Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

Dossier: Oltre il Codice

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Contenuti, efficacia e possibili conseguenze della pianificazione paesaggistica

Luigi Scano
[esperto in normative urbanistiche e territoriali]

Il Consiglio dei ministri ha approvato, il 18 novembre 2005, uno "schema di Decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio [...], in relazione al paesaggio" (d'ora in poi "nuovo schema di decreto"), come comunicato nella lettera di trasmissione di tale provvedimento al fine di acquisire il prescritto parere della cosiddetta "Conferenza unificata" Stato, Regioni, enti locali. Ciò sulla base dell'articolo 10 della Legge 6 luglio 2002, n. 137, con cui si è emanato il Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ("Codice dei beni culturali e del paesaggio"). Infatti il medesimo articolo 10 conferisce al Governo la delega ad adottare disposizioni correttive e integrative dei decreti emanati, dovendosi tale delega esercitare entro due anni dall'entrata in vigore dei predetti atti legislativi, e quindi, per quanto riguarda il Codice dei beni culturali e del paesaggio, entro l'1 maggio 2006.

Le modifiche e le integrazioni che il nuovo schema di decreto prevede di introdurre nel Codice sono, a mio parere, nel complesso e singolarmente considerate, migliorative del provvedimento legislativo sul quale intervengono: talvolta rilevantemente migliorative, talaltra volta più apparentemente che sostanzialmente tali, più spesso appena correttive, quasi mai peggiorative, e in tali casi in termini marginali e agevolmente correggibili.

In questo intervento mi limiterò a fare presenti, a grandi linee e con qualche ineluttabile apoditticità valutativa, le più consistenti modifiche e integrazioni che il nuovo schema di decreto prevede di introdurre nel Codice.

 

Correzione di errori materiali

Si propone, innanzitutto, di correggere alcuni veri e propri errori materiali, presenti nel Codice, e derivanti da sciatteria, imprecisione, difetti di coordinamento finale tra i diversi passaggi del testo. Errori largamente e abbastanza facilmente ovviabili in sede interpretativa, ma che ciononostante avevano suscitato gravi equivoci e accese polemiche.

Vale la pena di citare, quale esempio particolarmente significativo, l'infelicissima espressione del comma 1 dell'articolo 142 del Codice per cui i beni enumerati nel medesimo comma sarebbero stati sottoposti ope legis alle disposizioni del Titolo del Codice recante "Tutela e valorizzazione" dei "beni paesaggistici" soltanto "fino all'approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 156". Anche esponenti di organizzazioni e movimenti che operano per la tutela del patrimonio culturale hanno sospettato, o dato addirittura per scontato, che l'espressione sopra riportata implicasse la possibilità, per il piano paesaggistico, di abrogare tout court la qualità di "beni paesaggistici" di taluni degli elementi territoriali enumerati, o di loro parti. Con ciò privilegiando l'interpretazione maggiormente capace di stimolare lo sdegno verso gli atti e le intenzioni vandaliche e criminogene del Governo, anziché quella più suscettibile di garantire la tutela dei beni per cui si faceva mostra di battersi. A ogni buon conto, il nuovo schema di decreto propone, puramente e semplicemente, la soppressione dell'espressione dianzi riportata, con ciò risolvendo drasticamente equivoci e polemiche.

 

Ritocchi integrativi

Tale è, a mio parere, quello che il nuovo schema di decreto propone di operare all'articolo 136 del Codice, nel quale vengono delineate (in termini pressoché letteralmente identici all'articolo 1 della Legge 29 giugno 1939, n. 1497) le categorie di beni che possono essere qualificati "beni paesaggistici" attraverso specifici provvedimenti e atti amministrativi singolarmente afferenti a ognuno di essi. Il nuovo schema di decreto prevede di inserire espressamente, tra "gli immobili e le aree" definibili "beni paesaggistici", i "centri storici" e le "zone di interesse archeologico". Quest'ultima categoria è stata indicata, essenzialmente, per sovvenire a (veri o supposti) problemi individuativi, e non rileva granché darne conto. Mentre può dare la sensazione di una forte innovazione l'esplicita citazione dei "centri storici". A una riflessione appena più attenta, invece, questa citazione finisce con il doversi considerare assai modesta (la stessa relazione illustrativa del nuovo schema di decreto riconosce trattarsi nulla più che del chiarimento di una possibilità già suggerita addirittura dall'articolo 9 del Regio Decreto 3 giugno 1940, n. 1357, recante il regolamento di attuazione della Legge 1497/1939, e comunque "già ampiamente praticata dalla prassi amministrativa degli ultimi decenni") e forse addirittura foriera di rischi. Mi riferisco al fatto che la sottolineatura della prospettiva di definizione dei "centri storici" quali "beni paesaggistici" può stimolare una concezione della tutela dei medesimi "centri storici", e delle unità di spazio che li compongono (unità edilizie e unità di spazio scoperto), limitata alla preservazione dell'"aspetto esteriore", ignorando le elaborazioni e le centinaia (almeno) di discipline pianificatorie e regolamentari definite in Italia negli ultimi quattro o cinque decenni, volte a garantire la conservazione delle caratteristiche tipologiche strutturali delle unità di spazio, con particolare riferimento, tra l'altro, agli assetti distributivi interni delle unità edilizie.

