Rivista "IBC" XIV, 2006, 2
biblioteche e archivi / mostre e rassegne, storie e personaggi
Il programma modenese per la celebrazione del centenario di Ugo Guanda - aperto alla fine del 2005 da letture teatrali e da una mostra di libri e documenti provenienti dalla Biblioteca Estense Universitaria e da collezioni private ("Ugo Guanda. Un uomo di buona volontà", Modena, Caffè dell'Orologio, 10 dicembre 2005 - 12 gennaio 2006) - si chiude nell'autunno del 2006 con altre tre mostre (Biblioteca Estense; Laboratorio di poesia; Comune di San Prospero) e un convegno sulle corrispondenze tra Guanda e altre figure di spicco della cultura modenese degli anni Venti e Trenta, da Antonio Delfini a Pietro Zanfrognini. Su questo tema abbiamo chiesto un intervento ad Anna Rosa Venturi, esperta conoscitrice dei fondi conservati nella Biblioteca Estense.
Il progetto di ricordare Ugo Guanda nel centenario della nascita è un atto doveroso, soprattutto per l'Emilia-Romagna, la regione che l'ha visto crescere e operare. Egli infatti nacque a Modena nel 1905 e nel 1935 si trasferì a Parma dove dominò la scena culturale editoriale con le sue straordinarie collane di poesia e di letteratura, in testa a tutte la "Fenice". Fu al contempo editore e scrittore, uomo dai molteplici interessi fortemente saldati su di una matrice razionalistica (era laureato in Mineralogia, che insegnò per alcuni anni all'Università) e poetica al tempo stesso; l'analisi dei suoi anni giovanili offre l'occasione, unica e da non perdere, di gettare lo sguardo sull'intero segmento della storia culturale modenese del Novecento tra le due guerre, cui l'atteso convegno mi auguro saprà dare la voce che merita.
Il titolo di questo intervento, Quando Guanda era Guandalini, si riferisce proprio agli anni della sua formazione, quando non aveva ancora modificato il cognome, alle sue prime sperimentazioni, alle amicizie, insomma al contesto modenese, poco noto rispetto agli anni d'oro parmigiani, ma non meno interessante. Modena era allora, e forse lo si può dire anche di oggi, una città di provincia, dominata da un diffuso conformismo, ma non priva di insospettate aperture; la troviamo infatti percorsa da correnti di portata internazionale, soprattutto per merito di poche figure cardine che, purtroppo, o resteranno isolate o andranno altrove, lasciando quindi nel giro di un decennio la città chiusa all'interno del suo humus prevalentemente strapaesano.
Negli anni Venti la città ha già assistito all'ascesa di un editore, Angelo Fortunato Formiggini, che da qui prese le mosse nel 1907 per allargare poi i propri orizzonti spostandosi a Genova e infine a Roma, e di un grande studioso e filologo, Giulio Bertoni, esponente erudito della vita culturale modenese, pur se trasferitosi per ragioni di studio e di lavoro prima a Torino, poi a Friburgo e infine a Roma, docente e Accademico d'Italia. Già questa prima considerazione dimostra come Modena fosse piuttosto sorda alle iniziative dei suoi migliori figli. Formiggini aveva tentato di impiantarvi l'azienda, ma ben presto aveva capito che qui non avrebbe avuto futuro e si spostò. Bertoni conobbe a sua volta l'animosa avversione di molti suoi concittadini quando nel 1917 inaugurò la rivista "Archivum Romanicum" stampata a Ginevra da Olschki. Straniero l'editore, per giunta ebreo e tedesco polacco, detestabile la sede, una Svizzera neutrale e neutralista: di fatto, la sua, venne considerata un'alleanza con il nemico in pieno tempo di guerra.
Tra gli anni Venti e Trenta, tuttavia, a Modena si incontra un nutrito drappello di giovani dalle aspirazioni artistiche e letterarie, non di rado dotati di autentico talento. Sono Antonio Delfini, Francesco Bocchi, Giovanni Cavicchioli, Franco Allegretti, Nino Nava, Fernando Losavio, Guido Cavani, Guido Morselli... nomi e amicizie che Guanda terrà variamente presenti per collaborazioni ai primi esperimenti giornalistici ed editoriali, e che poi in parte ritroveremo a Parma quando la casa editrice decollerà e, pur scrollandosi ogni forma di provincialismo, mai negherà le origini modenesi.
