Rivista "IBC" XVI, 2008, 1
Dossier: Divine metamorfosi - Il restauro dei cartoni per i mosaici danteschi del Museo d'arte della città di Ravenna
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L'aspetto più interessante delle opere oggetto di questo intervento di restauro è dovuto al fatto che i ventuno bozzetti sono stati realizzati da altrettanti artisti e ognuno di questi ha caratteristiche esecutive diverse. Ciò che per la maggior parte li accomuna, è il supporto sul quale sono stati effettuati. Sono bozzetti e forse per questo i materiali utilizzati non sono di altissima qualità. La maggior parte è dipinta su carta da scenografia ma alcuni sono stati dipinti su tela, altri su faesite e anche su compensato. Le tecniche pittoriche utilizzate sono anch'esse diverse: è stata utilizzata la tempera, il colore a olio, il colore acrilico, i pastelli, il collage, e spesso le composizioni sono state realizzate con tecniche miste.
La natura di queste opere ha indotto gli operatori, e sicuramente gli stessi artisti, a manipolare e a trattare i cartoni con estrema disinvoltura, a usarli come traccia, come spunto, ad attaccarli su pareti con chiodi e puntine: per creare quelle che verranno definite le "vere opere", realizzate a mosaico. I mosaicisti che hanno riprodotto i bozzetti li hanno usati, come di prassi si usava fare, senza preoccuparsi della loro successiva e ottimale conservazione. Anche i conservatori, nel riporli nei depositi, non hanno prestato le dovute cautele. Sono stati arrotolati, infatti, con la superficie pittorica all'interno. Alcuni sono stati spediti dal pittore stesso all'interno di tubi e probabilmente, anche in quel caso, poiché l'istintiva prudenza porta a proteggere il colore, l'arrotolamento è stato effettuato mantenendo la superficie dipinta all'interno. La logica conservativa, invece, suggerisce, anzi comanda, che l'opera sia arrotolata con la superficie dipinta verso l'esterno.
Nei depositi i bozzetti sono stati recuperati nelle condizioni in cui sono stati consegnati all'ente proprietario: quelli su faesite, il compensato e una tela montata su telaio erano ovviamente stesi e rigidi, tutti gli altri, eseguiti sulla carta scenografica e sulle tele, erano arrotolati molto stretti per far sì che rientrassero nei tubi utilizzati per la spedizione. Tecniche di esecuzione, tipologie di supporto e fenomenologie di degrado differenti hanno determinato lo stato conservativo delle opere.
Il degrado più evidente, provocato dal maldestro, ma tradizionale, arrotolamento, si è verificato sui dipinti su carta: i piccoli distacchi che si sono prodotti hanno causato un diffuso sollevamento del colore. Laddove il colore utilizzato è l'acrilico, la scaglia era più grossa: se vi era caduta, la lacuna era di dimensioni maggiori e netta; in questi casi è più facile trovare molti sollevamenti della pellicola pittorica ma non ancora definitivamente persi: l'elasticità del tipo di pittura facilita l'arrotolamento anche se effettuato dal verso sbagliato. La pittura a tempera ha un legante molto meno elastico e sicuramente più fragile: il degrado in questi casi si manifestava con lacune più piccole, molto più frequenti, spesso con la consistenza di microlesioni, simile al colore in spolvero. Sia l'acrilico che la tempera sono sovente accompagnati da sovrapposizioni di colore a pastello, oppure a gessetto, che hanno provocato un vero e proprio spolvero, con conseguente spargimento del pigmento anche sul retro del supporto. La pittura a olio, infine, risulta essere più malleabile: in questo caso la pellicola pittorica ha subìto numerosi sollevamenti anche se con poche lacune.
I due dipinti su tela sono stati eseguiti rispettivamente con colori acrilici e con tecnica mista, acrilico e pastelli. L'ultima tipologia di esecuzione, quella a collage, presentava numerosi, ma non sostanziali, distacchi di bordi e angoli dei pezzi di carta usata.
