Rivista "IBC" XIV, 2006, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
Dal 23 settembre alla fine di dicembre del 2006, presso il Centro culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo (Ravenna), si può visitare una mostra dedicata al botanico Pietro Bubani (1806-1888), iniziativa promossa dal Comune per ricordare il bicentenario della nascita di questo concittadino; una rassegna che documenta la sua attività scientifica e insieme il contesto storico e ambientale che aveva involto la sua esistenza, mostrando esemplari delle sue opere, libri e opuscoli a lui appartenuti, lettere e documenti manoscritti, e altri cimeli legati alla sua persona (www.centrolecappuccine.it).
Accompagna l'evento espositivo l'uscita di un'opera monografica sul protagonista, il cui titolo, Dagli Appennini ai Pirenei: Pietro Bubani, un botanico nel Risorgimento, cerca una sintesi che esprime gli ambienti della ricerca scientifica dello studioso, iniziata in territorio romagnolo, poi maturata nell'Appennino Tosco-Emiliano e infine approdata alla catena pirenaica, la cui esplorazione botanica gli fece ottenere la sua quota di notorietà. La collocazione "nel Risorgimento" evoca la parte politica, di iniziale patriota, ma soprattutto il milieu dei suoi legami relazionali, con protagonisti, anche di primo piano, della storia del suo tempo; ma appunto "nel", per voler significare una coesistenza, un esserci, più che una dimensione intimamente partecipata e del tutto condivisa del movimento di rinascita nazionale.
La monografia nella quale si specchia la mostra è frutto di una stretta collaborazione fra l'ente proponente, il Comune di Bagnacavallo, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna in tutte le sue componenti (in particolare il Servizio per i beni architettonici e ambientali e la Soprintendenza per i beni librari e documentari), e la Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna, depositaria di una copiosa documentazione manoscritta relativa al Bubani. A questa collaborazione si aggiungono l'apporto scientifico del Dipartimento per lo studio del territorio e delle sue risorse dell'Università di Genova, e la cortese disponibilità del Museo del Risorgimento di Bologna, della Biblioteca comunale di Imola, della Biblioteca comunale "Aurelio Saffi" di Forlì, della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, della Biblioteca nazionale centrale e del Gabinetto Vieusseux di Firenze.
La lunga traiettoria biografica del Bubani è tracciata da Sara Landi e Stefano Pezzoli. La prima ci introduce nel clima della vita di Bagnacavallo nell'Ottocento, sostenuta da un'economia strettamente agricola; città culturalmente arretrata, segnata dal forte divario fra una ristretta classe di possidenti e una moltitudine vivente a cavallo della soglia di povertà, e pertanto piagata da endemica e diffusa criminalità. Da questo quadro d'insieme emerge anche la vicenda amministrativa, che vede il Comune, specie dopo l'unità nazionale, frequentemente commissariato per la costante inefficienza dei suoi organismi di governo, per perenne apatia e assenteismo. A questa introduzione segue il racconto dell'ascesa della famiglia Bubani sullo scorcio del Settecento, impersonata da Antonio, padre di Pietro, che da umile copista diventa funzionario "ricevitore delle imposte", e che nella vicenda della liquidazione dei beni ecclesiastici acquisisce proprietà terriere e si inserisce nel pieno del ceto dirigente della sua città coprendo numerose cariche, fra cui quelle di consigliere comunale e gonfaloniere.
Pietro Bubani nasce dunque in una famiglia benestante, che gli consente di accedere agli studi universitari a Bologna, ove si laurea in medicina nel 1829; poi, da appassionato allievo del celebre botanico Antonio Bertoloni, si orienta verso la scienza botanica. Il resoconto biografico dà conto in seguito della sua attiva partecipazione in Bagnacavallo ai moti del 1831, con l'incarico militare di "Grosso Maggiore", a capo dell'amministrazione del Reggimento della Guardia civica; espostosi in alcuni episodi, alla riconquista pontificia Bubani prende la via dell'esilio, prima in Corsica, poi in Toscana. Di questa parte cruciale della sua vita, ove consolida e sperimenta l'interesse scientifico per la botanica, scrive Pezzoli, che evidenzia spostamenti e relazioni personali, e sottolinea il progressivo distacco dal suo essere patriota, e il conseguente processo di assorbimento nella dimensione di studioso, sempre isolato dai colleghi, chiuso dal suo difficile carattere: Bubani fu cacciato per due volte, da Firenze e da Lucca, a causa di eccessi verbali e anche importunità verso il gentil sesso, da lui vissuto maniacalmente per tutta la vita. Così l'esilio lo porta in Francia e produce l'incontro con la flora dei Pirenei.
