Rivista "IBC" XIV, 2006, 1

Dossier: Il convento ritrovato - Una stagione di restauri nel complesso di San Domenico a Forlì

musei e beni culturali, dossier /

Dal restauro al museo

Marina Foschi
[architetto, già responsabile del Servizio beni architettonici e ambientali dell'IBC]
Gabrio Furani
[architetto, dirigente dell'Unità di progetto "San Domenico" del Comune di Forlì]
Luciana Prati
[dirigente del Servizio pinacoteca e musei del Comune di Forlì]

Musei in San Domenico

Vedendo realizzata la struttura museale di San Domenico sembrano trascorsi più dei pur lunghi quindici anni da quando l'idea prese corpo e progressivamente convinse la cittadinanza. Non fu facile, ed è comprensibile, rinunciare al sogno di un teatro sottratto alla città dal bombardamento bellico, un teatro di cui Forlì si sente ancora orfana. Ma quel progetto sognato non combaciava con la realtà urbana, considerata ben poca cosa nel quartiere sud-ovest del centro storico: un'area disegnata dalla maglia larga dei vecchi conventi, già destinata a "grande caserma" dopo le soppressioni napoleoniche e postunitarie, e poi occupata dalle prime industrie e dalla trama minuta di un'edilizia popolare, sostituita nell'estremità occidentale subito prima della guerra perché ritenuta malsana, secondo un disegno che avrebbe dovuto estendersi al quartiere.

Già nel 1986 "Italia Nostra" aveva sollevato dubbi di legittimità per una nuova costruzione dentro un edificio vincolato. Poi, dopo un sopralluogo congiunto dei soprintendenti e del Comune, furono attivati fondi ministeriali per i primi interventi di restauro delle decorazioni settecentesche e per il consolidamento dei supporti murari. Tuttavia nel 1989 la richiesta della Soprintendenza di Bologna - garantire, qualunque fosse la destinazione del convento domenicano, la conservazione dei decori superstiti nelle cappelle della chiesa - ad alcuni sembrò una perdita di tempo inutile, per ritardare l'avvio del cantiere teatrale al suo interno. Al tempo stesso il Comune si impegnò a rinforzare la struttura dell'abside secondo il progetto concordato con il Ministero, per evitare ulteriori crolli dopo quello che nel 1978 aveva colpito parte della navata. Prendeva corpo, presso la città, la percezione del valore monumentale di quel luogo degradato.

Nel cantiere della chiesa, appoggiato a una ditta di sicura esperienza e affidabilità, nell'estate del 1990 fu sperimentata un'attività didattica impartita dal laboratorio di restauro ad allievi della sezione di decorazione pittorica dell'Istituto d'arte. Quindi, per offrire un supporto scientifico agli interventi di recupero, la Soprintendenza bolognese e l'Istituto per i beni culturali della Regione attivarono ricerche storiche sul sito e sul suo patrimonio culturale, raccolsero fonti di documentazione e coinvolsero studiosi. Ne emerse un quadro singolarmente ricco e in parte inedito dei tesori che vi si trovavano, dispersi ma ancora esistenti in vari punti del territorio, e anche di quelli ancora presenti nelle murature, sia pure degradati o ignorati. Nacque così la mostra tenuta nel giugno del 1991 nel vicino oratorio di San Sebastiano, con il catalogo edito nella collana dei "Rapporti" della Soprintendenza, e recentemente ristampato.

I toni aspri della polemica lasciarono il posto a un nuovo interesse, per capire meglio quel luogo e le esigenze della città. Le ricerche svolte furono stimolo per gli approfondimenti e le verifiche successivi, che non hanno fatto che confermare e avvalorare le scelte di una destinazione congruente. In quegli anni, per la breve apertura della testata romagnola del "Messaggero", giunse a Forlì un inviato davvero "speciale": Fabio Isman volle capire quel territorio e le sue potenzialità culturali più ricche e innovative, non solo quelle della città, ma anche delle vallate e dei centri vicini, quali Castrocaro e Terra del Sole, un po' come ha fatto di recente il comitato scientifico per la mostra sul Palmezzano: una terra strettamente unita nonostante i cinquecento anni del confine tosco-romagnolo, sostanzialmente conservata nel paesaggio e ricca di spunti culturali. E San Domenico divenne un esempio di come conciliare esigenze diverse sulla base di progetti e studi accurati.

