Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

Dossier: Facile a dirsi - Come divulgare la cultura

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Come "farsi un'idea"

Giovanna Movia
[vicedirettore editoriale della Società editrice "il Mulino", Bologna]

Quando mi hanno chiesto di scrivere questo pezzo ero appena tornata dal "Festival dell'Economia" che si è tenuto a Trento nei primi giorni dello scorso giugno (www.festivaleconomia.org/). C'ero andata con grande curiosità professionale e qualche preoccupazione: riuscirà quella che è stata definita la "triste scienza" ad attirare il grande pubblico, così come è avvenuto per i vari festival letterari e filosofici (senza dimenticare quello dedicato alla scienza), tutti baciati dal successo? Certo, lo sforzo organizzativo, l'attenta scelta dei temi e degli ospiti, la sponsorizzazione di un giornale come il "Sole 24 ore" facevano ben sperare. Eppure le dimensioni del successo hanno sorpreso un po' tutti, esperti e non esperti: sale gremite, lunghe file di attesa, una partecipazione decisamente giovanile, una consistente percentuale di presenze extra Trentino Alto Adige, un mare di domande (dove era previsto, dove era possibile) agli oratori.

Dunque la scommessa era stata vinta: anche di economia ci si può appassionare, a patto che... È in quella formuletta condizionale che sta forse il segreto del successo trentino: a patto di saper divulgare, raccontare, presentare in un'ottica diversa - non accademica, non per addetti ai lavori - un sapere che ha sì le sue tecnichalities ma che nel suo impianto essenziale affronta problemi che sono strettamente legati alla politica e alla società e quindi riguarda molte delle nostre scelte, dei bisogni e degli interessi quotidiani. Certo, la "divulgazione" - chiamiamola così per ora - è solo una delle componenti di quella "costruzione dell'evento" che fa la differenza nelle società della comunicazione, tuttavia è un ingrediente fondamentale.

Ho citato il festival trentino come esempio culturale riuscito di incontro con il grande pubblico per introdurre il racconto di un'altra esperienza di divulgazione, quella della collana "Farsi un'idea" del Mulino, che ha ormai quasi dieci anni di vita e che fin dall'inizio ha inserito fra i suoi titoli anche temi e problemi di economia. Ma procediamo con ordine.

Per molti anni il Mulino è stato considerato un buon esempio di university press italiana, una definizione che in casa editrice abbiamo sempre accettato come un complimento pensando alle mitiche Oxford e Cambridge University Press. Una produzione prevalentemente orientata agli studiosi, con testi di riferimento e di ricerca, e agli studenti, con i manuali per l'università; le linee di politica culturale forgiate dalla discussione in seno al consiglio editoriale; la selezione dei titoli vincolata alle procedure di referaggio: tutto era abbastanza in linea con quel modello e probabilmente anche con un mondo in cui la distinzione tra cultura alta e cultura bassa era netta, l'università benché in crescita non era ancora di massa e, particolare non irrilevante, il mercato non era caratterizzato dalle catene di librerie e dalla grande distribuzione di oggi.

A metà circa degli anni Novanta, quando abbiamo cominciato a pensare al progetto della nuova collana, molte cose erano già cambiate (anche le university press anglosassoni) e quell'etichetta cominciava a starci un po' stretta e a porre qualche problema di immagine (nel senso di appeal commerciale) in libreria. In realtà avevamo già da tempo differenziato la nostra offerta con una produzione di collane di saggistica rivolte a un pubblico culturalmente attrezzato ma non specialistico (dall'"Universale paperbacks il Mulino" alla "Biblioteca storica", da "Contemporanea" a "Intersezioni") ma l'immagine un po' austera, per quanto gratificante, resisteva.

C'era anche una questione di prezzo dei libri di varia. Per quanto ci sforzassimo di tener sotto controllo il rapporto pagine/prezzo, oltre una certa soglia si finiva inevitabilmente per penalizzare quelle fasce di popolazione (per esempio i giovani) che sono tendenzialmente orientate all'acquisto di libri più economici. Di qui l'esigenza di pensare a una nuova "linea di prodotto", con volumi di dimensioni e prezzo decisamente più contenuti, con un taglio proponibile a un pubblico più ampio del solito "giro Mulino", e quindi interessante per l'intera gamma delle librerie.

Naturalmente non eravamo i soli in quel momento a pensarla così. Spirava un vento in direzione del tascabile economico in vari paesi d'Europa, a cominciare dalla Francia, patria della gloriosa collana "Que-sais-je" della PUF, sulla breccia fin dal 1941 e madre di tutte le analoghe collane che ne erano seguite, fino al lancio in grande stile e con grande dovizia di mezzi nel 1993 dei "Dominos" da parte di Flammarion. Nel 1995 in Germania una casa editrice importante come Beck aveva cominciato a pubblicare "Wissen" e in Gran Bretagna, sempre nello stesso anno, persino la Oxford University Press si era lanciata con le "Very Short Introductions".

