe probabilmente a trarre considerazioni tutt'altro che confortanti. La sua diffusione appare infatti tutto sommato minoritaria, limitata come sembra all'Australia e ad alcuni Paesi europei (in particolare, fra gli altri, la Gran Bretagna, l'Italia, la Svezia e, in misura più limitata, mi sembra, la Francia, mentre in Spagna si son fatti dei passi indietro col passaggio da Archivos Españoles en Red a PARES, il nuovo Portal de Archivos Españoles, promosso dal Ministero della cultura). Per il resto mi pare che prevalgano strumenti di ricerca di taglio sostanzialmente tradizionale, mere riproposizioni, in ambito digitale, dei modelli storicamente affermatisi nel corso del Novecento.

Quest'ultimo è anche il caso del pur ricco panorama di strumenti di ricerca pubblicati in Nord America sia sui siti web di istituzioni archivistiche che in quelli di molte iniziative collettive quali le union lists dei network archivistici delle province canadesi, oppure le raccolte di inventari pubblicati sui siti web degli archival consortia americani. In essi, la descrizione del soggetto produttore è direttamente incorporata nella descrizione del fondo, secondo modalità consolidate e ben conosciute. A parte poche eccezioni prevale "una concezione tradizionale della descrizione archivistica", basata - come ha rilevato recentemente Daniel Pitti - su "un apparato descrittivo unico orientato alla descrizione della documentazione archivistica".4 A questa concezione si conforma l'uso che vien fatto, nella maggioranza dei siti archivistici americani, dell'Encoded Archival Description (EAD), che, come ha notato Elizabeth Yakel, considera gli inventari come una tipologia di testi accomunati dalle medesime caratteristiche, "piuttosto che come un insieme di elementi informativi discreti".5 Né finora, in questa concezione tradizionale ha fatto breccia l'Encoded Archival Context (EAC), e la descrizione autonoma dei soggetti produttori e di altri elementi del contesto, che esso propugna.

Potrebbe essere molto interessante indagare sulle ragioni della scarsa presa che hanno avuto, in questa come in altre situazioni, gli aspetti più innovativi degli standard internazionali di descrizione archivistica.6 Altrettanto interessante è, all'opposto, cercare di individuare le ragioni del buon successo che, in controtendenza rispetto a molta parte del panorama internazionale, ha incontrato in Italia il modello di sistema archivistico multidimensionale e dinamico, basato sulla descrizione separata degli archivi e dei loro contesti di produzione e uso. Che di buon successo si possa parlare è dimostrato dal fatto che quel modello è stato integrato, assai precocemente, in tutti i principali software di inventariazione e nei sistemi descrittivi promossi sia dall'Amministrazione archivistica, a livello centrale e periferico, che da Regioni e da altri soggetti pubblici e privati. Significativo è anche il fatto che alcuni di questi sistemi abbiano fatto propria una visione più ampia e complessa del contesto archivistico, descrivendo entità (quali i soggetti conservatori, i contesti politico-istituzionali, quelli territoriali, le tipologie istituzionali, eccetera) che hanno avuto a che fare con i processi di produzione, trasmissione e uso della documentazione archivistica, o che comunque contribuiscono a collocare questi processi all'interno di orizzonti storici più articolati.

Una delle ragioni del successo di quel modello credo che vada cercata nel fatto che esso è sembrato particolarmente congeniale alla rappresentazione di un panorama archivistico complesso e stratificato come il nostro, ricco di intrecci fra fondi, fra fondi e molteplici soggetti produttori e fra gli stessi soggetti produttori, intrecci che sono l'esito di percorsi di produzione e trasmissione complessi e variamente articolati. Insomma, quel modello è sembrato tradurre nella pratica descrittiva le riflessioni che, per merito di archivisti del calibro di Filippo Valenti, Claudio Pavone, Isabella Zanni Rosiello, hanno vivacizzato l'elaborazione teorica e il dibattito archivistico nel nostro paese a partire dagli anni Settanta. Sono quindi le connessioni emerse fra alcune linee della nostra tradizione archivistica e la logica dei sistemi descrittivi propugnati dagli standard che può spiegare la rapida affermazione di questi ultimi.

Se in altri contesti il consolidamento dell'EAC, che si cerca di perseguire attraverso la revisione della sua versione beta, può essere lo strumento concreto in grado di promuovere la messa a punto di sistemi archivistici innovativi, in Italia si guarda a esso - così come al suo complemento, l'EAD - per motivi e con finalità parzialmente diverse. Come abbiamo accennato prima, il panorama italiano è caratterizzato da una molteplicità di sistemi archivistici istituzionali, territoriali e nazionali. La loro esistenza non è solo la conseguenza del modo in cui si è realizzata storicamente l'informatizzazione degli archivi italiani, né il risultato del fatto che numerosi sono i soggetti che operano nel settore. La dialettica fra "locale" e "nazionale" riflette, in ultima analisi, logiche più profonde, che hanno a che fare con il duplice significato oggi associato agli archivi, da un lato prodotti di contesti storici e geografici determinati e perciò fonti per la conoscenza della loro storia, ma anche veicolo di memoria e di identità; dall'altro beni culturali, tout court, e quindi, come tali, portatori di un valore, per loro natura, universale, che non può essere rinchiuso in ambiti territoriali ristretti, ma deve acquistare necessariamente una visibilità e una rilevanza nazionali e anche, se possibile, internazionali.