Ma, soprattutto, la città gode della presenza di uno spirito libero e di un pensatore che non poco ha influenzato generazioni di modenesi: Pietro Zanfrognini.1 Parente di Antonio Delfini e insegnante di filosofia al Liceo San Carlo, egli si pone come un punto cardine nella vita giovanile e nella formazione di Guanda. Dopo essere stato allievo prediletto di Pascoli all'Università di Bologna, Zanfrognini coniuga agli interessi filosofici e letterari un innato talento artistico, che lo induce a dipingere con compiuti risultati e a dedicarsi alla poesia e alla musica. Idealista, propugnatore di uno spiritualismo fortemente etico, esercita un grande carisma sugli allievi e si può dire che riesca a creare attorno a sé una scuola, apprezzata certo più all'esterno che a Modena stessa, incapace ancora una volta di valutarne l'esigenza di apertura e la dimensione europea e internazionale. La sua casa di Staggia, il buen retiro tradizionale della famiglia, è anche la sede privilegiata di incontri letterari e di discussioni filosofiche, un osservatorio culturale di prim'ordine, lontano da ogni ufficialità, ma fortemente caratterizzato. La frequentazione di Guandalini a Staggia è una delle esperienze maggiormente formative dei suoi anni giovanili, assieme all'amicizia con Antonio Delfini. Qui si parla di tutto, dalla filosofia alla poesia, qui il giovane Ugo conosce la psicanalisi, allarga lo sguardo verso le correnti di pensiero europee e la letteratura mondiale, scopre la poesia di Unamuno, ascolta la musica, discute di arte.
Non è un caso, dunque, che il cenacolo che gravita attorno a loro non sia costituito soltanto da intellettuali, ma anche da artisti, e che sia contrassegnato dal gusto per sperimentazioni grafiche e per interessi diversi. In seguito questa sorta di contaminazione tra arte e cultura si esprimerà anche nella grande amicizia e nello stabile sodalizio tra Guandalini e il pittore Carlo Mattioli, che gli disegnerà l'indimenticabile logo della "Fenice". Quella serie di pensatori scomodi che Guanda pubblicherà nelle sue collane - come Buonaiuti, malvisto per il suo modernismo, Rensi, Tilgher, i cosiddetti eretici del regime - sono senz'altro stati avvicinati da Guandalini attraverso la mediazione di Zanfrognini.
Ma in questo primo periodo giovanile, come si è detto, un'altra amicizia concorre a formare e a indirizzare la sua personalità, quella con Antonio Delfini. I due sono pressoché inseparabili e per di più quasi coetanei; 2 insieme danno vita a una sorta di sodalizio intriso di ideali e ambizioni, pur nella diversità dei due caratteri. La loro amicizia resterà sempre grande, seppur tra alti e bassi, e sapranno sempre di poter contare l'uno sull'altro. Delfini scriverà e pubblicherà con l'amico e per l'amico, dirigerà la sua "Collana della luna" e Guandalini, dal canto suo, dopo anni di residenza a Parma, saprà ancora trovare per lui parole come queste: "Carissimo Antonio, senti, se tu dovessi tornare a stare a Modena, proprio per abitarci, dico, verrei di nuovo a star lì anch'io; non so perché, ma mi sembra una città meravigliosa... Non parrebbe forse più di invecchiare, come invece ci si accorge a star via così... E si starebbe meglio col cuore",3 vagheggiando il passato con commozione e nostalgia e, come sempre, accompagnando alla razionalità la sua grande ricchezza interiore.
Delfini, rampollo di una nobile e ricca famiglia modenese, ha, e sempre manterrà negli anni, quella sorta di disincantato dandysmo che un po' contrassegna certi giovani aristocratici, ma ama scrivere e crede nello scrivere. Questo è appunto il suo timone, la sua ancora, lo sfogo della sua disordinata genialità. Costituisce un alter ego per Guanda, di famiglia colta ma più modesta (anche per la perdita prematura del padre, ufficiale di cavalleria), molto più razionale nel misurarsi con la realtà esterna, anch'egli dominato dall'ansia di comunicare, che esprimerà inizialmente in maniera acerba ma significativa come scrittore, poi realizzandosi pienamente come editore.
