Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

biblioteche e archivi / convegni e seminari, inchieste e interviste, progetti e realizzazioni, leggi e politiche, storie e personaggi

Creare e sostenere una biblioteca all'interno di un carcere può fare la differenza tra una pena che distrugge e una che recupera. Abbiamo incontrato una bibliotecaria esperta in questo tipo di missione.
Aspettando Socrate

Vittorio Ferorelli
[IBC]

L'appuntamento con Angela Barlotti è nel suo ufficio di Ravenna, nella sede del Servizio Biblioteche della Provincia. Una stanza piccola, piena di libri che spuntano dalle casse, e di casse già chiuse, pronte per la partenza. Se in Italia cercate una persona esperta nell'arte di avvicinare alla lettura gli ambienti "di frontiera", questo è il posto giusto. Le piace definirsi una "bibliotecaria fuori di sé", nel senso che la sua biblioteca ideale comincia fuori dai confini della cosiddetta normalità. Per questo ha passato gran parte della sua vita a "seminare libri" nei posti più impensati e meno ortodossi: carceri, innanzitutto, ma anche parrucchieri, ipermercati, stabilimenti balneari, bar, sale d'aspetto ospedaliere, case per stranieri.

Nominata nel 2005 membro della Commissione internazionale permanente delle biblioteche rivolte alle persone svantaggiate,1 Angela Barlotti ha iniziato a fare entrare libri in carcere all'inizio degli anni Novanta, prima come volontaria, poi come bibliotecaria. Folgorata, sostiene, dalla lettura del Manifesto UNESCO sulle biblioteche pubbliche. Che ha mandato a memoria: "I servizi della biblioteca pubblica sono forniti sulla base dell'uguaglianza di accesso per tutti, senza distinzione di età, razza, sesso, religione, nazionalità, lingua o condizione sociale. Servizi e materiali specifici devono essere forniti a quegli utenti che, per qualsiasi ragione, non abbiano la possibilità di utilizzare servizi e materiali ordinari, per esempio le minoranze linguistiche, le persone disabili, ricoverate in ospedale, detenute nelle carceri".2

Nel 1995 è stata tra i promotori della prima Convenzione fra il Ministero della giustizia, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e la Provincia di Ravenna.3 Obiettivo dell'accordo di programma: avviare e far funzionare le biblioteche carcerarie di Ravenna, Rimini e Forlì (la Provincia di Forlì-Cesena ha aderito alla Convenzione nel 1999). Da dieci anni, in virtù di questo accordo, le istituzioni carcerarie di Ravenna, Forlì e Rimini si sono impegnate a dotare di regolamento le loro biblioteche, a garantirne la continuità di funzionamento, a incrementarne il patrimonio documentario, a promuoverne l'accesso e la fruizione da parte dei detenuti, a coordinarle con il sistema bibliotecario e a collaborare con le istituzioni esterne per la programmazione di iniziative culturali. La Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'IBC, da parte sua, si è impegnata a favorire il collegamento delle biblioteche carcerarie coi cataloghi informatizzati delle biblioteche pubbliche (ovvero, con la Rete di Romagna) e a promuovere occasioni di inserimento operativo dei detenuti nel settore bibliotecario. La Provincia di Ravenna, attraverso l'intensa attività della Barlotti, fornisce consulenza e formazione specializzata agli operatori delle biblioteche carcerarie, contribuisce all'incremento del patrimonio, promuove il prestito interbibliotecario e le iniziative culturali che si svolgono "dentro".

Stiamo per partecipare a una di queste iniziative. Nel pomeriggio entreremo nel Carcere di Forlì insieme a Paolo Severi, che parlerà con i detenuti dei suoi 231 giorni, un libro che racconta, sotto forma di diario, un'esperienza vissuta di carcerazione. Ma c'è ancora il tempo per qualche domanda. Qual è stato l'ostacolo più difficile da superare in questi anni, così ricchi di progetti realizzati? "Il carcere" - risponde Angela - "non è certo un contesto facile. Occorre conoscerne a fondo le regole. Bisogna saper rispettare i ruoli di chi ne è responsabile, ma anche la volontà, e l'identità culturale, di chi ne è ospite: basta pensare che la maggioranza dei detenuti è fatta di stranieri. Eppure non è stata questa la vera difficoltà. La disponibilità di tutto il personale carcerario - direttori, ispettori, agenti di polizia, educatori - ci ha reso tutto più semplice. Il freno più forte rimane, tuttora, l'incomprensione di chi rimane 'fuori'. Siamo riusciti a spiegare ad alcuni carcerati la catalogazione secondo le regole ISBD e persino le norme RICA, ma non riusciamo ancora a sciogliere la diffidenza di certi 'veri' bibliotecari verso questa necessaria opera di divulgazione".