Ancora di Pezzoli un paragrafo dedicato agli "intervalli italiani" nel quasi trentennale periodo franco-spagnolo, ai legami con la madrepatria e ai difficili rapporti familiari. Conclude la rappresentazione biografica un ultimo capitolo di Sara Landi, dal definitivo rientro a Bagnacavallo nel 1863, sino alla morte nel 1888. Vi si legge di un Bubani dedito sempre al perfezionamento e alla continua "limatura" della sua Flora Pyrenea, ma incapace di concluderla, perché troppo condizionato dal "mal vivere" nel paese natale, insofferente dello scadente governo locale e deluso anche da quello nazionale, troppo dedito alle polemiche, troppo fragile alle provocazioni. Così fino alla fine, tragica, per la caduta accidentale da una finestra del suo palazzo.
Il resoconto delle ventuno spedizioni scientifiche nei Pirenei è curato da Stefano Gardini che, dopo un breve inquadramento storico della regione alla prima metà del XIX secolo, riepiloga i movimenti e le impressioni, nonché gli incontri e le "avventure" del Bubani fra Francia e Spagna, approfondendo la dimensione del viaggiatore e del suo relazionarsi nel contesto territoriale. Fonti essenziali di questa parte: gli appunti memorialistici dello stesso botanico, frammentarie ma preziose tracce lasciate per sé stesso, un capitoletto autobiografico parte di un testo botanico pubblicato nel 1878 (Dunalia) e le lettere indirizzate all'amico pistoiese, il mecenate e filantropo Niccolò Puccini.
Fa seguito un capitolo sul personaggio Bubani, visto nell'insieme, fra gli iniziali fervori rivoluzionari e una stantia tradizione culturale. Scritto da Elena Musiani, mette in luce un uomo che fa parte della "generazione del progresso", "cresciuta nel segno della filosofia dei Lumi", da cui però si distacca presto, isolandosi dalla comunità italiana degli esuli, concentrandosi nella scelta del viaggio di studio, vissuto come mezzo di perfezionamento, dove la botanica funge da stretto "sapere razionale" e diviene una sorta di "rifugio per lo spirito". La Musiani, dopo aver considerato le corrispondenze di Bubani come tipiche modalità della comunicazione del tempo, si sofferma sul suo rapporto con le donne, che al di là della dimensione dell'avventura amorosa, resta avvilente, inaspettato in un uomo di cultura, non appropriato a "uno spirito ottocentesco". Infine uno sguardo al Bubani politico, infatuato di Napoleone, altalenante nei giudizi su Vittorio Emanuele II, diffidente di Garibaldi, paternalista e timoroso della democrazia, fautore di una legalità sempre assoluta e sempre sradicata da un'analisi pacata delle contingenze.
L'esame delle ricerche botaniche sui Pirenei è svolto da Simonetta Peccenini, che scandaglia minuziosamente la Flora Pyrenea numerando "2.802 specie raggruppate in 770 generi a loro volta facenti parte di 132 ordini/famiglie"; la ricerca evidenzia l'avventurarsi di Bubani nella definizione di nuove categorie sistematiche, tipica manifestazione del suo essere eccentrico (categorie, poi, nella quasi totalità, non più riconosciute come tali). Dopo un accenno alle specie a lui dedicate, la Peccenini rileva i pessimi rapporti di Bubani con i botanici coevi e di conseguenza l'incapacità di partecipare alla comunità scientifica i suoi apporti. Di seguito la studiosa analizza le pubblicazioni, il suo erbario conservato a Genova, e dà conto della realizzazione di un database coi dati principali contenuti nella Flora Pyrenea, che fornisce informazioni relative a 6.500 esemplari. Curiosa la parte dedicata ai cartellini manoscritti legati ai campioni raccolti, con annotazioni le più disparate su luoghi ed eventi. Concludendo, pur con la consapevolezza che Bubani per vari motivi non è riconosciuto fra i grandi del suo tempo, la Peccenini gli dà "il merito di avere compiuto un'opera ciclopica, che resta probabilmente ancora oggi insuperata".
Alessandro Alessandrini esamina il contributo locale del Bubani, quello confluito nella Flora Italica del Bertoloni, che ritiene non essere particolarmente significativo: circa 190 esemplari rispetto alle diverse centinaia di altri collaboratori. I campioni inviati a Bertoloni provengono dalla Romagna, dalla Toscana e dalla Corsica, ma solo per la Toscana s'individua "un progetto esplorativo". L'autore allega quindi un elenco di campioni relativi all'area ravennate. Di seguito Ettore Contarini espone un confronto floristico-ambientale del territorio di Bagnacavallo fra i tempi del Bubani e l'oggi, confronto che denuncia "un cambiamento radicale" causato dalla meccanizzazione agricola e dalla scomparsa delle zone umide, con "una fortissima caduta di biodiversità". La formazione medica di Bubani è l'oggetto dell'approfondimento di Stefano De Carolis, che ricorda la dissertazione di laurea del 1829 sull'enterite, e soprattutto l'esame di un ricettario del Bubani, che può considerarsi una specie di "prontuario tascabile per uso quotidiano, con riferimenti a ricette di medici citati, italiani e stranieri".
