Rivista "IBC" XII, 2004, 1
Dossier: Due castelli dai destini incrociati - I restauri di Bazzano e San Martino in Rio
territorio e beni architettonici-ambientali, dossier / restauri
Dopo anni di dibattito su come restaurare il patrimonio architettonico del nostro paese, dopo tante carte del restauro e buoni propositi, l'attenzione dell'opinione pubblica si è spostata sul perché restaurare e per quale scopo, cercando di comprendere se il restaurare un edificio sia un atto fine a sé stesso o trovi fondamento e occasioni di crescita culturale nel suo riutilizzo.
Per contro, abituati a considerare il patrimonio culturale di una nazione come un bene comune, diventa ora difficile assistere a valutazioni economiche o ricondurre tutta la problematica dell'utilizzo e valorizzazione dei nostri monumenti solo a esigenze di bilancio. In questo senso il tema del riuso dell'edificio e del suo inserimento nel contesto umano di una comunità acquista ai fini della conservazione un ruolo paragonabile a quello della corretta applicazione delle tecniche di restauro.
Ci si dimentica anche di come gli edifici non siano volumi isolati nello spazio, ma inseriti in contesti, per cui il metodo e le scelte di cosa conservare, usare e tramandare ai nostri figli coinvolgono i centri storici e l'ambiente che li circonda. L'architettura è fatta di volumi ma anche di grandi vuoti, definiti da quinte murarie e dalla natura nelle sue varie manifestazioni.
Perché un paese di cinquemila abitanti come San Martino in Rio abbia deciso nel 1977 di recuperare la rocca e lo spazio circostante che caratterizzava il cuore del suo abitato è semplice e ovvio per quei tempi: conservare la memoria della sua storia, tramandarla come segno d'identità locale ai posteri e trovare il modo di utilizzare la struttura come sede delle istituzioni culturali. Una scelta decisiva e difficile, portata avanti nell'isolamento generale di quei tempi, con la sola attenzione dell'appena nato Istituto regionale per i beni culturali. La determinazione della cittadinanza ha permesso, con scarsi finanziamenti diluiti in venticinque anni, di recuperare un patrimonio unico di cicli pittorici, di spazi architettonici di qualità, sia chiusi che all'aperto. Un'avventura lontana dal clamore suscitato da tanti altri interventi, ai quali non mancano mezzi economici legati più alla grande visibilità mediatica che all'amore per la cultura e la storia.
Alle ragioni del recupero di una rocca, che da residenza signorile diventa sede delle istituzioni di un paese, si aggiunge tutta la problematica del riuso di architetture nate per scopi diversi. L'inserimento di tecnologie e impianti, nonché il rispetto delle normative relative agli usi pubblici, portano spesso il restauratore ad affrontare e prendere decisioni uniche. Qui dobbiamo porci la seconda domanda, vale a dire come restaurare o come utilizzare le numerose carte del restauro, gli esiti dei dibattiti e dei confronti stessi, molto più presenti negli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. L'opera dell'architetto, nel restauro architettonico, è quella del regista che coordina e dirige varie e complesse professionalità, sia intellettuali che manuali.
Se le regole e le norme fossero veramente scientifiche, cambiando il regista, l'architetto, il risultato dovrebbe rimanere invariato. Diversamente, solo esperienza, sensibilità e professionalità possono dare risultati sempre unici e ci restituiscono un patrimonio che, se l'opera di regia ha funzionato, ci permette di leggere le varie fasi dell'edificio con un risultato che è sempre opera architettonica nuova. Ogni edificio o situazione richiede scelte personali e uniche, è difficile trovarsi di fronte a casi generalizzati o comparabili. Qui sta la non ripetibilità del nostro patrimonio, nel suo valore di unicità sta l'obbligo della valorizzazione e soprattutto l'impossibilità di fare scelte che privilegino beni o redigano elenchi di priorità.
