Rivista "IBC" XV, 2007, 1
Dossier: La storia torna a scorrere
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /
La grande ruota a pale esposta nel corso dell'edizione 2007 del Salone del restauro di Ferrara era posta lungo il canale delle Moline, a Bologna, sul retro dell'edificio di via Capo di Lucca 12, e trasmetteva l'energia idraulica a una "gualchiera" per panni a due tini e ai meccanismi per la filatura della lana. Da un censimento conservato nell'archivio del Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno relativo alle utenze del canale - Opificianti utenti indiretti del Canale delle Moline, redatto nel 1902 - l'edificio risultava appartenere a Mario Demaria fu Fabio e a Catterina Pesci, vedova Demaria, usufruttuaria in parte, e condotto da Nicodemo Sgarbanti.
Come è notato nel registro, la ruota, con un diametro di 4 metri e con 24 pale di 0,99 per 0,62 metri, che ricevevano la spinta dell'acqua per di sotto, era posta in corrispondenza della seconda caduta in destra del canale. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso era ancora in loco, in stato di abbandono e di estremo degrado. Rimossa dalla sua sede, venne donata al gruppo culturale "La Stadura" e poi ceduta al Museo della cultura e civiltà contadina di San Marino di Bentivoglio, Villa Smeraldi, per essere esposta in verticale all'esterno, con alcuni completamenti delle parti mancanti (realizzati con materiali precari).
L'immagine della ruota venne scelta nel 1980 come emblema d'apertura della mostra "Macchine Scuola e Industria", un'esposizione che, celebrando il primo centenario dell'Istituto "Aldini-Valeriani" fu anche l'occasione per lanciare, in ambito bolognese, l'interesse per la storia delle istituzioni scolastiche tecniche storiche e per l'archeologia industriale. La ruota, fino al 2006, non è stata interessata da interventi di restauro. Per contestualizzare la descrizione del restauro recentemente effettuato [ne danno conto, nelle prossime pagine di questo dossier, Pietro Barnabé e Luisa Masetti Bitelli, ndr] può essere utile documentare la storia degli opifici bolognesi con l'ausilio di alcuni modelli appositamente realizzati.
Il modello della Conceria della Grada
Questo modello riproduce in scala 1:33 l'edificio della Conceria della Grada come si presentava il 4 settembre 1786, secondo una perizia redatta dall'architetto Gian Giacomo Dotti. La costruzione - posta a cavallo del canale di Reno, subito a valle della Grada, l'ingresso in città del corso d'acqua, protetto da una cancellata mobile nel varco delle mura - sfruttava l'energia idraulica di una ruota a pale per muovere alcune macchine all'interno. La perizia, oltre a fissare un valore di 12.000 lire allo stabile, in condizioni di parziale degrado, fornisce una descrizione di tutti gli ambienti che componevano la "pellacaneria", denominazione bolognese per indicare una conceria. Il documento era integrato da disegni ricchi di dettagli e notazioni, redatti in scala di piedi bolognesi (una misura che corrisponde a 38,0098 centimetri ed è suddivisa in 12 once).
Intrecciando le informazioni descrittive con i disegni in scala, e con i dati tuttora riconoscibili, è stato possibile ricostruire in modo attendibile, per ogni locale e spazio all'esterno, tutte le lavorazioni delle pelli che vi venivano compiute. La Conceria della Grada era stata il più importante opificio di concia cittadino: nel 1738, per esempio, risultano essere state lavorate ben 16.743 pelli tra bovini adulti, vitelli, cavalli e capre,1 ma già al tempo di Dotti era una struttura in crisi e in molte parti presentava segni di abbandono e fatiscenza.
Il modello è stato costruito con criteri di totale fruizione visiva in tutte le sue parti, grazie alle pareti esterne a scomparsa e a piccolissime fonti luminose in fibre ottiche che consentono di vedere i più minuti dettagli. Per definire i dettagli delle macchine mosse dall'energia idraulica della ruota a pale, descritti in perizia, si è ricorsi a illustrazioni di testi coevi. In particolare vi era un "mulino da galla" (triturava e polverizzava quelle tipiche escrescenze globulari dovute a parassiti, che si trovano nei rami delle querce e che contengono un'elevatissima percentuale di tannino), e una "gualchiera" (macchina con un albero a camme che sollevava e abbatteva una serie di piccoli magli) che frantumava in minutissimi pezzi le cortecce di quercia, sempre ricche di tannino, e all'occorrenza batteva le pelli.
