Rivista "IBC" XV, 2007, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / inchieste e interviste

Le riflessioni dell'assessore regionale alla cultura Alberto Ronchi sulle prospettive delle istituzioni culturali, e delle loro risorse, all'inizio di un nuovo anno.
Mettere in valore

Valeria Cicala
[IBC]
Vittorio Ferorelli
[IBC]

Primi giorni del 2007, temperatura da tardo autunno più che da pieno inverno. Tempo di vacanze. Ma non per tutti, così abbiamo chiesto all'assessore alla cultura dell'Emilia-Romagna, Alberto Ronchi, di incontrarlo per chiedergli - alla luce del bilancio preventivo della Regione già approvato in Assemblea legislativa, e a più di due anni dall'avvio del suo mandato - come vede il tessuto culturale del territorio regionale. Non si tratta di tirare le somme, ma di valutare la situazione e gli esiti delle scelte che l'assessore ha operato e di cui possiamo già cogliere i risultati. Ed è anche l'occasione per chiedergli delle sue priorità per il prossimo triennio.

L'Istituto per i beni culturali (IBC) ha modo di confrontarsi e di collaborare costantemente con l'Assessorato (si pensi anche solo alla Legge regionale 18-2000 "Norme in materia di biblioteche, archivi, musei e beni culturali" e alla programmazione triennale che questa comporta). Durante l'incontro abbiamo colto alcune delle idee guida su cui l'assessore ha intenzione di muoversi e abbiamo avvertito un approccio poco paludato, e ancora meno patinato, ai temi della cultura (sui quali si era già confrontato al Comune di Ferrara, dove era assessore con le medesime competenze). Il nostro interlocutore esprime un'attenzione forte ai giovani e all'innovazione. Ha una propensione a guardare agli spazi meno tradizionali per eventi e manifestazioni artistiche e culturali e un'idea globale di spettacolo assai dinamica. Ma lasciamo a lui la parola.

 

Credo che l'Emilia-Romagna disponga di un patrimonio molto importante dal punto di vista della produzione culturale, con punte di eccellenza che la pongono ai vertici nazionali e che le permettono anche di competere con le produzioni internazionali. Purtroppo, sebbene tutti a parole la considerino centrale, la cultura è spesso dimenticata sia da chi fa le leggi, sia da chi dovrebbe adeguarne la produzione al contesto sociale in cui si realizza. C'è un lavoro da fare di continuo: aggiornare. È un punto sul quale bisogna operare in profondità: ci sono molti programmi culturali fermi dal punto di vista legislativo e lo sforzo maggiore è stato quello di dare indicazioni. È necessaria un'attenzione forte ai diversi livelli istituzionali: comuni, enti locali, province. Queste ultime costituiscono spesso gli interlocutori principali, ma è indispensabile l'attenzione ai soggetti della società civile. La necessità di fondo, sottolineo, è aggiornare i nostri programmi: l'Italia ha un notevole ritardo, per esempio, nei confronti delle manifestazioni dell'arte contemporanea. Si fa sempre più urgente un riequilibrio rispetto ai generi: ci sono grandi teatri e istituzioni che sanno raccontare la storia del loro paese, ma bisogna che raccontino anche la contemporaneità.

 

L'esigenza economica di fare quadrare bilanci non è secondaria: la Regione come prova a districarsi tra progettualità sempre più ambiziose e budget sempre più risicati?

Sono da riconsiderare programmi, bilanci e spese. I livelli sui quali intervenire sono diversi. In una fase critica siamo riusciti a mantenere il bilancio della cultura e abbiamo provato a riequilibrare la suddivisione delle risorse all'interno del bilancio. Sul fronte dello spettacolo è indispensabile un modello nuovo perché le risorse sono poche e le logiche concorrenziali sono da abbattere: va bene la gradualità, il piano triennale ci permette di sperimentare, ma è indispensabile cambiare. Un esempio per tutti: la Fondazione "Arturo Toscanini". Abbiamo lavorato per ripensarla, cambiando i criteri di spesa e il programma delle attività. Le nostre fondazioni e i nostri istituti sono risorse preziose, ma è necessario andare verso un sistema: non dobbiamo rincorrere personaggi ma mettere in valore le risorse umane e intellettuali di cui disponiamo. Sono convinto che si debbano razionalizzare e semplificare certi modelli, mantenendo un'offerta culturale a più livelli.

Non è pensabile, insomma, che si guardi solo ai prodotti che fanno grandi numeri di pubblico e che riscuotono successo dal punto di vista massmediatico. Non ragioniamo solo in termini di "quanti spettatori" e di "quanti articoli sui giornali": la Regione non può rincorrere il mercato. Il nostro dovere istituzionale è seminare idee, avere coerenza nei programmi. Noi non facciamo pubblicità, ma un altro tipo di lavoro: siamo chiamati a guardare a ciò che ha un radicamento nel nostro territorio, per costruire un modello diverso, più aggiornato. Un modello che, a partire dalle nostre fondazioni [oltre alla "Toscanini": ATER - Associazione teatrale Emilia-Romagna, ERT - Emilia-Romagna Teatro, Fondazione nazionale della danza, ndr] ci permetta di precisare le linee di intervento e di suddividere gli aspetti di progettualità, di vendita e di gestione. Dobbiamo mettere in rete le iniziative realizzate.

