Rivista "IBC" XII, 2004, 3

immagini, storie e personaggi

Il racconto di una passione che attraversa gli anni e accompagna una vita. Di eroe in eroe, di albo in albo, di vignetta in vignetta...
Con la testa fra le nuvole

Michele Tosi
[docente di Storia dell'arte all'Istituto tecnico "Luxemburg" di Bologna]

Ero un bambino solitario. Ero ancora molto piccolo quando imparai che anche da solo, anche stando fermo in una stanza, potevo vivere tutte le avventure del mondo, e incontrare gente, ridere, emozionarmi, pensare a luoghi lontani e meravigliosi. Tutto accadde in una stanza di Via Rodolfo Tanzi, a Parma, nell'Oltretorrente. Una sera d'inverno, avrò avuto quattro anni, mio nonno prese da un cassetto un album a fumetti ed iniziò a leggermelo. Rimasi immediatamente affascinato. Mio nonno mi aveva dischiuso una porta su un mondo nuovo e quel momento magico mi avrebbe accompagnato per tutti gli anni a venire: quella era per me l'introduzione al mondo della fantasia, dell'arte, della narrazione. Il fumetto, allora, segnava la mia vita per sempre.

L'album in questione era uno degli "Albi della Rosa" contenenti la storia di Faust raccontata da Federico Pedrocchi con i disegni di Rino Albertarelli e Gustavino. Il giornalino era appartenuto a mio padre. I disegni erano bellissimi e splendidamente colorati.

Da allora non ho potuto più fare a meno dei fumetti. Ogni domenica della mia infanzia si lega al ricordo di un episodio ricorrente: quando mio padre e mia madre uscivano per comprare le lasagne e, tornando, con le lasagne mi consegnavano il nuovo numero di "Topolino". "Topolino", con i suoi meravigliosi personaggi diventò per me un luogo speciale, sia quando ancora non sapevo leggere e ne seguivo le storie solo attraverso i disegni, sia, soprattutto, quando imparai a decifrare la scrittura e, forse, la voracità con cui l'appresi era legata al fatto che in quel modo avrei potuto finalmente capire appieno le vicende che fino ad allora mi leggeva la mamma.

Quando avevo sei anni, a casa di mia nonna Rina, scoprii il West, i paesaggi delle montagne rocciose, le scazzottate, gli spari e le bistecche al sangue con montagne di patatine fritte. Fu con un fascicoletto di "Tex": Uno contro venti dei mitici Bonelli (testi) e Galeppini (disegni). Era un mondo per veri uomini. Le storie si facevano sempre più ricche e, per me che ero piccolo, complesse. I racconti che mi attiravano così tanto sulla carta stampata li rileggevo poi nei tanti film che all'epoca incominciavo a vedere: prima quelli americani di John Ford, poi quelli del nostro Sergio Leone. Con mio zio che mi faceva appassionare a John Wayne, a Lee Van Cleef e Clint Eastwood, e le corse in cortile a fingere di essere sceriffo o ad urlare con gli indiani.

"Asterix", di Goscinny e Uderzo, mi colpì alla sua prima uscità. Asterix il Gallico, un album cartonato che mi regalarono i miei per un compleanno, si è usurato a furia di sfogliarlo, leggerlo, rileggerlo, meditare sulle battute e sui disegni. Non potevo non amarlo, l'introduzione e la traduzione erano state fatte da un uomo che sarebbe per me diventato nei tempi a venire leggenda: Marcello Marchesi.

Erano ancora gli anni Sessanta quando scoprii i supereroi. Batman e Superman e, qualche tempo dopo l'Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Thor e Devil, quelli della Marvel, che venivano definiti con un motto: "Supereroi con superproblemi". Forse per la prima volta questi personaggi portavano nei loro racconti tutto il peso delle storie personali, dei problemi che affliggono ogni uomo nella vita di tutti i giorni. Fu una grande innovazione e decretò il successo di un atteggiamento nuovo all'interno del genere. In questo modo la Marvel, negli anni Settanta soppiantò gli eroi della DC Comics, Batman e Superman, che si sarebbero presi una rivincita in seguito.

Un settembre particolarmente piovoso mio cugino Massimo mi fece scoprire il proibito: donne nude, anche se in silhouette, calze a rete, storie torbide che mescolavano l'erotismo all'orrore. Erano i neri all'italiana. Personaggi come Satanik, Diabolik - ideato dalle sorelle Giussani - e, soprattutto, Kriminal. Io e i miei cugini li leggevamo di nascosto dai genitori, quando ci mandavano a fare il riposino pomeridiano. Accendevamo l'abat-jour e Massimo, il più grande, prendeva questi piccoli fascicoli con la copertina di cartoncino semirigido - di cui mi sembra di ricordare ancora l'odore - e li dava a me e a suo fratello minore. Quei racconti ci spaventavano e ci attiravano al tempo stesso.

