Rivista "IBC" XII, 2004, 1

Dossier: Due castelli dai destini incrociati - I restauri di Bazzano e San Martino in Rio

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Nella Rocca di Bazzano I Bentivoglio e la miniatura

Daniele Guernelli
[storico dell'arte]

Dopo un XV secolo in cui l'interdisciplinarità tra le arti fu prassi di concreta usualità, il secolo successivo pose le basi per una gerarchizzazione che scisse il panorama artistico in quelle che la critica successiva chiamò arti maggiori ed arti minori. Questo ragionar per compartimenti stagni penalizzò queste ultime, riservando ad esse negli studi scientifici contemporanei una parte minoritaria. Il ritardo è ancor più gravoso in un campo come quello della decorazione dei manoscritti, la cui produzione, a dispetto dei luoghi comuni di un medioevo oscuro ed incolto, rappresenta la più cospicua testimonianza materiale dell'età di mezzo.

Un chiaro esempio di questo stato delle cose è l'approccio frammentario sia in senso geografico che diacronico degli interventi, che spesso si concentrano su aree e nuclei stilistici già noti, interessandosi poco di ciò che è ad essi contiguo, precedente o successivo. È questo il caso di Bologna, la cui produzione due-trecentesca è stata indagata con acume ormai da molti studiosi, mentre solo nell'ultimo decennio si è lavorato su quella quattrocentesca.

Questo ritardo ha fatto sì che tuttora siano ancora pochi gli elementi caratterizzanti individuabili nell'arte miniatoria di una signoria quale quella bentivolesca, ago della bilancia della politica di stabilità impostata dai signori italiani nella seconda metà del Quattrocento, insieme alla signoria dei Medici a Firenze. Il convegno del 29 novembre 2003 "Da castello a 'delizia': arte e architettura nella Rocca di Bazzano tra Medioevo e Rinascimento", propiziato dalla fine del restauro del ciclo della Sala dei Giganti, ha offerto l'occasione per fare il punto della situazione.

La prima personalità che si incontra accompagnando le vicende della famiglia dominante è quella di Bartolomeo dal Tintore, le cui testimonianze artistiche a noi note si assestano agli anni Cinquanta del Quattrocento. Il miniatore si mostra una delle più sensibili antenne cittadine alle novità rinascimentali che, secondo la testimonianza di Luca Pacioli, sarebbero state favorite dalla presenza a Bologna di Piero della Francesca. Con Bartolomeo si assiste, inoltre, ad un'inversione di tendenza nella circolazione delle idee artistiche tra la città felsinea e Ferrara, che, dopo aver subito l'influenza bolognese dell'arte internazionale di Giovanni da Modena durante la prima parte del secolo, esportava ora gli stilemi rinascimentali elaborati nell'aggiornatissima corte degli Este.

Questa "colonizzazione" si esplicitò a diversi livelli, e non sorprenderà quindi constatarla in una tipologia particolare di opera miniata, quella dei tarocchi. Questi, nati tra Milano e Ferrara, trovarono amplissima diffusione anche a Bologna, tanto da essere giocati non solo a corte, ma anche nella campagna circostante la città. Sebbene non siano sopravvissuti esemplari fabbricati a Bologna, tra cui - lo testimoniano le fonti - svettavano per importanza quelli dei Bentivoglio, è possibile farsi un'idea delle carte che circolavano in città grazie ad un mazzo conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Si tratta del cosiddetto mazzo di Carlo VI, prodotto a Ferrara ma riconducibile alla tradizione bolognese. Tra le carte pervenuteci appare anche quella di un fante di spade che ben si pone, insieme ai "Giganti" di Bazzano, a rappresentare la cortigianità dell'entourage di Giovanni II Bentivoglio e l'interesse di questo verso l'arte militare, di cui egli stesso era uno stimato rappresentante.