[Marina Foschi]

 

Il restauro

Il progetto di restauro del San Domenico di Forlì - antico convento, poi sito militare e ora di proprietà e uso comunale - nasce nel 1996, contestualmente al piano che definisce il nuovo sistema comunale delle istituzioni culturali e dei relativi contenitori. Si tratta quindi di un'operazione culturale integrata che, partendo da un'idea organica di riorganizzazione degli istituti culturali, ha saputo individuare nel territorio i contenitori più adatti, definire una gerarchia di priorità e passare all'azione con la ricerca dei necessari finanziamenti, le progettazioni e le esecuzioni.

Il progetto San Domenico è quindi anche un progetto di riqualificazione urbana. Realizza infatti il recupero di una grossa lacuna nel tessuto del centro storico, interrotto per secoli dai recinti della caserma che occupava il convento e della fabbrica che si è successivamente insediata negli antichi orti. Un percorso pubblico pedonale attraversa l'intero convento, lambendone il primo chiostro e uscendo sul sagrato della chiesa. Altri percorsi pedonali e ciclabili provengono dal parco urbano e dai borghi storici, intercettando le principali funzioni del complesso museale, che ritorna così a essere un nodo nella rete delle relazioni urbane e sociali del centro storico. I valori storici e artistici del monumento sono molteplici, e in gran parte indagati e scoperti durante le attività propedeutiche al restauro. È stata realizzata una campagna di scavi archeologici, diretta dalla Soprintendenza archeologica dell'Emilia Romagna, che ha permesso di individuare le fasi di sviluppo, accrescimento e trasformazione della chiesa e del convento.

Dalla piccola chiesa duecentesca originaria, il complesso si sviluppa fino alla prima grande riorganizzazione edilizia del XVI secolo, in cui si completano i portici voltati dei due chiostri, si realizza la grande biblioteca a tre navate, e il refettorio si arricchisce di due grandi affreschi. Nel XVIII secolo la seconda importante ristrutturazione, maggiormente orientata alla trasformazione della chiesa, che viene ampliata e armonizzata nella forma e nelle proporzioni, con l'inserimento di un imponente apparato decorativo di stucchi e pitture murali. Questa fase porta anche alla soppressione della maggior parte dei portici e alla trasformazione della biblioteca. Dalla fine del XVIII secolo inizia il periodo militare del convento, prima con le truppe napoleoniche, poi con lo stato unitario. Trasformazioni, demolizioni, nuove costruzioni e un generalizzato degrado, hanno caratterizzato gli ultimi due secoli.

La tipologia conventuale si è rivelata particolarmente adatta alla nuova funzione museale, e il progetto ha affrontato il nuovo tema individuando le diverse aree funzionali in stretta coerenza con i tipi edilizi e i caratteri degli spazi storici. Il convento è una metafora della città: contiene i luoghi collettivi, gli spazi della vita privata, gli ambienti funzionali al lavoro e allo studio. Tutto ciò si presta a essere trasformato in museo civico, perché anch'esso è rappresentazione simbolica della città e necessita di spazi diversificati, tanto per la fruizione collettiva di eventi, come per il raccoglimento personale al cospetto dell'opera d'arte.

Tutta la zona occidentale è destinata all'accoglienza del pubblico, con l'obiettivo di essere un luogo sociale facilmente frequentato, accogliente, permeabile, con l'atrio, la reception, il guardaroba, il bar, la libreria e la sala di controllo e regia. L'antico refettorio diviene hall del museo, ma anche una sala di incontri, piccole conferenze, presentazioni ed eventi culturali quotidiani. Le gallerie del piano terra e le parti espositive che si potranno ricavare negli interrati (recuperati o di nuova realizzazione) sono destinate al museo archeologico, al museo della città e del territorio. Si tratta della zona più a contatto con l'esterno e che quindi si presta meglio a stimolare il visitatore a itinerari culturali sul territorio. Al piano superiore gli spazi per la Pinacoteca civica, nella triplice conformazione delle celle originali, dei moderni allestimenti dell'ala nord-orientale e delle grandi sale della biblioteca, adatte all'esposizione delle grandi pale d'altare. Fino a giungere allo spazio raccolto, unico ed esclusivo destinato a contenere l'Ebe del Canova.

Mentre il convento è il luogo della conservazione e delle collezioni permanenti, il luogo dell'identità culturale della città e del recupero delle proprie radici, la chiesa, ripristinata nella sua unità di spazio collettivo e rappresentativo, si proietta nel futuro, nella dinamicità della ricerca e delle nuove frontiere della fruizione artistica. Può essere sala per concerti e conferenze, oppure spazio per le mostre temporanee di grandi dimensioni. Anche il sottosuolo gioca un ruolo importante nel progetto. La prima funzione è quella di esposizione archeologica, sia di reperti lasciati nel sito originale che di documenti ricollocati. La seconda funzione è quella di depositi attrezzati e visitabili e di laboratori di restauro e di ricerca.

