Rivista "IBC" XII, 2004, 1

Dossier: Due castelli dai destini incrociati - I restauri di Bazzano e San Martino in Rio

musei e beni culturali, dossier /

Nella Rocca di San Martino in Rio Un nuovo luogo d'arte da scoprire

Iolanda Silvestri
[IBC]

Simile alle tante realtà castellane disseminate sul nostro territorio e, come molte di queste, unica e sconosciuta ai più, la Rocca di San Martino in Rio ha una storia che risale al IX secolo, quando divenne parte integrante del sistema fortificato matildico. Dal 1115 al 1430 fu proprietà dei Roberti che ne potenziarono l'aspetto difensivo, mentre la trasformazione a residenza nobiliare, così come ora noi la vediamo, contrassegnata da importanti esiti artistici, avvenne solo con la conquista del castello reggiano da parte dei duchi di Ferrara, che lo mantennero fino al 1490 quando Ercole I d'Este lo concesse al fratello Sigismondo. Al ramo cadetto estense la rocca rimase fino al 1752 e fu oggetto di significativi interventi di ristrutturazione e di ampliamenti, coronati, dopo il matrimonio di Filippo I d'Este con Maria di Savoia, da nuove sale e dallo scalone di rappresentanza, realizzati nell'ala ovest su progetto, si ritiene, dell'architetto Giovanni Battista Aleotti detto "L'Argenta".

Estinti gli Este di San Martino in Rio, la rocca passò al controllo della Camera Ducale di Modena per poi essere acquistata dai marchesi D'Aragona, che la conservarono dal 1772 al 1792 e la trasformarono sensibilmente, adattandola al gusto del periodo. Tornata di nuovo alla Camera Ducale fino al 1797, da quella data in avanti cessò gradualmente di essere residenza aristocratica diventando, dall'Unità d'Italia ad oggi, sede della municipalità locale, con un uso promiscuo tra pubblico (uffici, caserme, scuole, associazioni locali) e privato (abitazioni).

A quattro epoche storiche diverse risalgono, quindi, le testimonianze artistiche più significative che ritroviamo ancor oggi nella Rocca, pur incomplete e risarcite dai danni dell'uomo e del tempo grazie ai restauri complessi, affrontati a spese dell'amministrazione locale e dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, nell'arco di un ventennio tra gli anni Ottanta e Novanta. La più antica di queste testimonianze è quella trecentesca, che risale all'intervento di rinforzo fortilizio attuato dai Roberti: è ancor oggi visibile in parte nella rocchetta dell'ala nord-est con le sue merlature originali e nella cappella gotica di corte di San Giovanni dell'ala ovest.

Fra tutte, comunque, quelle rinascimentali sono le testimonianze d'eccellenza, che conferiscono alla rocca un valore unico e irrinunciabile per la conoscenza della storia artistica emiliana e non solo. Tra queste spicca per prestigio e unicità la sala quattrocentesca della Torre dell'ala nord-est del piano nobile, dipinta dal modenese Pellegrino degli Erri e dalla sua bottega; qui, con suggestione visiva davvero stupefacente, tra le cortine rosse di un sipario teatrale si aprono quattro scene simboliche celebrative delle imprese di bonifica attuate da Borso d'Este con i Signori di Correggio nelle terre circostanti: un sorprendente unicorno a grandezza naturale che intinge il corno nelle acque fecondando la campagna reggiana, un fonte di acqua salvifica, una tavola chiodata e una siepe di salici (il paraduro). Segue poi una sala cinquecentesca attigua decorata, solo su tre lati, da una fascia parietale affrescata che raffigura, in una sorta di monocromo su fondo nero, dame in dolce conversare, animali, mostri, figure mitologiche, intercalati al centro da medaglioni con vedute sulla campagna circostante. La concezione figurativa d'insieme - per un verso fantasiosa e aristocratica, per l'altro fortemente espressionista e "popolare" nel modo ardito e compresso di tagliare lo spazio con ripetute direttrici diagonali dove le figure debordano sul marcapiano animando la scena - fanno ipotizzare nomi altisonanti della pittura cinquecentesca emiliana legati a una cultura nordica e cortese, nomi che vanno da Amico Aspertini a Lelio Orsi fino a Niccolò dell'Abate.

La terza testimonianza dipinta è seicentesca e si trova sempre in due ambienti di rappresentanza del piano nobile, la sala del Teatro e quella delle Aquile. Si tratta di fasce affrescate dove tra finte architetture e mascheroni si snodano cartigli con motti moralistici sui fasti e sulle virtù estensi, scritti in lingua spagnola in segno di fedeltà dei Principi di San Martino alla corte di Spagna per l'alleanza dei Savoia con questa nazione, siglata dal matrimonio di Filippo d'Este con Maria di Savoia. Le fasce parietali sono coperte da stupendi soffitti lignei dipinti che propongono, con insistita serialità celebrativa, le insegne estensi: aquile imperiali nere e bianche, a una e due teste.

Quarta e ultima testimonianza artistica degna di rilievo è la frivola decorazione rococò inserita dai marchesi d'Aragona nella ristrutturazione degli appartamenti privati dell'ala est della rocca. Finti tessuti dipinti a parete e finte architetture nei soffitti, insieme a stucchi policromi posti a cornice di porte e camini settecenteschi, ridisegnano ex novo l'apparato decorativo preesistente di alcune sale, mentre in altre si integrano con perfetta armonia ai fregi a grottesche e ai soffitti lignei dipinti del XVI secolo.

Non è poi così usuale poter apprezzare oggi la lunga stagione artistica che si apre agli occhi percorrendo le sale del piano nobile e che giunge fino all'Ottocento contemplando anche testimonianze di epoche critiche della nostra storia più recente, come le gesta aeree di Cesare Balbo, andate scientemente distrutte in altre edifici. È infatti con meritato orgoglio e con grande lungimiranza che l'amministrazione comunale, sostenuta dall'impegno costante della Regione, propone oggi ai visitatori un manufatto storico di singolare pregio e pressocchè ignorato, interamente restaurato e rifunzionalizzato nelle sue parti più nobili e antiche.

 

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