L'atteggiamento dei due giovani di fronte al fascismo è diverso, secondo le loro differenti chiavi di lettura. Se in Delfini notiamo una sorta di iniziale adesione irrazionalistica che si collega forse anche al suo scomposto bisogno di agire, di provocare e a una certa ammirazione per la forza che abbatte le timide incertezze di una classe politica debole e codarda, Guanda fa seguire a una fase iniziale di condivisa dedizione all'idea, intesa peraltro come disciplina politica, una più matura e critica riflessione su di essa, fino a prenderne completamente le distanze. Certo all'inizio ci si potrebbe stupire incontrando Guandalini nelle vesti di segretario del Cenacolo dei giovani fascisti di Modena, ma non dobbiamo cedere a facili lusinghe, perché nella sua razionalità ed eticità egli analizza ed esperimenta le forme del potere che possono rispondere ai suoi aneliti ideali, per poi prenderne nettamente le distanze al momento in cui ne scorge la vera natura. Molti anni più tardi, nei suoi diari, annota riflessioni estremamente significative sulla giovinezza: "Il giovane può, anzi deve, attraversare queste fasi [...] è bene anzi le viva intensamente tutte. Queste idealità contingenti come le passioni di cui forse, a guardar bene son parte, non si possono abbandonare e trascurare se non si sono vissute; ma quando si sono vissute, bisogna superarle".4
Scrive a Delfini: "Il fascismo continua a essere la mia più viva passione e preoccupazione. Sento che è necessario dare a tutte le gerarchie la propria devozione, anche se qualche rara volta contro voglia".5 Sono espressioni di un pensiero ancora acerbo ma già improntato di profonda serietà e di impegno: il partito e la dedizione verso di esso in nome di ideali mazziniani si scontrano con la preoccupazione che questo degeneri e perda le sue finalità più pure. Molti anni dopo, ne Il piacere di essere pecora (1945), ne analizzerà la corruzione, prodotta dalla vile acquiescenza degli italiani. Tramite Delfini, poi, Guanda entra in contatto anche con Pannunzio, che dimostra grande apprezzamento per la sua lucida "intelligenza e gusto critico".6
Proprio nella serietà e nell'impegno etico si vede come Guanda, fin da giovanissimo, esprima un bisogno vitale di lavorare per ideali ampi e profondi, di non fermarsi alla superficie, di non limitarsi al circoscritto. Nel suo ricco carteggio giovanile con Zanfrognini,7 in buona parte illuminante per gli esordi della sua casa editrice e per lo sviluppo dei suoi molteplici interessi, risultano evidenti, anche nella loro esuberanza, le tensioni etiche, la necessità di esprimere, di comunicare, di aprirsi a territori nuovi di pensiero e di idee. Queste istanze, talora presenti con giovanile irruenza, vengono moderate, disciplinate e incanalate dal giudizio pensoso del già maturo professore. Nelle lunghe conversazioni a Staggia, via via, prende forma il progetto editoriale. L'ambiente culturale locale è asfittico e chiuso: Delfini e Guandalini avvertono la necessità di esprimere, producendolo da soli, un foglio che si imponga in una forma nuova, diversa, e che non sia periodico di campanile.
È così che nasce nel 1927 l'esperimento de "L'Ariete", un giornale che vuole porsi come voce fuori dal coro, una sorta di ribellione al chiuso ambiente culturale modenese, ma anche italiano. Quale sia stato l'intendimento esatto dei due amici appena ventenni, forse, non lo sapevano del tutto neanche loro, ma ci soccorrono le parole di Delfini a Pannunzio: "Fra pochi giorni uscirà, qua a Modena, un quindicinale politico letterario, 'L'Ariete'. Questo giornale ha unicamente lo scopo di scuotere l'apatia di tutte le cose nelle quali sono immersi i cosiddetti italiani d'oggi. Non ti dico il programma del giornale, perché l'Ariete andrà avanti senza programma...". Questa prima sperimentazione è ancora dettata da una sorta di ribellione scomposta, che tuttavia i due redattori vorrebbero veicolare sul territorio nazionale. Cosa che ovviamente non ha seguito, dal momento che il giornale viene subito ritirato e lo stesso Guandalini viene espulso dal Partito.