 

Miglioramenti sui contenuti della pianificazione paesaggistica

Più rilevanti e positive ritengo siano le correzioni che il nuovo schema di decreto prevede di apportare agli articoli 135 e 143 del Codice, i quali, nel loro insieme, definiscono innanzitutto i contenuti della pianificazione paesaggistica. Tali correzioni possono infatti sortire l'effetto di attutire, e di rendere evitabili (pur senza escluderli del tutto) i rischi di dare luogo a una pianificazione paesaggistica del tutto priva di reale pregnanza e incisività precettiva, rischi insiti nelle norme dell'originaria, e vigente, stesura del Codice.

Queste ultime norme, infatti, pretendono la costruzione di astratte categorie di "trasformabilità", relazionate a presumibilmente assai soggettivi "gradi di valore", attribuiti ad "ambiti omogenei": la qual cosa porterebbe quasi inevitabilmente, se non attraverso scappatoie sostanzialmente elusive del dettato legislativo, a dettare disposizioni assai poco, o per nulla, relazionate alle specifiche e peculiari caratteristiche conformative, meritevoli di tutela conservativa, delle concrete componenti territoriali considerate.

In altri termini, laddove, in sede di redazione di uno strumento di pianificazione paesaggistica si sia individuato un "ambito" di "elevatissimo pregio paesaggistico" - racchiudente, per esempio, un'area boscata, una prateria montana sommitale, qualche corso d'acqua torrentizio, un'area di interesse archeologico - si potrebbe sfidare chiunque a dettare precetti pregnanti circa le trasformazioni, le attività, le utilizzazioni ammissibili, anziché vaghi e vacui auspici, con riferimento all'"ambito" in quanto tale. Mentre, per converso, da un lato sarebbe estremamente agevole stabilire prescrizioni conformative precise per ognuno degli elementi territoriali presenti, dall'altro sarebbe certamente auspicabile, e da perseguire, quand'anche più complesso, modulare tali prescrizioni conformative sia in relazione agli intrinseci gradi di valore di ognuno di tali elementi territoriali, sia in relazione alle reciproche interrelazioni degli specifici elementi territoriali presenti.

 

Il controllo e la gestione dei beni tutelati

Ma le modifiche e integrazioni più consistentemente innovative riguardano, per il vero, il controllo e la gestione dei beni (paesaggistici) soggetti a tutela. Si prevede, infatti, di stabilire la vincolatività del parere del competente soprintendente in merito al rilascio, o meno, delle speciali autorizzazioni alle quali è subordinata l'effettuabilità di trasformazioni dei beni soggetti a tutela (modifiche e integrazioni proposte dal nuovo schema di decreto all'articolo 146 e passim).

Si badi bene che non è minimamente intaccata la previsione del Codice (articolo 143) per cui la pianificazione paesaggistica, qualora sia formata congiuntamente e concordemente dalle Regioni e dalle amministrazioni statali competenti, può sottrarre taluni elementi territoriali riconosciuti quali "beni paesaggistici", o parti di essi, all'ordinario regime di necessaria sottoposizione delle trasformazioni in esse operabili all'ottenimento di speciali autorizzazioni. Venendo queste ultime, per così dire, "assorbite" negli ordinari provvedimenti abilitativi delle trasformazioni, finalizzati ad accertare la conformità delle trasformazioni medesime alle regole dettate dalla pianificazione paesaggistica e da quella, sottordinata, a essa adeguata.

Ciò, peraltro, viene considerato ammissibile solamente con riferimento ai "beni paesaggistici" così qualificati ope legis (e, a mio parere, con riferimento ai "beni paesaggistici" qualificati come tali dalla stessa pianificazione paesaggistica). Sono esplicitamente esclusi da tale possibilità i "beni paesaggistici" definiti come tali con specifici provvedimenti amministrativi, evidentemente ritenendosi (per quanto opinabile e discutibile possa essere tale convinzione) che il pregio intrinseco posseduto da questi ultimi beni esiga un controllo puntuale e discrezionale della coerenza con esso delle trasformazioni via via proposte, non bastando alla bisogna la verifica della conformità di tali trasformazioni alle regole definite dalla pianificazione.