Le tematiche culturali e operative hanno richiesto una pluralità di competenze tecniche. Il progetto di restauro ha identificato le modalità di applicazione dei criteri di conservazione, ripristino e inserimento dei nuovi elementi. In particolare si è adottato un linguaggio mimetico per la ricucitura delle piccole lacune, mentre ogni intervento importante si è manifestato con chiari segni di novità e modernità. Per quanto riguarda i materiali, si è dovuto optare per la sostituzione e il ripristino della maggior parte degli elementi, in quanto le alterazioni pregresse avevano già spogliato il monumento di gran parte dei pavimenti, degli intonaci, dei solai e delle coperture originali. L'inserimento dei materiali è avvenuto prevalentemente secondo criteri di analogia rispetto a quelli originali. In generale i materiali edili utilizzati, a parte il consolidamento strutturale, sono estremamente semplici e naturali: il cotto fatto a mano e la pietra naturale per i pavimenti, la sagramatura in coccio pesto per le murature faccia a vista, l'intonaco in calce naturale e finitura in grassello e polvere di marmo, le coperture in legno massello e tavelle in cotto, gli infissi in legno di larice. Per le parti moderne prevalgono l'acciaio trafilato e verniciato e il vetro.

Integrato al progetto architettonico, e con esso intimamente collegato, il progetto di allestimento museale parte dalla definizione degli aspetti più significativi dell'architettura di interni - pannellature, contropareti, controsoffitti, sistema di illuminazione delle opere d'arte - e si spinge fino al disegno degli arredi mobili, del sistema di posizionamento e fissaggio delle opere, della comunicazione informativa e didattica. La filosofia dell'allestimento nasce dalla volontà di integrazione fra la storicità dello spazio e la necessaria modernità di un grande museo contemporaneo, dalla armonizzazione di elementi storicizzati e nuovi materiali che esaltino la vocazione culturale del contenitore. Il progetto di allestimento ha suggerito al progetto di restauro l'accentuazione dei percorsi mediante la conservazione di alcune campiture "faccia a vista" che inquadrano le porte, ribadite sul pavimento da una particolare orditura delle mattonelle di cotto. Questo trattamento delle superfici, da una parte, rispetta l'edificio storico e, dall'altra, enfatizza le prospettive dei collegamenti interni fra le celle, rendendo visivamente più continuo uno spazio museale che rischiava di essere eccessivamente frammentato.

Il progetto generale è articolato in quattro stralci. Il primo riguarda il consolidamento strutturale e il restauro architettonico del convento, il secondo la dotazione tecnologica e impiantistica necessaria al funzionamento della parte museale e le predisposizioni per la chiesa e gli interrati. Il terzo stralcio riguarda il restauro della chiesa e il quarto il ripristino edilizio di parti demolite o crollate e la realizzazione dei locali interrati e delle sistemazioni esterne definitive. Allo stato attuale sono stati completati il primo e il secondo stralcio, ed è stata aperta al pubblico la parte museale con la mostra inaugurale su Marco Palmezzano, promossa e organizzata dalla Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì ( www.marcopalmezzano.it). È in corso di appalto il terzo stralcio (il restauro della chiesa). Il quarto deve essere ancora finanziato.

Un'iniziativa così vasta non poteva avere successo se non attraverso il concorso di istituzioni pubbliche e private, centrali e locali. Fin dall'origine il restauro del San Domenico è stato coordinato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio di Ravenna. Il Ministero per i beni e le attività culturali è stato il maggior finanziatore dell'opera, insieme alla Regione Emilia-Romagna e alla Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì. Il Comune di Forlì ha curato la progettazione, la direzione dei lavori e le opere propedeutiche e accessorie, finanziando direttamente le parti non coperte da contributi esterni.