Magnus - mitico disegnatore di Satanik e Kriminal e poi, negli anni Settanta, di un fumetto che tutti coloro che hanno avuto a quell'epoca tra i cinque ed i trent'anni ricordano: "Alan Ford" - con i suoi chiaroscuri ci ammaliava, ci faceva sognare quello che all'epoca riuscivamo solo ad intuire: le donne. La firma che siglava la maggior parte di quegli albi era doppia: Magnus & Bunker, dove il secondo era lo sceneggiatore. Quando rivedo i frontespizi su cui spicca quella scritta mi intenerisco ancora.

Nel 1970 ci siamo trasferiti da Parma a Bologna e gli eroi di Magnus e Bunker mi hanno fatto molta compagnia, distraendomi dalla mia solitudine. Ovviamente, bambino di 11 anni, li leggevo ancora di nascosto. Nei primi anni Settanta iniziai le mie frequentazioni con "Linus". Ero un vero bambino intellettuale: i Peanuts, Bristow, B.C. ed il Mago Wiz, ma anche cose più impegnative come Crepax o Feiffer.

Su "Linus" conobbi anche meglio un personaggio che avevo già incontrato sul "Corriere dei Ragazzi": Corto Maltese. L'eroe di Hugo Pratt, col suo romanticismo, con la raffinatezza del suo esotismo, animato da un raffinato disegno di sintetica descrittività, mi trasportava nei territori insoliti e magici dei mari del Sud, che poi ritrovavo nelle contemporanee letture di Conrad e Stevenson.

Ricordo ancora Bocca di Rosa, il Monaco, Rasputin e lui, Corto. Di Corto Maltese ricordo soprattutto il senso di sospensione che sottolineava le sue apparizioni, i suoi silenzi, gli sguardi e i cigarillos: forse fu proprio per imitarlo che iniziai a fumare, scoprendo una delle tante ossessioni della mia vita. Corto Maltese irretì anche mia sorella, all'epoca ancora piccolissima: quando raggiunse l'età della ragione si appropriò di tutti i fumetti con le sue avventure, depredando la mia collezione.

Furono, questi, anche gli anni di Bonvi, con le sue "Sturmtruppen", divertentissima parodia della Seconda guerra mondiale, le cui battute diventavano dei veri e propri tormentoni per i ragazzi dell'epoca. Il successo delle strisce di Bonvi fu straordinario. La fine degli anni Settanta fu poi contrassegnata dalla scoperta degli "Umanoidi Associati", il fumetto francese di fantascienza (e non solo). La surrealtà del Maggiore Fatale di Moebius - già conosciuto e amato col nome vero di Giraud per il western "Blueberry" - e i torrenti in piena che scorrevano dalle tavole di Druillet sono qualcosa di difficile da dimenticare.

Nel '77 ci fu la presa di coscienza politica, che fu immancabilmente accompagnata da altri fumetti: quelli di "Cannibale", con Ranxeros di Tamburini e Liberatore, ma anche con i lavori di Scòzzari e Pazienza. Andrea Pazienza merita un discorso a parte. Paz eravamo noi, io e Tiziano (il mio migliore amico di allora e di sempre), con tutto il nostro entusiasmo, sempre a muoverci ai limiti del consentito. Le straordinarie avventure di Pentothal sono il fumetto che meglio racconta quegli anni, l'epoca delle lotte, dell'impegno, dell'incoerenza, del dolore, della tenerezza, della violenza, dell'amore, della musica. Un'ubriacatura che abbiamo impiegato parecchio a smaltire e che, forse, ancora ci segna. Pazienza è stato anche il cantore di quella che è stata la nemesi degli anni successivi. In Pompeo racconta ciò che è avvenuto nel momento in cui le illusioni si sono sgretolate lasciandoci soli. Paz non ce l'ha fatta a sopravvivere a sé stesso e al mondo, noi sì. Ma ancora ci manca.

Un altro gruppo di fumettisti che segnano il periodo di passaggio tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta sono stati i "Valvoline": Mattotti, Brolli, Carpinteri, Jori, Igort. Artisti intellettuali, fondevano il fumetto con la ricercatezza grafica delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento, con esiti di grande eleganza figurativa. Negli anni Ottanta ricordo Palumbo, col suo "Ramarro", sorta di parodia divertente, e graficamente bellissima, dei supereroi americani, pubblicata dalla rivista "Frigidaire". Palumbo è uno spirito eclettico, un autore di fumetti estremamente prolifico: lavorerà per "Diabolik" (reinventando, tra l'altro il numero uno della serie), per "Martin Mystère", produrrà copertine e opere di vario tipo, come lo splendido Le Journal d'un fou, sempre mantenendo la sua particolare cifra stilistica, fatta di un disegno vigoroso, alimentato da un chiaroscuro accentuato che sembra modellato sulle illustrazioni per i Racconti di Poe di Alberto Martini o sulle tavole di Beppe Porcheddu.