I bozzetti eseguiti su carta da scenografia, a prescindere dal tipo di colore in superficie, sono stati trattati nello stesso modo. Il primo intervento è consistito nel pulire il retro dalla polvere e dal colore perso che nel tempo si era accumulato. Si è iniziato quindi a rimuovere dall'intera superficie i depositi incoerenti con spugne abrasive a pasta morbida (Wishab); nel frattempo, mano a mano che si procedeva, sono state eliminate anche le toppe e i nastri adesivi che erano stati messi per contenere e chiudere certi strappi che, in particolare sui bordi, si erano prodotti durante l'esecuzione dei pannelli in mosaico. Le toppe sono state rimosse meccanicamente utilizzando il bisturi, riducendole fino a eliminare completamente i residui di carta e di colla.
Prima di intervenire sugli strappi e sugli innumerevoli fori da puntina, si è deciso di spolverare, per poi consolidare, la superficie dipinta. Si è ritenuto importante eliminare il più possibile, per quanto lo stato conservativo del colore lo permettesse, lo strato di polvere e il colore non recuperabile, per evitare, durante la fase di riadesione della pellicola pittorica, di consolidare anche buona parte del materiale non pertinente. Per eseguire al meglio questa operazione, si è proceduto in maniera duplice: per le fasi di "gommatura" si è utilizzata la stessa spugna usata sul retro, per la spolveratura sono stati adoperati dei pennelli morbidi; dove il colore risultava particolarmente fragile, si sono fatte riaderire le scaglie di pigmento sollevate con una soluzione di acqua e resina acrilica al 2% veicolata con alcol, iniettata direttamente sul punto di distacco con delle siringhe e si sono poi abbassate utilizzando dei sacchetti di piombo che permettono una naturale stesura. Questa procedura ha permesso un controllo capillare dell'intera superficie. Per la natura particolarmente assorbente della carta, è stato necessario procedere a un ulteriore fissaggio dello strato pittorico con la medesima soluzione, ma stesa in modo uniforme su tutto il film pittorico mediante nebulizzazione. Sulla pittura a olio quest'ultima fase non è stata necessaria.
Ad asciugatura quasi ultimata, i cartoni sono stati messi sotto pressa: questo accorgimento non solo ha aiutato il colore a rimanere adeso nella sua sede, ma ha permesso alla carta scenografica di distendersi e di alleggerire in modo consistente le numerose pieghe e i vizi di arrotolamento. Questa prima fase conservativa ha conferito ai cartoni una nuova stabilità, i colori hanno ripreso la loro consistenza, i supporti, ormai stesi, hanno assunto un diverso aspetto che, pur non snaturando la caratteristica natura del bozzetto, ha fatto sì che acquisissero un'aura più "nobile". La seconda fase è iniziata con la cucitura di tutti gli strappi che si erano prodotti durante le molte manipolazioni. Sono state preparate delle strisce di carta giapponese da 11 grammi, larghe circa 2 centimetri, con i bordi sfrangiati, e con queste si sono incollati i due lembi dei tagli; la colla utilizzata, di cellulosa, era ovviamente compatibile con il supporto cartaceo.
I numerosissimi forellini prodotti nei bordi dei cartoni dalle puntine e dai chiodi usati per stenderli e appenderli durante la lavorazione dei mosaici sono stati rinforzati con piccoli inserti di carta giapponese e colla di cellulosa. Per velocizzare l'asciugatura, poiché la colla è a base d'acqua, si è utilizzato come peso un ferro da stiro leggermente riscaldato, con una temperatura che oscillava tra i 30 e i 40 gradi. Con la colla di cellulosa (Tylose) sono stati fatti aderire anche i distacchi dei fogli di carta da scenografia. Alcune opere infatti, per le loro dimensioni, hanno come supporto un assemblaggio di fogli di carta o, come nel caso del bozzetto di Carlo Mattioli, due suoi manifesti. Il cartone di Franco Gentilini, l'unico eseguito con la tecnica del collage, aveva numerosi scollamenti di piccole parti delle carte utilizzate per la composizione, anche questi provocati dalla tensione che si provoca con l'arrotolamento, ma una ulteriore causa di degrado è stata l'impoverimento della colla usata dall'artista. Anche in questo caso è stata utilizzata la colla Tylose, inserita negli scollamenti con un pennellino e fatta aderire utilizzando i pesetti in piombo.