Nel nostro caso, accettata la destinazione d'uso, le scelte metodologiche si sono confrontate con la disponibilità economica e temporale dei singoli lotti d'intervento. Inoltre la presenza all'interno dell'edificio di uffici, associazioni e residenze private, ha reso complessa l'organizzazione del cantiere. Quando il progetto di restauro è stato sottoposto al Consiglio comunale e alla cittadinanza era il 1977 ed erano trascorsi quasi cinque anni dall'inizio dei lavori di rilievo e approfondimento storico e conoscitivo del monumento. L'impegno maggiore era stato profuso, oltre che nella conoscenza, proprio nella scelta di destinazione d'uso del complesso. Ora può sembrare semplice, ma quasi trent'anni fa non era così ovvio. Il lavoro del Consiglio, della Biblioteca comunale e del Museo della civiltà contadina aveva creato i presupposti per cui la Rocca per le sue caratteristiche storico-artistiche non poteva altro che ospitare le attività culturali o, meglio, gli istituti culturali. Ancora non si aveva coscienza della quantità e qualità dei cicli pittorici che si sarebbero scoperti.
La scelta di sistemare la Biblioteca al piano nobile, nei locali maggiormente caratterizzati sia per l'architettura che per la presenza di apparati decorativi databili tra il secolo XV e il XVIII, è stata suggerita dalla consapevolezza che in una realtà locale di piccole dimensioni solamente questo istituto dava garanzie di tutela per le decorazioni. A questo si aggiunge la singolarità del messaggio che il valore intrinseco del bene può trasmettere al fruitore del servizio culturale. Infine l'uso pubblico garantisce la visita e la fruizione degli spazi per la maggior parte della settimana, senza un servizio di sorveglianza dedicato.
Decisa la destinazione d'uso, tenendo conto delle possibilità gestionali di un centro così piccolo, seppur con cotanto monumento e storia, l'avventura è iniziata. Gli interventi iniziati nel 1981 sono stati finanziati principalmente dalle amministrazioni comunali che si sono succedute, con i contributi erogati dalla Regione Emilia-Romagna attraverso l'IBC e le leggi relative alla valorizzazione del patrimonio architettonico o conseguenti agli eventi sismici del 1987, 1996 e 2000. Iniziato il cantiere dall'ala nord, i lavori, nel tempo, hanno coinvolto le altre parti con il consolidamento generale delle strutture portanti verticali e orizzontali. Occorreva adeguare queste strutture al carico comportato da un uso pubblico e dalla sistemazione nelle sale di ampie quantità di documenti e di depositi cartacei: obiettivo realizzato attraverso un capillare consolidamento delle murature.
Contemporaneamente sono stati rinforzati i solai, utilizzando varie e diverse tecniche e operazioni legate al restauro: un lavoro complesso, effettuato in spazi esegui, che ha permesso di conservare gli antichi solai lignei, di non superare con le nuove pavimentazioni l'originale quota di calpestio e quindi di non snaturare l'aspetto originario delle soffittature. Grazie a questi interventi con un costo tutto sommato modesto si è potuto ridare funzionalità portante a travi e capriate in rovere di dimensioni eccezionali, con lunghezze di trave spesso superiori ai sei metri. Sono state recuperate anche le soffittature settecentesche in cannucciato.
In particolare gli interventi più complessi hanno riguardato la riapertura del portico est e il consolidamento del Torrazzo. Dopo il consolidamento statico e il ripristino dei rapporti spaziali e dell'articolazione delle stanze, è seguito l'adeguamento impiantistico, in particolare dell'impianto elettrico e di riscaldamento. Gli eventi sismici verificatisi nel 1996 e nel 2000 hanno messo alla prova, collaudandole, le opere eseguite e richiesto ulteriori attenzioni per quanto era ancora da fare.
Le fasi più importanti, oltre alla completa messa a disposizione degli spazi, hanno riguardato: la scoperta e il recupero del ciclo pittorico della Sala dell'Unicorno, opera dei pittori modenesi Erri, realizzata per volontà di Borso d'Este intorno al 1425; il recupero della fascia affrescata a grottesche e soggetti mitologici, opera dell'ambiente di Nicolò dell'Abate; il recupero dell'ala cinquecentesca attribuita al progetto dell'Argenta, con fasce pittoriche e "imprese" che celebrano il ramo sanmartinese degli Este; la sistemazione a parco dell'area anticamente occupata da altri edifici, come il teatro seicentesco abbattuto alla metà del secolo XVIII e i vecchi fossati colmati nell'Ottocento. Restano da completare il recupero del piano sottotetto e del piano terra con altri affreschi, per circa duecento metri quadri, coperti da scialbi pittorici successivi.
Azioni sul documento