[Gabrio Furani]

 

Il percorso espositivo

Il sistema museale forlivese ( www.comune.forli.fo.it/cultura/museale.asp) è articolato nei due poli del Complesso di San Domenico - dove avranno sede Pinacoteca, Museo archeologico, Museo delle ceramiche, con esposizione anche di materiali del Monetiere "Piancastelli" - e Palazzo Gaddi, destinato a ospitare il Museo del Risorgimento, il Museo del teatro e degli strumenti musicali e parte del Museo etnografico. L'analisi della vicenda storica delle varie raccolte ha determinato, come scelta metodologica prioritaria per i nuovi assetti, il mantenimento delle singole unità, tenendo anche in considerazione che esse costituiscono un sistema integrato con le altre emergenze storiche e architettoniche della città, quali la Rocca di Ravaldino, Villa Saffi, la Fornace Malta, le sedi espositive dell'Oratorio di San Sebastiano e di Palazzo Albertini e ogni altro manufatto che assuma un significato di testimonianza

L'ingresso al San Domenico, con la biglietteria e i servizi di accoglienza, è collocato nella zona ovest del complesso: qui le grandi "asole" sulle antiche cisterne del convento, lasciate in vista e illuminate, connotano fin da subito in maniera suggestiva un percorso che immette nella sala del refettorio, dove i grandi affreschi cinquecenteschi anticipano a loro volta le opere della Pinacoteca esposte al piano superiore.

Il Museo archeologico si sviluppa al piano terra del secondo chiostro, nei fabbricati di servizio recuperati o ripristinati, che verranno a costituire quasi un terzo chiostro, e nell'amplissimo vano sotterraneo di futura costruzione, che permetterà la fruizione delle cantine esistenti, la creazione di atelier, laboratori e depositi visitabili e dove verranno progettati percorsi e allestimenti per l'esposizione didattica di quelle strutture che sono state asportate dai contesti originari in tempi e per motivi diversi (porzioni di fasi successive del lastricato della via Emilia, una piccola fornace di epoca romana, dolia defossa).

Il Museo archeologico, che nasce a Forlì negli anni Settanta dell'Ottocento come luogo di conservazione e documentazione della più antica storia della città e del suo territorio, ha valenza territoriale soprattutto per i periodi dal Paleolitico all'età del Ferro, mentre per l'epoca romana e tardoantica prevalgono dati e reperti provenienti dalla città e dall'hinterland più immediato. Inoltre le indagini archeologiche e archivistiche degli ultimi anni permettono di ricostruire molto della città medioevale, che emerge in modo sorprendente coniugando le fonti documentarie già indagate con i dati e i materiali di scavo. Così anche tutti quei brani dell'antico arredo urbano, quali elementi decorativi in pietra e soprattutto in cotto, non saranno più disiecta membra conservati nei depositi, ma avranno contestualizzazione e visibilità.

I criteri espositivi, pur restando legati alla distribuzione topografica dei ritrovamenti, seguono il metodo cronologico, secondo due linee trasversali. Le trasformazioni del territorio, naturali o dovute all'intervento umano: la formazione della pianura Padana, la centuriazione, la deviazione del fiume Montone o la derivazione del canale di Ravaldino. E la tecnologia antica: la scheggiatura della pietra, la fusione del bronzo, la forgiatura del ferro, la produzione ceramica e laterizia. L'uso di mezzi multimediali costituirà infine una delle caratteristiche dell'allestimento del nuovo museo, che sarà anche luogo di fruizione della Carta del rischio archeologico informatizzata.

Alla Pinacoteca, collocata al primo piano dell'edificio, si accede dal lungo corridoio su cui si aprono le prime sale del Museo archeologico e per una scala a due rampe parallele posta sul lato est del cortile. Compatibilmente con la distribuzione degli spazi disponibili, il progetto espositivo tiene conto della sequenza cronologica, superando, secondo i criteri più aggiornati, ogni fittizia suddivisione per "generi". Ai fini della chiarezza logica e dell'efficacia didattica, infatti, si è ritenuto utile associare coerentemente, ai dipinti su tela e su tavola, quelli ad affresco staccati dalle pareti di origine, le sculture e gli arazzi. Alcuni punti degli ampi corridoi potranno inoltre agevolmente ospitare sistemi multimediali che consentano visualizzazioni e approfondimenti, con particolare riferimento al rapporto con la città e il territorio.

La Quadreria "Piancastelli", esposta dal 1938 in una delle sale dell'attuale Pinacoteca, verrà anch'essa trasferita nel complesso di San Domenico, per quelle stesse motivazioni di stretto raccordo fra le diverse scuole regionali e quella pittorica locale che, all'epoca della donazione, ne suggerirono la collocazione. Per quanto riguarda la sezione di arte tardo-ottocentesca, novecentesca e contemporanea - e in particolare la collezione "Verzocchi" - "Il lavoro nell'arte", indivisibile - la collocazione più consona sembra il doppio volume del corpo di fabbrica che verrà a chiudere il secondo chiostro sul lato ovest; in tal modo il percorso espositivo della Pinacoteca raggiungerà il suo coerente completamento. Al piano terra di questo nuovo volume dovrebbe poter trovare sede uno spazio espositivo destinato a manifestazioni che richiedano luoghi più contenuti e di più facile utilizzo che non quelli della chiesa.

