Rivista "IBC" XII, 2004, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio è entrato in vigore. Per analizzare il testo ministeriale l'IBC promuove una giornata di studi: seguiranno altri incontri, sempre correlati ai problemi del nostro territorio e del suo complesso patrimonio.
Un nuovo codice

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Da qualche settimana è entrato in vigore il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio voluto dal ministro Urbani, e com'era prevedibile ha subito suscitato discussioni e osservazioni critiche, in attesa che l'esperienza concreta chiarisca rapporti, situazioni, competenze e procedure interpretative. Anche l'Istituto per parte sua promuove per il 28 maggio una giornata di studi per una prima analisi del testo ministeriale, a cui seguiranno altri incontri, sempre correlati ai problemi del nostro territorio e della sua mappa così complessa di beni culturali: solo uno studio adeguato e compiuto di tutti gli articoli, in una materia così ampia e multiforme, può dare luogo a una conoscenza e a una pratica efficaci, illuminate da un equo ma franco e preciso spirito critico. Ma intanto l'Istituto della Regione Emilia-Romagna prende atto con soddisfazione del ruolo centrale che viene ora conferito alla nozione-base di paesaggio, proprio perché sin dalla sua fondazione, nel 1974, aveva riconosciuto nel paesaggio, come entità insieme geografica e culturale, l'unità di misura e di contesto a cui riferire sempre la considerazione dei beni artistici, architettonici e naturali. E del resto la presenza con noi sin dall'origine di studiosi lungimiranti come Lucio Gambi, Andrea Emiliani e Pier Luigi Cervellati non poteva che condurre a questo orientamento euristico e concettuale, dove il messaggio del positivismo illuministico si univa allo spirito vigorosamente territoriale di una nuova storiografia moderna, da Roberto Longhi a Lucien Febvre e Marc Bloch.

Vero è che il nostro interesse, in questo numero, va di nuovo alla questione centrale di come rappresentare la storia attraverso istituzioni museali e altre configurazioni e attività complementari, soprattutto quando si tratta della realtà contemporanea e delle sue radici conflittuali, che possono addirittura ricondurci indietro sino al capitolo, forse tutto da riprendere, del nostro travagliato Risorgimento. Come sempre, il lavoro storiografico non può cristallizzarsi in enunciati di comodo, deve ridiscutere fatti, concetti e risultati, esercitare insomma la sua scrupolosa e onesta ragione critica; e tradurne le conoscenze in un linguaggio di limpida e comunicabile evidenza non costituisce soltanto un problema tecnico, ma significa anche mettere alla prova la forza di una convinzione, accertare che il "vero" è sempre in cammino, con nuove domande e nuove ipotesi e prospettive. Solo così il patrimonio dei beni culturali può divenire l'espressione attiva di una appartenenza, il referente unitario, nella sua stessa molteplicità, di una memoria condivisa, riscoperta attraverso il dialogo con le cose e con gli uomini che le hanno create, in un luogo che mentre muta resta sempre lo stesso, paesaggio reale e insieme mondo interiore. In fondo interrogare il paesaggio non è altro che ritrovare il presente visibile del passato. L'analisi storica ne fornisce poi il conveniente codice interpretativo.

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