Gli anni Ottanta segnano anche la nascita di Dylan Dog e Martin Mystère, due nuovi eroi di Sergio Bonelli Editore, quello di Tex. Il primo fu creato da Tiziano Sclavi, il secondo da Alberto Castelli. Tutti e due affrontano il mondo del mistero, anche se in modi differenti: Dylan Dog rivela una propensione all'horror, recuperando atmosfere e storie da classici del cinema del passato e della letteratura di genere (Stevenson, Lovecraft, ma anche Matheson e King); Martin Mystère rilegge invece in chiave colta gli enigmi irrisolti e avvolti nel mito, come il Sacro Graal o Excalibur, o le storie di civiltà scomparse.

Con il tempo aumentava sempre di più il mio interesse per la realizzazione grafica dei fumetti. Sarà proprio la mia passione per il disegno a spingermi ad incontrare il disegnatore che più ho amato: Roberto Raviola, in arte Magnus. Andai a trovarlo a casa sua. Conoscere Magnus fu un'esperienza unica. Non era solo un grande disegnatore, ma un grande uomo, con una profondità di pensiero che colpiva. Quel giorno parlammo delle nostre passioni. Si passò dalla cultura orientale ai fumetti, ovviamente, ma anche a Piranesi, al cinema, alla filosofia, alla religione. Mi fermai con lui per diverse ore. Disegnò per me. La cosa stupefacente fu che mi chiese dei consigli.

Uscii dalla porta di casa Raviola come sospeso sulla nuvola dei miei sogni. Non l'ho mai più rivisto. È strano dirlo, ma per me è stato un amico importante. Quando ho saputo della sua morte ho pianto. Ancora oggi guardo spesso i disegni che mi ha regalato e la dedica sul suo volume della Glittering dove, su un foglio bianco, in basso a destra, un personaggio tratto dai Briganti - una delle sue tante avventure - reca una pergamena: e lui vi scrisse di fianco, come augurio per la mia laurea presa in quei giorni "Con i complimenti di Magnus".

Negli anni Ottanta, con questo incontro, ho scoperto che gli artisti erano uomini in carne ed ossa e che si potevano conoscere, parlargli. La fumetteria Alessandro distribuzioni di Bologna organizzava in quegli anni degli incontri con gli autori: fu così che conobbi diversi disegnatori. In queste occasioni, se si aveva un poco di faccia tosta, si poteva chiedere loro anche un disegno. E a me la faccia tosta non mancava. Fu proprio da Alessandro che ebbi la fortuna di conoscere Vittorio Giardino. Questo ingegnere con la barba e la pipa metteva un poco di soggezione, oltre che per il suo aspetto dottorale, per la sicurezza e la precisione del linguaggio con cui affrontava qualsiasi argomento, doti che naturalmente gareggiavano con la disinvolta accuratezza del suo disegno.

Le storie di Giardino mi avevano già conquistato sulle pagine del "Mago". Il suo detective Sam Pezzo trasportava i toni dell'hard boiled di Chandler e Hammett in una Bologna notturna che pareva trascolorare in New York o Los Angeles. Era da poco uscita la storia di Max Fridman intitolata Rapsodia ungherese, e i racconti di Giardino si facevano qui di più ampio respiro, con chiari influssi del fumetto franco-belga (quello di Jacobs, ad esempio). La chiarezza di contorno, con l'impiego di una linea di carattere funzionale, il gusto nella colorazione delle tavole, l'atmosfera complessiva e la bellezza delle trame fanno dei lavori di Vittorio Giardino uno dei più begli esempi di fumetto prodotti negli ultimi trent'anni.

