Rivista "IBC" XVI, 2008, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, pubblicazioni
Tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta, quando la fotografia era spesso strettamente legata alle vicende umane, era naturale e non "di moda" fotografare focalizzando l'attenzione sugli esseri umani e sulla loro vita, sul loro ambiente. In questo ambito si colloca il lavoro di Giuseppe Artese, che nelle sue Prove per un autoritratto, va alla ricerca delle proprie radici, della "sua" gente. Nelle immagini si percepisce in modo indiretto la scena in cui si svolge la sua ricerca, il paese di Crucoli, nel Crotonese, che si vede solo nei dettagli, sempre circoscritto, mai nel suo insieme: gli attori principali da mettere in scena sono le persone e i loro oggetti più cari, la scenografia è l'ambiente in cui vivono, gli interni delle case e i vicoli del paese, i campi coltivati - sembrerebbe - con la sola forza delle braccia.
Per continuare con la metafora del teatro, Artese non lavora come un regista, suggerendo agli attori posture o atteggiamenti, piuttosto come "fotografo di scena" e a volte lo scatto coglie di sorpresa i soggetti, in atteggiamenti ancora più spontanei. Ma la sua curiosità è rivolta soprattutto agli oggetti e a ciò che essi rappresentano per le persone: come sono disposti, come vengono aggregati e organizzati, come entrano in rapporto con l'ambiente che li circonda. Gli oggetti fotografati sono spesso altre immagini, rappresentazioni/ritratti di persone, che pur lontane o scomparse, restano presenti e "vive" nella casa dei loro cari. Esse appaiono spesso collocate, assieme a immagini sacre, sul piano di un mobile, che diventa una sorta di altare "sacro e profano", sul quale le immagini sono disposte in un preciso ordine gerarchico, come "miti" e "riti" di un tempo passato ormai quasi perduto, fissato nell'"infinito istante" di una fotografia e proiettato verso il futuro.
Nelle sue considerazioni introduttive, Artese si considera un "non fotografo" e precisa il significato di questa curiosa definizione: "Le immagini vogliono essere semplici fotografie, senza tante sovrastrutture o tecnicismi o ricerca di qualcosa di emblematico; sono immagini alla portata di tutti, che rimane in fondo una delle caratteristiche principali della Fotografia". Un'affermazione che mette in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai tanti "non-fotografi" nella registrazione, descrizione, e interpretazione della "realtà visuale" di tutto lo scorso secolo. "Specchi" del tempo in cui sono vissuti e hanno operato, con il loro paziente e positivamente "modesto" lavoro essi continueranno a offrirci un'enorme mole di dati liberi da sovrastrutture formali o da eccessi interpretativi: "finestre" attraverso le quali i futuri lettori di quelle fotografie potranno osservare e analizzare le caratteristiche del mondo di allora.
Il Novecento è l'unico secolo, finora, interamente documentato dalla fotografia, che ha raggiunto un elevatissimo grado di evoluzione tecnologica. Al tempo stesso sono state perfezionate le tecniche per la conservazione delle immagini negli archivi fotografici, rafforzando ancor più il concetto di infinito istante. Gli storici del futuro potranno quindi disporre di una ingente e preziosa quantità di fotografie, anche quelle di Artese. Restano invece seri dubbi sulla sorte dei documenti visivi del secolo appena iniziato: le regole dissennate e miopi di un presunto libero mercato (che libero non è, oppure lo è troppo), stanno progressivamente sopprimendo la fotografia analogica, giunta quasi all'apice della sua perfezione tecnica, imponendo quella digitale, fonte di enormi profitti economici, ma ancora imperfetta e assolutamente priva di garanzie di conservazione a lungo termine. Quell'infinito istante rischia perciò di finire assai presto, senza riuscire a consegnare al futuro la memoria del "presente" di oggi, che già domani diverrà "passato".
G. Artese, Foto Gentis. Prove per un autoritratto, Crucoli (Crotone), Edizione Comune di Crucoli, 2007, 80 pagine, senza indicazione di prezzo.
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