In tutti questi casi (ma ne potrei citare degli altri) non si trattava solo di una tradizionale produzione di tascabili bensì di collane di saggistica (che escludevano quindi la narrativa e i classici), con un numero di pagine e un prezzo non solo contenuti ma fissi, con edizioni originali e non traduzioni o riversamenti in paperback da altre collane. In sintesi, una proposta editoriale coerente, con una sua precisa identità: una piccola enciclopedia del sapere, sia pure declinata diversamente a seconda dei paesi e degli editori.

E in Italia? Anche da noi le trasformazioni del mercato e del comportamento d'acquisto dei lettori spingevano decisamente verso il tascabile economico - specie dopo l'irruzione dei "Mille lire" di Stampa alternativa, seguiti a ruota sullo stesso terreno dalla Newton Compton - sollecitando le case editrici a entrare o a ridefinire meglio la loro presenza in un segmento che si stava rivelando così promettente.

C'era inoltre un precedente prestigioso, un piccolo "Que-sais-je" nostrano, i "Libri di base" ideati da Tullio De Mauro per gli Editori Riuniti. Negli anni Ottanta avevano rappresentato nel panorama italiano un'offerta culturale davvero innovativa. Curatissima e sobria nel linguaggio (si favoleggiava, non so con quale fondamento, di un lessico di non più di 2.000 vocaboli), la collana si poneva deliberatamente dalla parte del lettore non specialistico, con un sapere, appunto, di base, che spaziava dalla scienza all'economia, dalla storia alle arti. (L'esperienza, coronata dal successo, si era poi conclusa per problemi non della collana, ma interni alla casa editrice.)

In questo quadro variegato e concorrenziale bisognava mettere a punto un progetto che desse il segno del cambiamento, che fosse in sintonia con le nuove dinamiche non solo commerciali ma di lettura, di comportamento, di mobilità della società dell'informazione e della comunicazione globali, senza peraltro venir meno a quella tradizione di qualità e di rigore che contrassegnava la nostra storia.

Nasce così nel 1997 "Farsi un'idea", una collana di base volta a fornire al lettore una informazione rapida e essenziale (oggi il tempo è una delle risorse più scarse e preziose) su alcuni fenomeni, problemi e saperi del mondo contemporaneo, per aiutarlo a orientarsi nella selva di stimoli, notizie, sollecitazioni cui è quotidianamente sottoposto dai media e dal sempre più frequente contatto con culture diverse. Non una proposta enciclopedica, bensì mirata su alcune aree disciplinari e tematiche in cui l'immagine e le competenze del Mulino costituivano una risorsa in più: Europa, politica e istituzioni, economia, società, religioni, psicologia e, in un momento lievemente successivo, scienza e ambiente, un'area di interesse e rilevanza imprescindibili per il cittadino del mondo d'oggi. Ho usato il termine "cittadino" in maniera non casuale, pensando al general reader a cui si rivolge la collana, perché rimanda a una connotazione aggiuntiva di partecipazione e cittadinanza che presuppone sia una domanda che un'offerta "esigenti". Non una mera semplificazione, una banalizzazione degli argomenti, bensì un rigore e una cura particolari nell'individuare l'essenziale, nell'interpretare le idee e leggere il dato empirico.

Un'altra scelta decisiva fu quella di rivolgersi solo ad autori italiani (una sfida per un editore come il Mulino, con un catalogo ricco di traduzioni) e di commissionare i volumi seguendo, pur senza vincoli troppo rigidi, una griglia di titoli predisposta sin dall'inizio secondo un disegno coerente e sistematico.

Il varo di una nuova linea di prodotto richiede naturalmente molte altre scelte di natura più tecnica (formato dei volumi, grafica, corpi, caratteri e così via) e commerciale (materiali per la comunicazione e la promozione): non è qui il caso di approfondirle ma si tratta di scelte altrettanto decisive per l'immagine che si vuole trasmettere e per il pubblico che si vuole raggiungere. Mi piace solo ricordare che alla convention con i librai in cui presentammo la nuova iniziativa partecipò anche Tullio De Mauro con un suo intervento.

A quasi dieci anni da quella data e arrivati al volume numero 126 della collana (oltre alle sue numerose ristampe e riedizioni), quale bilancio per il Mulino? Sul piano strettamente editoriale, la buona accoglienza incontrata da "Farsi un'idea" ci indusse a rafforzare la nostra presenza nei "libri di base" (per rifarci alla collana di De Mauro) con la rimessa a punto e il rilancio di un'altra collana che avevamo già in catalogo, l'"Universale paperbacks il Mulino": insieme le due collane costituiscono oggi un settore di punta della nostra presenza in libreria nel segmento dei tascabili e un tassello importante della nuova immagine della casa editrice, più ricca e più varia nella sua offerta, in grado di raggiungere pubblici differenziati. Più in generale possiamo dire che è stata una felice esperienza professionale, che ha richiesto nuovi modi di lavorare e interagire con gli autori, i lettori, i librai.

Personalmente ritengo che la politica culturale di una casa editrice si possa esprimere in una pluralità di modi: non solo pubblicando testi per gli studiosi, ma anche manuali per gli studenti e naturalmente piccoli libri per tutti, come "Farsi un'idea", a patto che si perseguano obiettivi di qualità a ciascuno dei tre diversi livelli di competenza.

 

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