La cultura ha bisogno di innovazione e questo aspetto è disatteso quando si legifera. Facciamo parlare tra loro le varie componenti: province, comuni, ma anche il governo centrale. C'è bisogno di osmosi. Certo il silenzio sulla cultura all'interno del lungo dibattito sulla Finanziaria non è confortante: l'impressione è che la nostra materia sia fuori dalle discussioni fondanti.

 

E sui versanti che riguardano più direttamente l'IBC - le biblioteche, gli archivi, i musei - come evolve la cultura della regione?

Credo sia opportuno prendere in considerazione queste entità separatamente perché diversa è la percezione di questi istituti culturali e il rapporto che il territorio ha con essi. Le biblioteche, innanzitutto, rappresentano un'eccellenza nell'offerta culturale: quest'anno tentiamo di difendere i finanziamenti, dopo il percorso a ostacoli che abbiamo dovuto affrontare nel 2006. La legge 18-2000 ci permette di delineare questo versante come un punto di forza nella nostra politica culturale. Le biblioteche propongono un modello elastico: ne nascono regolarmente di nuove e sempre di più, oltre che alla richiesta di libri, rispondono all'esigenza di eventi e di momenti di aggregazione che ribadiscono il ruolo della cultura anche nei confronti dei nuovi cittadini. Nuove storie e linguaggi differenti si innestano nel tessuto civico: la biblioteca li accoglie, li mette in relazione. L'applicazione degli standard di qualità, su cui l'IBC opera sempre attraverso la legge 18, permetterà di potenziare ulteriormente questo settore. Sugli archivi, per contro, all'interno degli enti locali non si avverte una cultura adeguata. Non si è ancora radicata la consapevolezza che queste strutture devono essere fruibili, godere di spazi adeguati e di facile accesso. Si tratta di un segmento irrinunciabile della nostra storia, ma anche in questo ambito l'IBC lavora con la sua tradizione per farne cogliere l'importanza e offrire metodologia per la catalogazione e la conservazione.

Sui musei ho già espresso il mio pensiero anche in altre circostanze: ce ne sono troppi. Si sono adottate nel passato politiche culturali semplicistiche; non si è lavorato abbastanza per impostare una gestione che sappia ammortizzarne i costi. Qualche passo avanti si è compiuto, ma non è sufficiente ciò che è stato fatto. Ancora una volta l'IBC si è impegnato attraverso gli standard di qualità e i corsi di formazione attivati con i progetti europei, ma in chi opera all'interno di queste istituzioni deve crescere la consapevolezza che è indispensabile creare percorsi comuni. Le risorse vanno razionalizzate, si deve lavorare in rete e soprattutto non bisogna avere paura del pubblico: non è così che si garantisce la conservazione; la valorizzazione dà vitalità anche alle politiche conservative. Usciamo da una logica proprietaria: è sempre più indispensabile creare schemi nuovi tra enti locali, Stato e Regioni.

Se le istituzioni museali hanno introiti economici fallimentari, la responsabilità va individuata nell'assenza di una strategia comune: stessi orari, biglietti cumulativi, pubblicità condivisa, una scelta coordinata di eventi che moltiplichi le opportunità per i visitatori e crei un indotto. In Emilia-Romagna abbiamo esempi clamorosi proprio di questa inaccettabile assenza di raccordo, una mancanza di coordinamento che nuoce alla comunità e crea disservizi. Il ruolo della Regione è importante in questo processo ma solo se c'è la volontà di sperimentare, in poco tempo, obiettivi comuni. Con uno slogan si potrebbe dire: valorizzare insieme, vincere le resistenze. Lavorare sulla rete museale vuol dire anche ripensare il territorio delle città, perfino la viabilità, l'accesso ai diversi luoghi.

Abbiamo poi un altro problema nei confronti dei nostri beni culturali. Forse perché viviamo immersi in un patrimonio traboccante, pensiamo di poterli consumare all'infinito senza troppe attenzioni, senza strategia. Succede quello che si è verificato per i beni naturali: solo recentemente ci siamo accorti che non è così, che non sono infiniti e che il sistema-paese gira sull'insieme di queste risorse, che sono un vero e proprio volano economico. Se, come è già avvenuto in altri paesi, si affrontasse finalmente la questione della defiscalizzazione dei contributi privati, il sistema produttivo sarebbe più interessato a compiere interventi sul patrimonio, a far propria la crescita della ricerca; l'attuale scollatura potrebbe trovare una soluzione attraverso sistemi legati alla leva fiscale. Ancora una volta dobbiamo guardare all'Europa.

 

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