Quando parla dei detenuti e degli effetti virtuosi che la creazione di una biblioteca in carcere può produrre, la sua immagine preferita è quella delle api: "Succede proprio come in un alveare in cui arriva un'ape forestiera. Il detenuto che passa da un carcere in cui la biblioteca è attiva a uno in cui invece non funziona, o non esiste affatto, quasi sempre ne manifesta l'esigenza e si dà da fare per attivarla. È una specie di impollinazione spontanea". E in effetti, da qualche tempo, tra gli scaffali aperti dietro le sbarre sembra circolare un'energia nuova: nel 2000, per contarsi, unire le forze e costruire un percorso di crescita comune, le realtà più vivaci hanno dato vita all'Associazione biblioteche carcerarie (ABC), presieduta da Giorgio Montecchi, docente di Biblioteconomia all'Università di Milano.

La Biblioteca della Casa circondariale di Ravenna, appassionatamente curata in questi anni dalla Barlotti, rappresenta oggi una delle esperienze più significative a livello nazionale. Il suo catalogo è consultabile online insieme a quelli delle altre biblioteche che fanno parte della Rete bibliotecaria di Romagna (all'interno del catalogo del Servizio Biblioteche) ed è riportato integralmente nel portale della Rete civica dei Comuni e della Provincia di Ravenna; il programma delle iniziative culturali organizzate in carcere è costantemente aggiornato nella rassegna elettronica "Biblioteche News".4 Esperienze in parte paragonabili a quella ravennate, dal punto di vista istituzionale, sono quelle più recenti del progetto "Biblioteche carcerarie in Sardegna", finanziato dalla Regione sarda, e delle "Biblioteche in carcere" del Comune di Roma. Diverse, ma altrettanto interessanti, soprattutto perché autogestite dai detenuti, le iniziative promosse da "Ristretti Orizzonti", il giornale cartaceo e online della Casa di reclusione di Padova e dell'Istituto di pena femminile della Giudecca, e quelle di "Papillon Rebibbia", l'associazione nata dall'attività svolta da un gruppo di detenuti nella Biblioteca centrale del Carcere di Rebibbia.5

La legge sull'ordinamento penitenziario e i relativi regolamenti prevedono espressamente l'allestimento di biblioteche all'interno delle carceri e, stando ai dati disponibili, le carceri italiane in cui i libri non hanno diritto di cittadinanza sarebbero poche.6 Secondo un'approfondita indagine pubblicata dal Centro di documentazione "L'altro diritto" dell'Università di Firenze, da un campione di 143 carceri (su un totale di 205) risulta che la quasi totalità, il 95 per cento, ha allestito al suo interno almeno una biblioteca. Ma al di là del dato numerico, commenta la ricercatrice Monia Coralli, rimangono aperte alcune domande fondamentali: "In quali condizioni qualitative sono le biblioteche allestite nelle carceri? I libri allineati negli scaffali di queste biblioteche sono libri che possono stimolare la curiosità e l'intelletto delle persone o sono solo il rifiuto delle biblioteche pubbliche e private che sostano in un luogo diverso prima di andare al macero? Perché non viene data a tutti i detenuti la possibilità di scegliersi direttamente le letture, facendosi incuriosire dalle copertine e dalle trame dei libri anche nel caso in cui la biblioteca del carcere non sia provvista di una sala di lettura? Quanti, quali e in che condizioni sono i libri scritti in lingua straniera [...]?".7

