Rivista "IBC" XII, 2004, 3
linguaggi, pubblicazioni
Sotto il sobrio titolo di Linea Bassa ("bassa" come la Bassa padana, ma anche come il registro umile del parlato popolare) vengono pubblicate per la prima volta dodici poesie scritte in dialetto correggese, "nella versione linguistica spuria di un immigrato dell'Appennino", ritrovate da Raffaele Crovi fra le sue carte giovanili. I testi, gli unici da lui composti in lingua dialettale, sono tutti del 1951, e rappresentano quindi una "matrice" istintiva e originaria del suo lavoro, a lungo dimenticata e oggi riacquisita allo status di libro con uno di quegli esercizi di arte autofilologica (revisione ortografica, disposizione diaristica, traduzione a fronte) così tipici della migliore poesia novecentesca.
Cronologicamente precedute solo dalla raccolta Serenità di lacrime, poi rifiutata ed espunta, queste poesie gettano, infatti, un luce nuova sulla nascita di alcuni motivi profondi che caratterizzeranno la poetica di uno di quegli scrittori emiliani capaci di dare alla loro opera il respiro doppio del cosmopolitismo e dell'appartenenza. Così, in un volume a forte carica meditativa e testimoniale, l'alternarsi di scene burlesche, di visioni stravolte ("L'aqua l'a fat un mer ed la pianura" si legge in Dop l'aluvioun) e di quadri di schietto realismo memoriale, come in Al cine, dove è addirittura il fondamento economico e alimentare della campagna, la carne del maiale, a trasformarsi d'improvviso in una presenza inquietante e piena di pietà, in una replica sinistra del corpo umano, ("un SS l'a tajee la gola [...] a un cuntadein e al so nimel"), mostrano come Crovi fosse già allora versato, per intuito e temperamento dialettico, in quell'antropologia del paesaggio reggiano che orienterà tanta parte della sua ricerca successiva.
Non a caso, ciò che più stupisce, semmai, è la sensibilità spontanea con cui il poeta adolescente avverte nel dialetto un codice linguistico sospeso e dolce, di cui sottolineare soprattutto l'armonia degli accenti, lasciando sfumare le consonanti lunghe in fine di verso. Chissà quante volte, anzi, tradendo questa nuova pronuncia, il giovane scrittore di Cola si sarà sentito dare del piansan, con l'appellativo affettuoso riservato dal gusto beffardo dei montanari agli altri montanari scesi a valle. Ma probabilmente è proprio l'incontro con il parlato della pianura che fa scattare il clic di queste poesie, quasi che attraverso lo specchio armonico della cadenza locale il poeta potesse rallentare lo scorrere dei fotogrammi provinciali, proiettando, con un paradosso singolare, l'epos del vissuto paesano negli spazi di un ricordo leggero e controllato, sensibile soprattutto al dramma allegorico della natura: "Elber ed muntagna / chi tinen bota el veint, / elber ed pianura / che l'aria agh dà / un sgrisor / ed malinconia. / Quest e ch'ieter / i disegnen el spazi / e m'insegnen la via".
R. Crovi, Linea Bassa. Poesie in dialetto del 1951, con immagini di N.
Tedeschi, Reggio Emilia, Aliberti editore, 2003, 64 p., _ 9,90.
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