Negli anni Novanta ho iniziato, tra l'altro, a collaborare con una rivista locale. Dovevo fare un numero spropositato di articoli che firmavo, oltre che con il mio nome, con una serie infinita di pseudonimi. Mi chiesero di fare un pezzo sul fumetto. Pensai ad un'intervista. Fu così che conobbi Andrea Venturi. Diventammo in breve grandi amici. Andrea è uno dei maggiori disegnatori che io conosca. Allora collaborava con "Dylan Dog". Per un certo periodo ha fatto anche le copertine di "Magico Vento", per passare poi alla realizzazione grafica delle storie di "Tex". Il suo stile è decisamente innovativo, fatto di un'articolazione mozzafiato delle vignette e di effetti chiaroscurali orchestrati con rara maestria. Le sue figure presentano effetti fortemente drammatizzanti come scorci o caratterizzazioni dinamiche di grande impatto visivo. Osservando i suoi lavori si resta ammirati di come sia riuscito a filtrare influssi eterogenei, da Alex Raymond, a Gene Colan, a Joe Kubert, ad Aldo Di Gennaro. Recuperare una tradizione per inventare qualcosa di nuovo è, a mio avviso, operazione di estrema intelligenza che Venturi riesce ad ottenere grazie ad un'assoluta consapevolezza tecnica.

Andrea Venturi è anche persona colta e sensibile. È stato un piacere frequentarlo in tutti questi anni. Tramite lui ho conosciuto e frequentato altri artisti del fumetto: da Nicola Mari a Francesco Guerrini, fino ai disegnatori dello studio Bonazzi di Ferrara, in particolare Germano Bonazzi e Roberto Zaghi, il primo disegnatore per "Nathan Never", il secondo, dopo rapporti con "Nathan Never" e "Zona X", è ora passato a lavorare per "Julia".

Con Giardino, Venturi, Bonazzi, Zaghi e Palumbo abbiamo dato vita a diversi corsi di fumetto e incontri con l'autore destinati all'Istituto d'arte per il mosaico "Gino Severini" di Ravenna, alla Scuola media di Castel Maggiore (Bologna), all'Istituto tecnico commerciale "Rosa Luxemburg" di Bologna.

Leggendo fumetti, lavorando con i fumettisti o anche soltanto parlando con loro, mi sono reso conto di quanto sia ricca la realtà fumettistica emiliano-romagnola. I disegnatori di fumetti in Emilia-Romagna sono almeno una cinquantina, e tutti artisti di grande qualità. Alcuni non sono propriamente emiliani, ma hanno fatto della nostra regione la propria patria elettiva, come il lucano Giuseppe Palumbo o la giapponese Keiko Ichiguchi. Credo che si possa, o forse si debba, riflettere su questa ricchezza territoriale. Penso che il fumetto emiliano-romagnolo meriterebbe una mostra tematica che presentasse tutti i suoi esponenti, una grande mostra di 150-200 tavole originali per fare meglio conoscere e comprendere questa realtà spesso nascosta o comunque non debitamente conosciuta.

La mostra potrebbe poi fungere da traccia per un futuro repertorio del fumetto emiliano-romagnolo, a cui si potrebbe lavorare negli anni futuri, magari creando una collaborazione col Centro studi e archivio della comunicazione di Parma per la creazione di un fondo apposito. Oppure, ipotesi ancora più interessante, si potrebbe fondare un Museo del fumetto, partendo da un nucleo regionale per poi eventualmente estenderne l'area d'interesse a livello internazionale. Credo che questi artisti meritino di acquisire una piena visibilità e, quelli di loro che non sono più tra noi, di essere ricordati come meriterebbero.

Tanti fumetti e fumettisti non li ho citati nel mio breve racconto: Jacovitti, con Cocco Bill e i tanti Diari Vitt che mi hanno accompagnato a scuola tra le elementari e le medie; i classici Little Nemo, Buster Brown, il Signor Bonaventura; i tanti personaggi di Antonio Rubino; Braccio di Ferro; Fortunello; Krazy Kat; Mio Mao; Tarzan; il mio amatissimo Alex Raymond, quello di Flash Gordon, ma anche quello di Jim della giungla, Agente segreto X9 e Rip Kirby; Zagor; Pecos Bill; Michel Vaillant; il "Corriere dei Piccoli"; Valentina Mela Verde; Capitan Miki; Blek Macigno; Brick Bradford; Mandrake e L'uomo mascherato; Prince Valiant; Gea; Dino Battaglia; Alberto Breccia; l'Eternauta; Guido Buzzelli; Sergio Toppi; Frank Miller; Jacques Tardi; Spirit e tutti i lavori del suo geniale creatore Will Eisner; Enki Bilal; Attilio Micheluzzi; Franco Caprioli; Milton Caniff; Hergé (cosa avrei fatto senza Tintin?); Rebecca; Bobo; Lupo Alberto; l'adorabile e sempre adorato Sempé; Milazzo; Milo Manara; Walt Kelly; Al Capp; lo Sconosciuto; Necron; la Compagnia della Forca; Gesebel; Dennis Cobb; le Femmine incantate; la serie di "Un uomo un'avventura"; Alack Sinner; Ken Parker... E molti altri. Grazie a tutti loro, personaggi e autori, per avermi accompagnato fin qui.

 

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