Rivista "IBC" XIV, 2006, 4

musei e beni culturali / immagini, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni

Quattro fotografi rileggono i luoghi, i volti e i linguaggi di Luzzara, partendo dalle opere dei naïfs per reinterpretare l'indagine svolta in mezzo secolo da Zavattini, Strand e Berengo Gardin.
Un paese, nuove facce

Elisa Coco
[Comunicattive, Bologna]

A Luzzara (Reggio Emilia) lo scorso 13 ottobre, anniversario della morte di Cesare Zavattini, presso il Museo nazionale delle arti naïves che del grande intellettuale porta il nome, è stata inaugurata la mostra "Il padiglioncino dei nuovissimi", realizzata dalla Fondazione "Un Paese" (www.naives.it). La mostra, aperta fino al 24 dicembre 2006, ha esposto quattro ricerche fotografiche che, prendendo spunto da altrettanti quadri naïfs, "raccontano" in modi diversi la realtà di questo paesino della Bassa reggiana e ci aiutano a comprendere qualcosa del presente che tutti abitiamo. Le opere dei fotografi Benedetta Alfieri, Maurizio Cavazzoni, Tommaso Perfetti e Emanuela Reggiani sono inserite all'interno di un percorso espositivo più ampio, "67>77", che presenta al pubblico le opere raccolte nei primi dieci anni del Premio nazionale dei Naïfs, creato proprio da Zavattini nel 1967.1 Attraverso l'innesto e la contaminazione tra un patrimonio artistico ormai "storico" e la sperimentazione contemporanea, il progetto evoca, e interroga in modo nuovo, una storia culturale lunga cinquant'anni, una storia la cui trama è fatta di intrecci tra arte (e arte naïve in particolare), fotografia, scrittura.

Più di cinquant'anni fa Cesare Zavattini invitò il famoso fotografo statunitense Paul Strand a realizzare un libro su Luzzara, "paese campione", rappresentativo dell'Italia del dopoguerra e della ricostruzione: da quella collaborazione nacque il libro fotografico Un paese, che ebbe un grande successo editoriale al momento della sua pubblicazione ed era destinato a diventare uno dei classici della storia della fotografia del XX secolo. Un paese proponeva, rappresentando uno specifico contesto socioculturale, una testimonianza universale sulla condizione umana e, al contempo, una riflessione sull'arte e una nuova interpretazione del rapporto e del dialogo tra immagine e parola. Dodici anni dopo, Zavattini, intellettuale poliedrico e instancabile animatore della storia culturale italiana, scelse ancora una volta il suo paese natale per farne la capitale dei naïfs, con il sogno, che non riuscirà mai a realizzare, di aprire questo percorso artistico alle espressioni più innovative dell'arte contemporanea, allestendo a Luzzara un "padiglioncino dei nuovissimi". Da qui nasce il progetto del padiglioncino, che, annodando, sciogliendo e riallacciando in modo nuovo i fili di questa storia, realizza il sogno di Zavattini.

Il progetto si colloca lungo la linea di una ricca "storia per immagini" di Luzzara, scritta negli anni da grandi nomi della fotografia: inaugurata da Un paese, proseguita con la pubblicazione di Un paese vent'anni dopo, che Zavattini realizzò nel 1976 insieme a Gianni Berengo Gardin, percorsa da Stephen Shore nei suoi scatti in bianco e nero nel 1993, da Olivo Barbieri nel 1997 e ripresa infine nel 2005 dal progetto editoriale ed espositivo Luzzara. Cinquant'anni e più, che propone 110 foto di Marcello Grassi e Fabrizio Orsi accompagnate dalla presentazione di Luciano Ligabue.2 I quattro autori che hanno animato la ricerca "Il padiglioncino dei nuovissimi" utilizzano nuovamente il linguaggio fotografico per elaborare, attraverso altri sguardi, nuove visioni dallo stesso punto di vista: di fronte alle trasformazioni della realtà sociale e ai cambiamenti nel modo di costruire, e decostruire, lo sguardo artistico, le loro fotografie ci restituiscono altre immagini possibili di Luzzara, altre letture, altre dislocazioni della visione.3

Queste visioni fotografiche ci restituiscono, riflettendo sul linguaggio della fotografia, dei veri e propri racconti. Come nota la critica e storica della fotografia Roberta Valtorta nel testo critico della mostra, i legami tra il quadro naïf di partenza e le rispettive fotografie sono "di natura lontanamente concettuale": quei quadri aprono uno squarcio di lettura, offrono una suggestione da cui partire e il punto di arrivo assume forme diverse e originali. Tutti gli artisti hanno scelto di coinvolgere, nel loro personale processo di creazione artistica, la comunità di Luzzara, collocandosi in quella tendenza alla relazionalità, caratteristica dell'arte contemporanea, di cui parla Roberta Valtorta nel suo testo: "L'artista coinvolge altre persone e costruisce narrazioni in dialogo. L'opera dunque non solo interviene nella realtà ma è anche generata da un desiderio di relazione con gli altri e soprattutto diventa mezzo di condivisione di esperienze con il fruitore, che diviene così anche autore".

Proprio il concetto di "narrazione in dialogo" offre una possibile chiave di lettura per rintracciare il filo rosso che lega i quattro lavori presentati, tutti, in modi diversi, imperniati intorno alla narrazione. La frontalità come posizionamento scelto dello sguardo, e dello scatto, di cui parla Benedetta Alfieri nel testo di presentazione del progetto, non fa che confermare il porsi in relazione: "La frontalità fonda un tacito scambio, un contatto sincero, una relazione; che si tratti di un essere vivente, di un elemento naturale o di una costruzione umana l'atteggiamento non cambia: la frontalità è dialogo".