Inoltre è stato possibile ricollocare nei diversi punti del modello dell'edificio i luoghi delle lavorazioni, gli strumenti, le vasche e i materiali funzionali alle fasi del lavoro. Nel modello sono in movimento la ruota idraulica e il mulino da galla, per sottolineare visivamente l'impiego della forza motrice dell'acqua e stabilire un collegamento diretto con la grande ruota a pale oggi riproposta nel medesimo luogo.2
Il modello dei filatoi Rizzardi
Il plastico rappresenta in scala 1:33 gli opifici della famiglia Rizzardi e di altri produttori di seta posti sulla sponda sinistra del canale, dove le acque formavano un'ansa che sottolineava l'andamento della conoide delle estreme propaggini dei rilievi collinari. La collocazione a valle del canale consentiva di porre le prese d'acqua a poca profondità dal fondo (da pochi centimetri a una ventina), di far passare le condotte (le chiaviche derivate) attraverso le cantine, di muovere le ruote e di recuperare, al di sotto, le acque con condotte che fuoriuscivano allo scoperto, alla fine dei lotti, per immettersi nel sistema delle chiaviche delle lottizzazioni.
L'organizzazione per lotti di origine medievale, scandita in lunghe e strette porzioni di terreno, era stata posta secondo la massima pendenza: le linee confinarie parallele dei lotti, fisicamente identificabili con i muri di separazione tra casa e casa. Gli edifici incontravano il bordo della strada di sponda del canale con un andamento fortemente sghembo, tanto che i fronti su strada non erano costruiti, se non in pochi casi, ortogonalmente ai muri longitudinali, col risultato che il primo ambiente era di forma trapezoidale. La ricostruzione della complessa situazione si è basata su diversi documenti di archivio, restituendo in scala gli appunti di rilievo del 1625 del perito Francesco Martinelli e confrontando ogni situazione con le rappresentazioni di grande suggestione del perito Giuseppe Maria Toschi, delineate nel 1671 per confezionare il Campione dei Beni dell'Abbazia dei S.S. Naborre e Felice.
La comparazione dei dati e l'utilizzo della mappa catastale del 1831-1833, come base misurata di riferimento, ha consentito di fissare le dimensioni in pianta dei diversi edifici. I disegni del perito Martinelli, corredati di misure in piedi bolognesi e frazioni in once, hanno permesso l'operazione di conversione in metri. La verifica di ogni misura, riportata all'interno della trama dei confini catastali, ha permesso di apprezzare l'estrema esattezza dei rilievi condotti per ogni casa, filatoio e spazio aperto di pertinenza (i cortili e gli orti). Con un attento incrocio delle due fonti iconografiche e delle notizie di carattere più propriamente economico - quali quelle della Nota e descrizione di tutti li filatogli che sono dentro questa città del 1697, redatta dall'Assunteria d'Ornato - si è potuto determinare, per ogni situazione rappresentata, la dimensione degli impianti produttivi con sufficiente attendibilità.
Nel modello sono stati resi visibili 10 dei 12 filatoi, presenti al tempo di Martinelli, con l'espediente di lasciare in vista i locali che ospitavano i macchinari: in pratica i diversi spaccati hanno permesso di porre in evidenza i condotti, le ruote e l'ubicazione dei filatoi all'interno dei fabbricati. Per l'aspetto dei fronti il rilievo di Martinelli ha fornito precise misure e notazioni particolari, quali quelle della presenza di portici con travature orizzontali collassate, rinforzate da puntelli: una situazione di case ancora medievali, degradate strutturalmente. Le restituzioni grafiche in assonometria di ciascun edificio, presenti nel Campione compilato da Toschi, hanno consentito di completare l'intreccio dei volumi delle diverse abitazioni e degli opifici, e di completare il disegno dei fronti interni.3
Il modello della pila da miglio di Porta Lame
Per illustrare come le acque raccolte, e più volte impiegate in derivazione, potessero far funzionare altri impianti, fu scelta una situazione di particolare interesse, quella di un pilamiglio, un opificio per la lavorazione di granaglie, posto in prossimità di Porta Lame, al termine estremo della rete delle canalette derivate, prima che le acque, uscendo dal centro urbano, andassero ad alimentare il Canale Navile.
Costruire il modello in scala 1:50 è stato impegnativo per la scarsezza dei documenti grafici: in assenza di un disegno dettagliato si è dovuto ricostruire l'assetto dell'edificio, con i singoli ambienti dimensionati, ricorrendo ai pochi elementi a disposizione. Come elemento base si è utilizzato il disegno con lunga legenda di Gian Giacomo Dotti (1764), che rappresenta il fianco del fabbricato e una sezione fatta sulla loggia di ingresso, disegno eseguito per stabilire l'andamento del muro di separazione tra le proprietà dopo la vendita della porzione adibita a pilamiglio. Più importante ai fini di stabilire le restanti dimensioni degli ambienti dell'edificio è stato il raffronto con la mappa catastale del 1831-1833 che rappresenta lo stato dei luoghi con esattezza, pur con le modificazioni intervenute nel periodo trascorso, soprattutto aggiunte e aggregazioni costruite all'interno del prato de' Caldierini.