Terminata la parte conservativa dei bozzetti eseguiti su carta scenografica, si sono ritoccate le molte lacune utilizzando i colori ad acquerello e in alcuni casi i pastelli.
Le due opere eseguite su tela, prive di telaio, presentavano anch'esse numerose microfratture della pellicola pittorica, in particolare quella di Leila Lazzaro. Le due tele di supporto, non essendo trattate e risultando particolarmente sensibili all'umidità, sono state necessariamente isolate, almeno in parte. La prima mano di resina acrilica al 2% è stata stesa per nebulizzazione, con le opere fissate su un pannello; quando il colore si è sufficientemente consolidato, si è potuto procedere all'incollaggio delle fasce perimetrali che avrebbero poi consentito il montaggio delle tele su telai lignei a espansione. Le fasce sono state attaccate con la resina termoplastica; per evitare la probabile deformazione che si genera quando le tele sono molto mobili non sono state utilizzate fasce intere (la loro lunghezza non superava i 20 centimetri). Montate le tele sul telaio, si è consolidata ulteriormente la pellicola pittorica, sempre con nebulizzazioni: in questo modo si è diminuita la straordinaria sensibilità della tela alle variazioni di umidità relativa. L'opera della Lazzaro, eseguita con colori acrilici, è stata ritoccata con colori a vernice, mentre quella di Virgilio Guzzi, eseguita con colori ad acrilico con sostanziale intervento a gessetto, è stata ritoccata con colori ad acquerello e pastelli a pasta morbida.
I dipinti eseguiti su faesite e compensato avevano problematiche completamente diverse e indubbiamente di minore entità. La loro rigidità li ha salvati dalle manipolazioni. Il colore acrilico utilizzato è rimasto ben adeso ai supporti, che però non si sono salvati dalla polvere che si è depositata e da alcune patine provocate da attacco biologico. La rimozione della polvere è stata eseguita con la spugna Wishab morbida e dopo l'eliminazione dei microrganismi è stato steso un biocida a base di alcol e fenolo all'1%.
Terminato l'intervento di restauro vero e proprio, si è resa necessaria la valutazione del supporto sul quale appoggiare, sempre in modo reversibile, le opere su carta da scenografo. Si è scelto il pannello a nido d'ape Klug da 13 millimetri: molto leggero, stabile, in materiale cartaceo a pH neutro, componibile (tenuto conto che molti pannelli sono più grandi di 1,5 metri quadrati). Volendo mantenere la reversibilità, si è deciso di attaccare i cartoni utilizzando delle fascette di carta giapponese da 36 grammi incollate con colla Tylose, in modo che prendessero circa 2 centimetri del cartone e che venissero, a loro volta, attaccate al pannello Klug. In questo modo l'intera superficie del bozzetto rimane staccata dal pannello, con il solo ancoraggio dei bordi.
Per le esigenze espositive si è deciso di rifinire i pannelli e occultare le fascette d'ancoraggio. Si sono utilizzati i passe-partout di colore avorio, molto simili al colore della carta scenografica. Potendo sfruttare il bordo del pannello Klug, si sono attaccate le fasce di passe-partout con la colla acrilica, più tenace di quella a base di cellulosa: in questo modo è stata creata una specie di cornice con ulteriore funzione di rinforzo e di tenuta dei bordi dei bozzetti. I pannelli così montati mantengono la leggerezza necessaria per poterli attaccare con un semplice sistema di ancoraggio fatto aderire con fasce di tela gommata. La loro attuale manovrabilità ha anche permesso ai conservatori del museo di poter lavorare con più tranquillità nell'archiviazione delle opere.
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