Il percorso della Pinacoteca, che qui di seguito viene schematizzato, prevede di visitare prima le sale che si aprono sul corridoio di sud-est, nelle quali verranno esposte le opere di più antica data: dalle tavolette del Maestro di Forlì, agli affreschi staccati da San Mercuriale, da Sant'Antonio Vecchio e dalla chiesa di Schiavonia; dal Presepe di Federico Tedesco, ai grandi monumenti sepolcrali del Beato Salomoni e del Beato Marcolino; dalle tavole del Beato Angelico e di Lorenzo di Credi, fino alla grande Crocifissione di Marco Palmezzano, già posta nella sua collocazione definitiva nel corso della mostra dedicata al pittore.

Nel corridoio di nord-est le prime tre sale ospiteranno le opere di Marco Palmezzano, a cui faranno seguito altri esponenti del Cinquecento forlivese e romagnolo: Girolamo Marchesi, Bartolomeo Ramenghi, Baldassarre Carrari, Francesco Zaganelli, il Ponteghino. Proseguono nell'ala sud le sale dedicate al Cinquecento forlivese, con Livio Agresti, i Menzocchi, i Modigliani. L'ultima sala espone, fra le altre opere, la celebre Fiasca con fiori, ora attribuita a Tommaso Salini, e L'allegoria dell'Astrologia sferica di Guido Cagnacci, di recentissima acquisizione.

Nella prima delle tre vaste sale che costituirono la biblioteca del Convento troverà sistemazione il cospicuo nucleo di opere del lascito "Piancastelli", che per il suo specifico carattere di raccolta di opere prestigiose di autori romagnoli, in particolare di epoca cinquecentesca, è destinato a fungere da punto di raccordo privilegiato fra le opere sinora esaminate e quelle che sono ospitate nelle rimanenti sale della Pinacoteca. La seconda sala ospiterà le grandi tele del Guercino, di Gennari, Serra, Maratta e Cignani, mentre in quella successiva, più piccola, verranno collocati i quattro grandi quadri che un tempo adornavano il tamburo della cupola della Cappella della Madonna del Fuoco in Duomo (Sacchi, Albani, Cagnacci).

Infine, attraverso le opere di scultura neoclassica, si arriverà alla "Sala dell'Ebe", all'interno della quale la celebre statua del Canova troverà posto al centro, per consentire al visitatore di aggirarla e osservarla anche da conveniente distanza. Questa collocazione, volutamente meno spettacolare di quella attuale in Pinacoteca, è tuttavia molto più coerente con quella storicizzata in Palazzo Guarini. L'intervento di allestimento in questa sala sarà uno dei più significativi e particolare cura dovrà essere data agli aspetti dell'illuminotecnica: infatti, benché normalmente la statua sia tenuta in una posizione definita, la sua rotazione sottolinea l'assenza di un punto di vista prevalente, escludendo così una gerarchia tra i vari punti di osservazione o effetti marcati di chiaroscuro.

[Luciana Prati]

 

I protagonisti del progetto di restauro

  • Proprietario e gestore: Comune di Forlì.
  • Finanziatori e attuatori: Comune di Forlì; Ministero per i beni e le attività culturali; Regione Emilia-Romagna; Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì.
  • Supervisione: Anna Maria Iannucci (soprintendente per i beni architettonici e il paesaggio di Ravenna).
  • Direzione degli scavi archeologici: Chiara Guarnieri (Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia Romagna).
  • Progetto museografico: Luciana Prati (dirigente del Servizio pinacoteca e musei del Comune di Forlì).
  • Progetto architettonico e direzione dei lavori: Gabrio Furani; staff del Servizio grandi opere del Comune di Forlì.
  • Progetto strutturale e direzione dei lavori: Valter Casadio.
  • Progetto degli impianti meccanici e direzione dei lavori: Mauro Strada (Steam).
  • Progetto degli impianti elettrici e direzione dei lavori: Lorenzo Fellin (Tifs).
  • Progetto dell'allestimento e dell'arredo: Studio Wilmotte & Associés; Studio Lucchi & Biserni.
  • Progetto del logo: Coande Communication and Design.