L'esperienza è comunque interessante: suggerisce ai due giovani e intraprendenti modenesi la volontà di svecchiare e di stimolare, e dimostra il loro modo di guardare lontano, in un'ottica che li porterà entrambi a percorrere strade nuove e ricche di sviluppi, e a produrre l'anno seguente "Lo spettatore Italiano", dove al monopolio dei soli due redattori de "L'Ariete" si sostituisce una più differenziata e pensosa suddivisione di compiti, alla ricerca anche di toni più sorvegliati e meno velleitari, pur se con fortuna di poco migliore (ne usciranno tre copie!).
Ma è ormai maturo in Guanda il desiderio di scrivere e di pubblicare: prima attraverso autoedizioni come il suo "incunabolo" La Ballata delle streghe, opuscoletto in dodicesimo ma ancora da gustarsi per la sobrietà e l'eleganza minimalista; poi, dal 1932, ufficialmente con la sua sigla editoriale. I primi titoli sono di opere sue (Adamo) e di opere degli amici: Zanfrognini, capofila della sua collana "Problemi d'oggi" con Cristianesimo e Psicanalisi, Delfini di Ritorno in città, poi Cavicchioli, Bocchi, Nava... in un rapporto stretto e interpersonale tra l'editore e gli autori che egli sempre manterrà e che lo accomuna a Formiggini, pur editore lontanissimo da lui.
Ancora una volta, però, Modena non riesce a dare spazio a una sua casa editrice, a trattenere i suoi figli meritevoli. Guanda è chiamato all'Università di Parma dal professor Anelli, a insegnarvi cristallografia, e qui scopre una realtà diversa rispetto al grigiore modenese. Scrive a Delfini: "Parma è una città da poeti [...] c'è dei balli, la società del quartetto e gente elegante e simpatica in giro. Io ho gran voglia di vivere in mezzo agli uomini come non ho mai avuto. Mi pare si possa, se si vuole, vivere alla Byron, Foscolo, Shelley, come oggi non usa più [...] ho bisogno di estetismo, di cose belle, di Mozart, di Flaubert".8 Guanda trova a Parma la sua strada, nelle sue parole c'è già la scelta di campo. Qui inizierà il sodalizio straordinario con Bertolucci, Macrì, Luzi, Bo, Spagnoletti, Emanuelli...
Forse aveva ragione il giovane Zanfrognini quando, già nel 1909, scriveva di Modena sulla "Voce": "Come chi si chiude in una scatola non può accogliere dell'esterno se non quanto la sua scatola ne contiene, così le questioni sociali, politiche, filosofiche e religiose che arrivano fin qui, sembrano talora, alla prima, accolte con insperato favore; se non che di esse il più delle volte, una gran parte rimane tagliata fuori, e questa parte quasi sempre è l'essenziale. Il modernismo, il socialismo, l'idealismo in genere, ogni moto insomma che sia veramente vitale riesce irriconoscibile sulle labbra d'un modenese".9 Le leggi razziali sono prossime a venire e la parabola di Formiggini si sta avvicinando alla sua tragica fine. Sempre più isolato Zanfrognini, anch'egli destinato a morire prematuramente. Alla ricerca di maggior fortuna tanti altri: Vellani Marchi a Milano, Bertoli a Parigi, Delfini a Firenze. In breve volgere di tempo la città si depaupera del suo più promettente futuro e si conclude così un'altra occasione perduta.
Note
(1) Ciò che sopravvive dell'archivio di Pietro Zanfrognini e del suo carteggio si trova oggi alla Biblioteca Estense Universitaria di Modena (da qui, BEU), a cui ho largamente attinto per le notizie qui riferite.
(2) Antonio Delfini nasce a Modena nel 1907.
(3) Guanda a Delfini, lettera del 15 maggio 1946. BEU, carteggio Delfini, fasc. Guandalini.
(4) Guanda dal Quaderno IV, in Taccuini di un editore. Frammenti scelti, "Palazzo Sanvitale", 2003, 9, p. 90.
(5) Guanda a Delfini, lettera del 21 aprile 1930. BEU, carteggio Delfini, fasc. Guandalini.
(6) Pannunzio a Delfini, lettera del 6 giugno 1933. BEU, carteggio Delfini, fasc. Guandalini.
(7) Si veda: BEU, Carte Zanfrognini, fasc. Guandalini.
(8) Guanda a Delfini, lettera dell'1 dicembre 1936. BEU, carteggio Delfini, fasc. Guandalini.
(9) P. Zanfrognini, Modena, "La Voce", 1909, pp. 192-193.
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