Perciò l'articolazione dei sistemi cui ci troviamo oggi di fronte non può essere considerata casuale né come una sorta di limite da superare rapidamente. A seconda, infatti, che le descrizioni archivistiche siano rese accessibili attraverso sistemi "locali" o centrali/nazionali, esse interagiscono con contesti storici, culturali e sociali ben distinti e acquistano perciò significati che non possono essere affatto assimilati. È pur vero che l'esigenza di stabilire connessioni e livelli crescenti di interoperabilità fra i diversi sistemi sta diventando sempre più sentita e urgente. Non è ancora tuttavia molto chiaro come tale esigenza debba essere soddisfatta, cioè se ci si debba limitare a un passaggio materiale di dati e descrizioni da un sistema all'altro, casomai secondo una scansione che resta fortemente ancorata alla gerarchia locale/nazionale, oppure se, nell'orizzonte del Web 2.0, non si debbano più opportunamente sviluppare soluzioni in grado di mettere a disposizione, in formati standard e attraverso protocolli riconosciuti, dati e informazioni che possano essere riutilizzati, anche parzialmente e per "moduli", all'interno di contesti, locali e nazionali, differenziati. Così, i diversi sistemi potrebbero realmente fungere da nodi o "poli" di una rete pienamente integrata, all'interno della quale le elaborazioni di ciascun nodo potrebbero diventare patrimonio di tutti gli altri e confluire, laddove richiesto, non solo all'interno di sistemi archivistici ma anche di sistemi culturali territoriali integrati, di sistemi bibliotecari, eccetera.

Si tratta, come si vede, di una concezione per così dire "aperta" dei sistemi archivistici, che ha varie implicazioni e che, tuttavia, si scontra oggi con i non pochi limiti di quelli che abbiamo finora costruito. Si tratta infatti di sistemi "monolitici", che non solo sono scarsamente comunicanti fra di loro, ma che soprattutto offrono rappresentazioni univoche del patrimonio archivistico, che mal rispondono alle esigenze di un pubblico sempre più differenziato e animato da finalità ed esigenze sensibilmente difformi. A usi diversi degli archivi dovrebbero poter corrispondere anche strumenti di ricerca distinti, costruiti, anche on the fly, assemblando i dati e le descrizioni sulla base di criteri distinti a seconda delle varie tipologie di pubblico, delle loro esigenze, delle loro finalità di ricerca. Più in generale i nostri sistemi dovrebbero aprirsi di più nei confronti dell'utenza, recependo alcuni strumenti tipici del Web 2.0 e facendo maggiormente propria la sua filosofia collaborativa e "sociale".

In una prospettiva del genere, l'Encoded Archival Context e l'Encoded Archival Description sono chiamati a esercitare un ruolo centrale, proprio per le tecnologie che utilizzano e per la loro totale compatibilità con gli standard di descrizione internazionali. Ma essi certo non bastano. Occorre anche sciogliere molti altri nodi di natura politica, che richiedono anch'essi apertura, disponibilità e molto spirito collaborativo.


Note

(1) ISAD (G) è il General International Standard Archival Description; ISAAR (CPF) è l'International Standard Archival Authority Record for Corporate Bodies, Persons and Families.

(2) International Council on Archives, International Standard for Describing Functions, First edition, developed by the Committee on Best Practices and Standards, Dresden, Germany, 2-4 May 2007(www.ica.org/sites/default/files/ISDF%20ENG.pdf).

(3) International Council on Archives, International Standard for Describing Institutions with Archival Holdings, First edition, developed by the Committee on Best Practices and Standards, London, United Kingdom, 10-11 March 2008 (www.ica.org/sites/default/files/ISDIAH%20Eng_0.pdf).

(4) D. Pitti, Technology and the Transformation of Archival Description, "Journal of Archival Organization", 3, 2005, 2/3, pp. 20-21.

(5) E. Yakel, Archival Representation, Archives, in Documentation, and Institutions of Social Memory. Essays from the Sawyer Seminar, a cura di F. X. Blouin, Jr. e W. G. Rosenberg, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2006, p. 158.

(6) Lo ha parzialmente fatto A. Cunningham, Harnessing the Power of Provenance in Archival Description. An Australian Perspective on the Development of the Second Edition of ISAAR (CPF), "Journal of Archival Organization", 5, 2007, 2/3, pp. 15-31.

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