 

Il controllo microclimatico

Il progetto climatico ha affrontato la complessità della sintesi fra le ragioni della conservazione dell'architettura e quelle della conservazione delle opere esposte. Per evitare un eccessivo dimensionamento delle canalizzazioni sono stati ricercati passaggi molto articolati e nascosti, ed è stata adottata in maniera diffusa la tecnica dei passaggi in cunicoli esterni interrati e nelle intercapedini dei pavimenti, a piano terra, e nei rinfianchi delle volte al piano superiore.

Il sistema di riscaldamento/raffrescamento prescelto è a pannelli radianti a pavimento, con fluido caldo in inverno e freddo in estate. Le centrali di produzione dei fluidi caldi e freddi sono all'esterno del complesso, completamente interrate e nascoste. All'interno dell'edificio sono collocate diverse centrali di trattamento dell'aria, per la produzione e distribuzione di aria prevalentemente neutra dal punto di vista termico, opportunamente umidificata per mantenere un ricambio ottimale e un corretto e costante valore di umidità relativa. I valori/obiettivo di temperatura sono attestati fra i 19 e 20 gradi centigradi, mentre quelli di umidità relativa fra il 50 e 55 per cento.

 

L'illuminazione e la sicurezza

Il progetto illuminotecnico, coordinato con l'allestimento museografico, si articola in sistemi differenziati in rapporto alla natura dei locali e alle esigenze espositive. Le gallerie sono servite da sistemi lineari a binario elettrificato, le grandi sale espositive e in genere gli spazi maggiori hanno illuminazione puntuale o a binario collocata sul soffitto, le celle espositive sono invece dotate di strutture a sospensione appositamente studiate per supportare corpi illuminanti puntuali, orientabili e regolabili, per i puntamenti di dettaglio sulle opere d'arte nella loro collocazione definitiva. L'impianto elettrico, basato su una centrale di trasformazione propria, dispone sia di gruppi di continuità che di gruppo elettrogeno, per garantire la sicurezza e l'efficienza degli apparati essenziali anche in caso di black-out elettrico.

La sicurezza antintrusione si basa su tre livelli successivi di sicurezza elettronica: sensori perimetrali di contatto sugli infissi, rilevatori volumetrici per ambiente, rilevatori a tenda sulle opere. Il sistema è completato da rilevatori a microonde esterni, nelle aree cortilizie, installati per aumentare i tempi di risposta del sistema a una eventuale intrusione, e da un sistema di videosorveglianza sia esterno che interno. Tutti i sistemi tecnologici e di sicurezza sono monitorati e comandati da un sistema di supervisione installato presso l'unica control room, presidiata 24 ore su 24 da idoneo personale: da qui si controllano anche le aperture delle porte esterne, gli allarmi antincendio, l'impianto di diffusione sonora e i collegamenti di emergenza con l'esterno.

 

I restauri di opere del Palmezzano e della sua cerchia finanziati dal Comune di Forlì (2000-2005):

  • Michele Bertucci, La Madonna col Bambino fra San Girolamo e la Maddalena. Restauro a cura di: Marisa Caprara, Bologna (con il contributo dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna).
  • Marco Palmezzano, Il Crocifisso, la Madonna, i Santi Francesco, Chiara, Giovanni Evangelista e la Maddalena. Restauro a cura di: Camillo Tarozzi, Bologna (con il contributo della Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì).
  • Pittore romagnolo della fine del secolo XV, La Madonna col Bambino adorato dai Re Magi e San Giuseppe. Restauro a cura di: Isabella Cervetti, Ravenna.
  • Pittore romagnolo del secolo XVI, Madonna con Bambino e i Santi Domenico e Francesco. Restauro a cura di: Pietro Antoni, Castelfranco Emilia (Modena).
  • Marco Palmezzano, Presentazione di Gesù al Tempio e Fuga in Egitto. Restauro a cura di: Isabella Cervetti, Ravenna.
  • Marco Palmezzano, Battesimo di Gesù. Restauro a cura di: Isabella Cervetti, Ravenna.
  • Bottega di Marco Palmezzano, Sacra Famiglia. Restauro a cura di: Isabella Cervetti, Ravenna.
  • Giovan Battista Bertucci Il Vecchio (?), La Madonna col Bambino. Restauro a cura di: Isabella Cervetti, Ravenna.
  • Marco Palmezzano, Sant'Elena con la Croce. Restauro a cura di: Adele Pompili, Bologna.

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