E si badi altresì che la vincolatività del parere del competente soprintendente in merito al rilascio, o meno, delle speciali autorizzazioni, è esclusa (comma 4 dell'articolo 143 come risulterebbe dalle modifiche e integrazioni proposte dal nuovo schema di decreto) in tutti i casi in cui la pianificazione paesaggistica sia formata congiuntamente e concordemente dalle Regioni e dalle amministrazioni statali competenti. Quantomeno laddove le Regioni stabiliscano di esercitare direttamente la funzione autorizzatoria, o di delegarne l'esercizio alle Province, viene stabilito (comma 3 dell'articolo 146 come risulterebbe dalle modifiche e integrazioni proposte dal nuovo schema di decreto) che, ove invece intendano delegare tale esercizio ai Comuni, da un lato possono farlo soltanto ove sia stata approvata la pianificazione paesaggistica formata congiuntamente e concordemente dalle Regioni e dalle amministrazioni statali competenti e i Comuni vi abbiano adeguato i propri strumenti urbanistici (il che ritengo assolutamente sensato e condivisibile), da un altro lato permarrebbe comunque la vincolatività del parere della competente soprintendenza sulla rilasciabilità delle autorizzazioni (il che, invece, propendo a ritenere scarsamente giustificato).

In buona sostanza, e in estrema sintesi, l'assunto concettuale fondamentale della più rilevante innovazione proposta dal nuovo schema di decreto, è quello per cui - ove e fino a quando i beni (paesaggistici) soggetti a tutela non siano disciplinati da regole conformative, immediatamente precettive e direttamente operative, definite d'intesa tra tutti i soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica, ivi compreso lo Stato, e per esso la sua amministrazione specialisticamente competente - non può essere escluso un ruolo decisionale di quest'ultima amministrazione nell'apprezzamento discrezionale, caso per caso, delle trasformazioni ammissibili dei predetti beni soggetti a tutela.

 

Proteste delle Regioni e degli enti locali

Non si vuole minimamente negare che l'assunto concettuale qui sintetizzato sia stato tradotto, dal nuovo schema di decreto, in concrete disposizioni, e in combinati disposti precettivi, tutt'altro che privi di sbavature, di particolari discutibili, di eccessi scarsamente giustificati di cautele: criticabili, ovviabili, correggibili.

Così come l'intero nuovo schema di decreto avrebbe potuto dar luogo - in primis proprio nella sede deputata a esprimere il primo parere in merito a esso, cioè nell'ambito della cosiddetta "Conferenza unificata" Stato, Regioni, enti locali - a un approfondito confronto rivolto a perfezionarne i contenuti, e quindi a ottimizzare il modello giuridico e operativo della concorrenza dei soggetti che costituiscono la Repubblica (comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato) in quella tutela del paesaggio che della Repubblica è un compito indeclinabile secondo il relativo "principio fondamentale" proclamato dall'articolo 9 della Costituzione. Avendo ben chiaro che, in questa come in consimili fattispecie, il termine "concorrenza" (purtroppo di non univoco significato anche nel nostro dovizioso lessico italiano) significa collaborazione compartecipativa con altri soggetti alla realizzazione di un fine comune, e non, come (sacrosantamente) in altri contesti, confronto competitivo con altri soggetti nell'acquisizione, produzione e vendita di beni.

Risulta invece che, una volta approdato il nuovo schema di decreto nella cosiddetta "Conferenza unificata" Stato, Regioni, enti locali, esso sia stato dichiarato - dal "fronte" delle Regioni e degli enti locali, con prontezza scarsamente ricorrente, e con raramente tanto piena convergenza trasversale (rispetto alle formazioni e alle coalizioni politiche di appartenenza dei rappresentanti dei soggetti istituzionali partecipanti) - assolutamente inaccettabile e inemendabile.

Ritengo non accettabile l'atteggiamento del "fronte" delle Regioni e degli enti locali, il quale, proprio per il suo rifiuto a entrare dettagliatamente nel merito di ogni singolo punto, si appalesa come uno "sgomitare" rivolto a ridurre entro termini irrisori, se non ad azzerare, il ruolo dello Stato nella tutela dei "beni paesaggistici".

Con ciò mostrandosi altrettanto (pur se su posizioni simmetriche) estraneo allo spirito e alla lettera di quel, già ricordato, "principio fondamentale" di cui all'articolo 9 della Costituzione del 1948, per cui la tutela del paesaggio (e del patrimonio storico e artistico) compete alla Repubblica, e quindi alla totalità delle sue articolazioni, nessuna potendo esserne esclusa.

Per questo, cioè per la profonda aspirazione a una riscoperta della "forza propulsiva" della Costituzione del 1948, oltre che per i profili più strettamente di merito, ritengo altresì, e per concludere, che i problemi posti dalle vicende qui sommariamente esposte esigeranno l'assunzione di chiare prese di posizione da parte dell'attuale Governo.

 

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