Parte non secondaria della memoria storica di Pietro Bubani è la sua dimora, il palazzo di via Ramenghi a Bagnacavallo, che dopo decenni di deplorevole abbandono è ora oggetto di un sapiente restauro, e che la disponibilità dei nuovi proprietari ha messo a disposizione, nell'occasione del bicentenario, per un'approfondita rivisitazione dei suoi apparati decorativi pittorici. Ne dà conto il saggio di Elisabetta Landi e di Mariacristina Gori, che ricostruisce la vicenda del palazzo nel contesto artistico dell'area. L'edificio, già della famiglia Sorboli, venne reimpostato negli assetti e nel progetto decorativo dai Graziani, prima di ulteriori apporti compiuti dopo il 1817, anno dell'acquisto di Antonio Bubani. La Landi ci riporta alla vicenda neoclassica romagnola, alla "sprovincializzazione perseguita dalla cultura riformata", evidente sia nella distribuzione degli spazi abitativi che nel lessico decorativo. Mariacristina Gori analizza le fasi della storia del palazzo che vede il completamento decorativo al tempo di Antonio Bubani, come da puntuali raffronti con coevi esempi del ravennate.
Fa seguito un corposo capitolo curato da Maria Grazia Bollini (introdotto da Pierangelo Bellettini e Rosaria Campioni), che enumera e analizza il vistosissimo corpo documentario lasciato da Bubani. Il lavoro dà conto sia della documentazione prevalentemente manoscritta donata al Comune di Bagnacavallo e alla Biblioteca dell'Archiginnasio dagli eredi Brunetti-Bubani di Bologna per l'occasione commemorativa, sia delle carte di Pietro Bubani già archiviate presso la stessa biblioteca bolognese e il Museo del Risorgimento. Oltre a numerose carte patrimoniali e di contenziosi, fra le acquisizioni della donazione emergono per interesse: i tre quaderni di appunti memorialistici, zeppi di nomi di luoghi e di incontri, fra Romagna, Corsica, Toscana, Francia e Spagna (1832-1882); un album fotografico di ritratti familiari e di botanici europei; un inventario di 1.816 voci relativo alle proprietà della famiglia nel 1855, incredibile spaccato di tutto ciò che c'era, camera per camera, cassetto per cassetto, stalla per stalla, legnaia e orto: una marea di dati, termini del tempo, prezzi. Completa l'insieme delle giacenze in Archiginnasio un contributo di Giovanna Del Corno che inventaria numerosi opuscoli donati al Bubani, di svariate tematiche, a testimonianza di molteplici relazioni culturali.
Concludendo, di un Pietro Bubani forse da ridimensionare come patriota, e anche come botanico, rimane ferma l'ossessione della memoria, un lascito grande che parla al vivo di personaggi del Risorgimento, patrioti e letterati, musicisti e scienziati - e fra i moltissimi ricordiamo Niccolò Tommaseo, Bettino Ricasoli, Niccolò Puccini, Gian Pietro Vieusseux, Antonio Silvani, Luigi Farini, Pietro Bastogi, i fratelli Cini, Gioacchino Rossini, Don Giovanni Verità - e una lunga teoria di botanici: Antonio e Giuseppe Bertoloni, Filippo Parlatore, Ludovico Caldesi, e molti altri di mezza Europa, per finire con un giovane Antonio Baldacci. Da incroci approfonditi, da incontri occasionali, da semplici citazioni di situazioni, da annotazioni minimali, impressioni e apprezzamenti, emerge un quadro discontinuo e frammentario, ma nondimeno curioso e inconsueto, di vita ottocentesca, in paesi e ambienti di Romagna, Toscana, Francia e Spagna.
E pure nella dimensione intellettuale e politica del personaggio, inesorabilmente romagnolo, portato all'estremizzazione dei rapporti, "molto amante delle donne, e per niente amico della pretaglia", aspro e sempre in bilico fra egocentrismo esasperato e voglia di rivalsa, intriso di frustrazione e bizzarria, si percepisce una dimensione che è di fatto europea, perché si assiste a un passaggio continuo e reiterato fra ambienti diversi, fra continui incontri e localizzazioni che esulano dai confini delle singole realtà del momento, superano l'ambito disciplinare del personaggio, la sua stessa volontà di memorizzare. Situazioni che, pur circoscritte alla vicenda di un liberale moderato, socialmente ed emotivamente chiuso dai suoi problemi esistenziali, e sempre rancoroso, arrivano a comunicare comunque un mondo più ampio, a stimolare curiosità sulle variegate esistenze che popolavano l'Ottocento italiano ed europeo.
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