Angela spiega che dove una vera e propria biblioteca non c'è, o quando l'accesso è fortemente limitato per mancanza di spazio o di personale di sorveglianza, si può sempre giocare la carta del "carrello", facendo circolare i libri cella per cella, come si fa con il cibo. Si vede qualcosa di simile nel film Le ali della libertà, tratto da un memorabile racconto di Stephen King. Il protagonista, condannato all'ergastolo per errore, si "redime" continuando a studiare e a lavorare, donando ai suoi compagni di prigionia piccoli spazi di libertà, e trasformando un vecchio stanzino delle vernici nella migliore biblioteca carceraria del New England. Poi, dopo ventisette anni, toglie il disturbo ed evade, con una fuga perfetta.8

"Sarebbe un ottimo spunto per uno dei miei laboratori di scrittura coi detenuti" - commenta lei - "Scrivere, oltre che leggere, è uno degli strumenti più importanti per avvicinarli al mondo esterno, per farli sentire meno soli. Uno di questi seminari si intitolava proprio così: 'Poetando mi LIB(e)RO'. I testi creati sono stati stampati in forma di cartolina, e poi spediti 'fuori', a parenti e ad amici lontani". Immagino che i legami nati in queste occasioni siano la ricompensa migliore di tutto il lavoro svolto: "È davvero così. Conservo sempre le lettere e le poesie delle persone che ho incontrato in questi anni. Fanno parte di una raccolta strettamente personale, che chiamo 'Catene di luce'".

Nel frattempo siamo arrivati a Forlì. Il portone automatico della Rocca si apre ed eccoci all'interno della Casa circondariale. Muniti di pass, veniamo condotti in biblioteca da un agente. La lunga sala rettangolare non ha finestre. L'unica fonte di luce naturale sono i cubetti di vetrocemento, in alto sulle pareti. Al resto provvedono i neon. I libri sono in perfetto ordine sugli scaffali, divisi per argomento. In fondo si intravede un computer. Ma non c'è tempo per guardarsi intorno: i detenuti che partecipano all'incontro sono pronti a cominciare e uno di loro, con limpida cadenza partenopea, fa presente in modo cortese ma deciso che a una certa ora occorrerà sospendere, per via della partita: "Signori, gioca la Nazionale: non si può mancare!".

Il tema del libro di Paolo Severi, un diario di vita in carcere, frutto di una durissima esperienza autobiografica, dovrebbe essere di sicuro interesse per i presenti. Eppure il dibattito stenta a partire. L'autore viene studiato con rispetto, annusato a distanza, circondato con domande laterali che non entrano nel cuore della storia. E il motivo si può facilmente comprendere. Questa storia parla proprio di loro, è come uno specchio rotto, uno di quelli in cui si ha paura di guardare il proprio volto deformato. "Non nego quello che ho fatto, dico solo che il carcere non serve a nulla", scrive Severi: per salvarsi dall'inutilità, dall'insensatezza, dall'abitudine alla violenza, per "condurre in porto la barca" (è la sua immagine ricorrente) lui si è salvato scrivendo un diario, portando avanti gli studi universitari, sognando forse di poter avere a disposizione una biblioteca come questa. "Amati libri salvatemi voi", pregava nell'ombra della sua cella.9 Ma quanti, qui e altrove, sarebbero in grado di fare altrettanto?

Lo spiegava bene nel 1929 Antonio Gramsci: "Molti carcerati sottovalutano la biblioteca del carcere. Certo le biblioteche carcerarie, in generale, sono sconnesse: i libri sono stati raccolti a caso, per donazione di patronati che ricevono fondi di magazzino dagli editori, o per libri lasciati da liberati. Abbondano libri di devozione e romanzi di terz'ordine. Tuttavia io credo che un carcerato [...] deve cavar sangue anche da una rapa. Tutto consiste nel dare un fine alle proprie letture e nel sapere prendere appunti (se si ha il permesso di scrivere)".10

A un certo punto, come promesso, un gruppo numeroso ci lascia per andare a rendere il dovuto omaggio alla squadra di capitan Cannavaro. Si rimane in pochi, eppure, nonostante gli sforzi di Angela, gli interventi di chi è rimasto continuano a prendere altre vie, e il libro che avremmo voluto presentare rimane inesorabilmente sullo sfondo. Quando è ormai ora di finire ci alziamo tutti in piedi e ci avviciniamo ai libri. L'atmosfera all'improvviso si distende, le distanze si accorciano. Mi accorgo che uno dei partecipanti è quasi un ragazzino, avrà poco più di vent'anni. La sua voce non si è ancora sentita. Nel miglior italiano possibile per un rumeno, ci dice che gli piacerebbe leggere Socrate e l'Iliade, ma in biblioteca non ci sono. Pare che Socrate, dietro le sbarre, sia molto richiesto. Prima di salutarci, stringendoci la mano, ci racconta: "Quando ero a scuola ho scritto delle poesie. La mia insegnante voleva pubblicarle, ma le ho detto: 'Deciderò io quando'". E ci ha sorriso.