Benedetta Alfieri, partendo dal dipinto Festa di paese di Laura Moruzzi, rappresenta il teatro in disuso di Luzzara, aprendo dopo anni di abbandono un luogo della parola e accogliendovi volti e parole di alcune donne della numerosa comunità indiana che popola Luzzara. Nella foto della sua facciata, immersa in un bianco assoluto che lo decontestualizza in una nuova attribuzione di senso, il teatro diventa una sorta di luogo sacro, in cui queste donne, invitate a raccontarsi nella lingua che preferiscono, diventano delle sacerdotesse che pronunciano parole magiche in una lingua a noi sconosciuta: le loro parole, incomprensibili per chi non parli punjabi, sembrano danzare, vibrare come un canto o come una preghiera; davanti al video che propone, senza alcun "taglio" in fase di montaggio, i racconti di queste donne, inspiegabilmente le loro parole, che "noi" nativi/e non capiamo, riescono, insieme allo sguardo, al tono e al timbro della voce, ai sospiri, al ritmo e alle pause, a comunicare qualcosa.

Alfieri, riempiendo il teatro con queste parole, mette in moto un dispositivo comunicativo e simbolico dalle forti valenze politiche: dando alle donne indiane di Luzzara che hanno collaborato al progetto la possibilità di usare la lingua con cui riescono a nominare sé stesse e la propria esperienza del mondo, la lingua con cui riescono a raccontare la propria storia, si sovverte il meccanismo dominante della comunicazione sociale in un contesto di forte migrazione: a loro, troppo spesso silenti, la parola, e a noi, per una volta, il silenzio, l'ascolto, lo sforzo di comprendere, la possibilità di ripensare noi stessi/e in una relazione diversa con "l'altra/o da noi".

Anche Maurizio Cavazzoni restituisce dei racconti, scritti da genitori e bambini luzzaresi sullo spunto dell'elefante viola rappresentato nel quadro omonimo di Aldo Ordavo: le storie, impresse su carta fotografica, non sono semplici didascalie ma parte vera e propria dell'opera, che si completa con i ritratti dei bambini insieme al padre o alla madre, realizzati nel formato classico della fotografia di studio. Anche in questo caso il percorso di ricerca dell'artista, lavorando sul rapporto tra parola e immagine, compone dei racconti, racconti che dipingono figurazioni e immaginari fantastici, racconti che nuovamente hanno molto da dirci se siamo in grado di porci nella giusta posizione di ascolto.

Tommaso Perfetti propone, con un percorso espressivo diverso, un'altra forma di racconto realizzato attraverso il corpo. Partendo da Figura femminile di Pietro Ghizzardi e reinventando la formula delle "antropometrie" di Yves Klein, Perfetti ricompone i frammenti delle impronte impresse su tela bianca dai corpi dipinti degli abitanti di Luzzara, nativi e migranti, per creare due figure di corpi, "Figura maschile" e "Figura femminile": due corpi "patchwork" che, attraverso la ricomposizione di corpi diversi in una sagoma armoniosa nella sua asimmetria, si fanno corpo sociale dall'identità multipla e pluriforme, corpo "meticcio" che destruttura l'identità restituendo al contempo una forma riconoscibile alla sua umanità.

Emanuela Reggiani lavora invece sul territorio, in particolare sull'elemento paesaggistico che più caratterizza questo territorio, il Po, che l'artista coglie come evocazione in un tratto curvilineo del dipinto Il matrimonio delle mie figlie di Rina Nasi. Anche in quest'opera, che propone 15 scatti fotografici realizzati ripercorrendo in bicicletta il corso del Po da Voghera a Luzzara, e un video a ripresa fissa dello "scorrere lento" del fiume, c'è il legame con la narrazione: il Po è una storia infinita, la storia dei luoghi che attraversa, ed è al contempo un fluire di storie, le storie delle persone la cui esistenza è in qualche modo legata al fiume; seguire il suo corso, fotografarlo, ricomporre virtualmente lo scorrere attraverso il montaggio in sequenza degli scatti, ci fa riflettere sulla fotografia e sull'arte in generale, sull'impossibilità di restituire il flusso del reale, del tempo e della nostra incessante trasformazione e, al contempo, sulla possibilità di ricomporre, attraverso il nostro sguardo, un senso a questo fluire.

 

Note

(1) 66>77. I primi dieci anni del Premio Nazionale dei Naïfs, Luzzara (Reggio Emilia), Fondazione Un Paese, 2006. La catalogazione delle opere pubblicate sul catalogo è stata effettuata in due fasi successive da Anna Maria Bertoli Bassotti e Laura Giannoccolo per il Centro regionale per il catalogo e la documentazione, con il coordinamento scientifico dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Il volume contiene i saggi di Vanni Marchetti (Cronaca di un evento) e Orlando Piraccini (Luzzara nella stagione dei premi).

(2) C. Zavattini, P. Strand, Un paese, Torino, Einaudi, 1955; C. Zavattini, G. Berengo Gardin, Un paese vent'anni dopo, Torino, Einaudi, 1976 (nuova edizione: Zavattini / Berengo Gardin. Un paese vent'anni dopo, a cura di G. Berengo Gardin, Milano, Federico Motta Editore, 2002; una selezione di foto tratte da questa edizione è stata pubblicata nel n. 4-2002 di "IBC"); M. Grassi, F. Orsi, Luzzara. Cinquant'anni e più, Milano, Skira, 2005.

(3) Il padiglioncino dei nuovissimi. Quattro fotografi incontrano l'arte naïve, Luzzara (Reggio Emilia), Fondazione Un Paese, 2006.

 

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