È stato determinante seguire quanto nel 1762 riferì Gian Giacomo Dotti, per incarico degli Assunti sopra le Arti, nella perizia dei locali adibiti a pilamiglio. Si tratta di una relazione molto puntuale del sopralluogo condotto, che tuttavia non chiarisce completamente tutti gli aspetti della configurazione dei diversi ambienti, soprattutto per quanto riguarda la collocazione dei locali delle macchine e della presa d'acqua. Dopo il preambolo che stabilisce confini con le adiacenti proprietà, la relazione entra nel dettaglio, descrivendo tutte le stanze poste al piano terreno: magazzini, depositi funzionali all'attività, ma anche camere, uno "stanziolino" e un'ampia cucina con pozzo e con latrina, chiamata "luogo commodo". Dall'ampio magazzino si poteva accedere al pilamiglio e ai macchinari complementari:
In questa camera evvi una scala di legno, per cui si discende in altra camera grande a tassello per uso di Pillamiglio, ovve si veggono due macine per detto ediffizio, e riceve tale camerone il suo lume dal detto Prato de' Caldierini e tali finestre hanno la loro ferriata. In questo camerone evvi pure scala di legno, per cui si discende nuovamente in altro camerone detto "il ballatrone", che è in volto di pietra con due finestre, che ricevono il lume dal sudetto Prato, e queste finestre pure hanno le loro ferriate. Da detto camerone, o sia ballatrone, mediante altro uscio si passa in altra camera più piccola detta ancor essa "ballatrone" in volto di pietra, nella quale evvi una ruota con una dozza di legno, che conduce l'acqua a detta ruota, e tal camerone, o sia piccolo ballatrone è privo di lume.
Questa parte della perizia era di difficile interpretazione perché (come evidenziano i nostri corsivi nel testo citato) l'aver descritto dei locali al di sotto del livello terra, sovrapposti, e tuttavia con finestre, potrebbe lasciare qualche dubbio sulla configurazione del fabbricato. Al contrario si trattava di locali che, pur sovrapposti, riuscivano ad avere un affaccio esterno sul muro perimetrale verso il Prato de' Caldierini, grazie alla presenza di un profondo muro di contenimento del terreno, distaccato quel tanto da lasciare spazio per aria e luce.
Per definire la posizione reciproca dei diversi locali interrati, i "ballatroni", è risultata molto più esauriente un'altra perizia, redatta da Alessandro Contoli oltre vent'anni prima, il 25 novembre 1743. Da questa perizia - effettuata su incarico dei fratelli Giuseppe e Giacomo Cuppini, eredi di Giovanni Marcigoni, in occasione della vendita della pila da miglio a Paolo Magagnoli - si è potuto comprendere anche l'intreccio delle diverse attività presenti nell'edificio e in quello adiacente. Il pilamiglio si insinuava per la presa d'acqua nell'edificio accanto, utilizzato come filatoio al piano terreno e nei restanti piani superiori, e il filatoio occupava a sua volta il piano primo e il sottotetto dell'edificio del pilamiglio. La ruota traeva energia da un condotto d'acqua che aveva alimentato anche la ruota del filatoio dei Bonaccorsi.
Interpretando le note allegate al fascicolo di Dotti, redatte dal perito Rocco Mazza nel 1763, sullo stato di conservazione delle macchine e, soprattutto, prendendo ispirazione da rappresentazioni coeve, è stato possibile rappresentare nel modello del pilamiglio tutti i diversi macchinari presenti.4
Al di là dell'interesse per l'oggetto specifico che viene documentato in tutti i suoi aspetti fisici e dimensionali, oggi irrimediabilmente perduti, la riproposizione degli opifici storici in modelli ha consentito di porre in evidenza le pessime condizioni ambientali in cui, a quel tempo, il lavoro veniva svolto, condizioni che in massima parte erano caratterizzate da scarsa luminosità degli ambienti, angustia di spazi, affollamento, congestione e contatto diretto con sostanze tossiche ed esalazioni nocive. Dagli aspetti meramente tecnici delle lavorazioni storiche è quindi possibile estendere l'analisi agli aspetti sociali del lavoro del passato e fornire utili suggerimenti per un discorso didattico allargato.
Note
(1) Per questi e altri dati: A. Grandi, La pelle contesa, Torino, Giappichelli, 2000.
(2) Rilievi e disegni dell'edificio allo stato attuale: architetto Daniela Villani; progetto del modello e indagini sui processi storici della concia: architetto Carlo De Angelis; esecuzione del modello: Laboratorio Segno/Disegno di Francesco Bortolotti.
(3) Progetto del modello e indagine storica documentale: architetto Carlo De Angelis; esecuzione del modello: Laboratorio Segno/Disegno di Francesco Bortolotti.
(4) Progetto del modello e indagine storica documentale: architetto Carlo De Angelis; esecuzione del modello: Laboratorio Segno/Disegno di Francesco Bortolotti.
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