Usciti dalla penombra della Casa circondariale, tutto sembra più luminoso. Lo scrittore è ancora emozionato: era la prima volta che rimetteva piede in un carcere, dieci anni dopo quei 231 giorni. La cosa che lo ha infastidito di più, ci confessa, è stata il rumore metallico dei chiavistelli, entrando e uscendo. Angela si scusa con entrambi: "Non va sempre così. Di solito la sala è piena e la partecipazione è davvero intensa". Non so come spiegarglielo, ma, proprio per com'è andato, così fuori dalle righe, questo incontro mi ha insegnato qualcosa. "Signor sindaco," - chiedeva John Berger al primo cittadino di Lione - "quale edificio direbbe che ospiti il maggior numero di sogni? La scuola? Il teatro? Il cinema? La biblioteca? Un albergo intercontinentale? La discoteca? Non potrebbe essere un carcere?".11

 

Note

(1) La Standing Committee of the Libraries Serving Disadvantaged Persons Section fa parte dell'IFLA, l'International Federation of Library Associations and Institutions ( www.ifla.org/VII/s9/index.htm). Nel 2005 la Commissione ha stilato la terza edizione delle Linee guida per i servizi bibliotecari ai detenuti ( www.ifla.org/VII/s9/nd1/iflapr-92.pdf).

(2) La versione aggiornata del Manifesto IFLA/UNESCO sulle biblioteche pubbliche è consultabile sul sito: www.ifla.org/VII/s8/unesco/ital.htm.

(3) Nel decennale della Convenzione, il 9 dicembre 2005, la Biblioteca Classense di Ravenna, ha ospitato il convegno "La biblioteca in carcere come diritto e come servizio" ( www.racine.ra.it/bibliotechecarcerarie).

(4) Rispettivamente: opac.provincia.ra.it/SebinaOpac/Opac; www.racine.ra.it/bibliotechecarcerarie/catalogo.htm; dev.racine.ra.it/virtual/biblio/index.php.

(5) Rispettivamente: opac.regione.sardegna.it/SebinaOpac/Opac; www2.comune.roma.it/CULTURA/Biblioteche/bibcarceri/convenzione.htm; www.ristretti.it/areestudio/cultura/index.htm; www.papillonrebibbia.org.

(6) In termini giuridici l'esistenza e il funzionamento delle biblioteche carcerarie in Italia sono definiti dalla Legge n. 354 del 1975 sull'Ordinamento penitenziario (articolo 12; www.giustizia.it/cassazione/leggi/l354_75.html) e dai regolamenti di esecuzione ex DPR n. 431 del 1976 ed ex DPR n. 230 del 2000 (art. 21; www.giustizia.it/cassazione/leggi/dpr230_00.html).

(7) M. Coralli, L'istruzione in carcere: aspetti giuridici e sociologici, Centro di documentazione "L'altro diritto", Dipartimento di Teoria e storia del diritto dell'Università di Firenze, www.tsd.unifi.it/altrodir/misure/coralli/index.htm (i dati sono stati raccolti tramite questionario).

(8) S. King, Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, in Id., Stagioni diverse, Milano, Sperling & Kupfer, 1987; per altre suggestioni cinematografiche sul tema si veda: R. Morriello, Biblioteche carcerarie nei film, "Biblioteche oggi", XXI, 2003, 6, pp. 63-65 ( www.bibliotecheoggi.it/2003/20030606301.pdf).

(9) P. Severi, 231 giorni, Milano, Frontiera Editore, 2000, p. 150, p. 95.

(10) A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1971, p. 78.

(11) J. Berger, Mentre voi sognate. Lettera aperta sulle carceri a Raymond Barre, sindaco di Lione, "Le Monde Diplomatique", 2000, 6, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Settembre-2000/pagina.php ; ora in Id., Modi di vedere, a cura di M. Nadotti, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 38.

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