La presenza a Bologna di carte ferraresi e le successive vicende artistiche bolognesi su pergamena testimoniano che anche in miniatura è possibile tracciare un percorso simile a quello che portò a Bologna artisti del calibro di Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti. Nel 1473, infatti, arrivò in città il ferrarese Taddeo Crivelli, senza dubbio il più importante miniatore della Bibbia di Borso D'Este. Questi, dopo aver mandato a monte una prima commissione per i benedettini di San Procolo impegnando le pergamene per soldi, ripeté l'errore con la ben più importante commissione per i corali di San Petronio nel 1476. A sostituirlo venne chiamato Martino da Modena, figlio di un altro protagonista della Bibbia di Borso, Giorgio d'Alemagna. Martino lavorò ai corali dal 1477 al 1480 chiudendo un decennio di forte preminenza ferrarese. I modi e le strutture decorative estensi troveranno a Bologna un seguito nelle opere del cosiddetto "Maestro del Libro dei Notai", forse identificabile con Domenico Pagliarolo, che dovette educare la propria arte sotto il Crivelli.

Per quel che ci è dato constatare dalle testimonianze pervenuteci, la posizione dei Bentivoglio all'inizio della loro signoria rispetto al fiorire delle arti cittadine sembra essere stata impostata su una cautela suggerita dalla volontà di non rendere troppo appariscente il loro governare. Questa cautela sembra essere riscontrabile anche in miniatura, ed è testimoniata dalla decorazione dei documenti di cancelleria, spesso di parco impegno e di dimesso effetto visivo. Questa situazione sembra cambiare con il manoscritto Catasto croce dell'Archivio di Stato di Ferrara, un registro di privilegi e documenti patrimoniali compilati dal 1477, in cui maggiore è la profusione della decorazione nell'evidenziare - ancora con modi stilistici ferraresi - l'araldica famigliare, perfettamente coincidente con analoghi esemplari rimastici, quali quelli delle sale degli stemmi di Bazzano.

La maniera estense non deve però essere l'unica chiave di interpretazione dei fatti artistici miniatorii bolognesi, in quanto in città circolarono sicuramente anche esempi toscani, lombardi e veneti. Proprio un forte debito con la miniatura veneta lo mostra Francesco Marmitta, un parmigiano educatosi a Bologna, che approntò per Giacomo Giglio, intimo amico dei Bentivoglio, uno dei più importanti manoscritti italiani del periodo. Nel codice petrarchesco di Kassel (Landesbibliothek) sono infatti riscontrabili sia influssi padovani che chiari elementi della contemporanea arte monumentale bolognese degli inizi degli anni Ottanta.

Ormai le commissioni di alto prestigio caratterizzavano sempre più spesso le imprese dei miniatori cittadini ed è naturale che anche la famiglia dominante, ormai salda al comando della città, non potesse essere da meno. Lo dimostrano le Ore di Giovanni II Bentivoglio del 1497, conservate a New York (Pierpont Morgan Library), ove la ricchezza delle decorazioni alterna agli immancabili simboli araldici il ritratto del committente inginocchiato davanti alla Madonna. Se ancora discussa è l'identificazione dell'autore di quest'opera, conosciuti sono gli artisti delle Ore Ghislieri (Londra, British Library), commissionate per la ricca famiglia bolognese a cavallo tra i due secoli a Matteo da Milano, a cui vennero aggiunti fogli sciolti di artisti quali Perugino, Amico Aspertini, Lorenzo Costa e, forse, Francesco Francia.

L'ultima fase della signoria dei Bentivoglio vide, inoltre, la formazione e l'affermazione della bottega di Giovan Battista Cavalletto, già testimoniato a partire del 1486 in alcuni corali per San Petronio. Questi impiantò in città una salda struttura produttiva in grado di farsi carico di una buona fetta delle commissioni offerte dal mercato. In questo fu aiutato dal figlio Scipione e, saltuariamente, dal pittore Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo, che con la loro arte ormai cinquecentesca accompagnarono il tramonto della signoria protraendo la loro attività ben oltre la cacciata della famiglia che, nel bene e nel male, aveva fatto la storia di Bologna durante gran parte del XV secolo.

 

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