Rivista "IBC" XII, 2004, 1

Dossier: Due castelli dai destini incrociati - I restauri di Bazzano e San Martino in Rio

musei e beni culturali, dossier /

Nella Rocca di Bazzano Le decorazioni bentivolesche

Chiara Albonico
[storica dell'arte]

La rocca di Bazzano conserva in gran parte l'aspetto che le diedero i Bentivoglio alla fine del Quattrocento: a metà fra castello e residenza di svago, essa mostra un volto più sobrio ed austero di quello che un tempo caratterizzava le altre "delizie" dei signori di Bologna. Come l'architettura, anche le decorazioni delle sale interne non lasciano spazio a racconti bucolici o a raffinatezze cortigiane, ma rivelano la necessità precisa di segnare l'appartenenza del luogo ai signori di Bologna, legati da più vincoli matrimoniali agli Sforza di Pesaro e di Milano. Nonostante lo stato precario delle decorazioni, il lungo e paziente restauro ci permette oggi di avere un'idea abbastanza precisa della condizione delle stanze nell'epoca del dominio bentivolesco.

Il Comune cedette a Giovanni II ciò che rimaneva della rocca nel 1473, ma i lavori per la ricostruzione di Bazzano non iniziarono subito. Sappiamo che almeno i muri vennero costruiti entro il 1486 ma per la decorazione delle stanze, o almeno del salone principale, probabilmente si dovette attendere ancora qualche anno. La disposizione degli ambienti rispetto alla scala e al portone d'entrata è un ulteriore segnale della natura parzialmente difensiva dell'architettura di Bazzano: le scale, poste oltre il cortile di fronte all'ingresso, conducono al salone di rappresentanza; seguono le stanze di Giovanni II e solo in fondo, nel luogo più protetto, la stanza della consorte.

In queste sale private ricorrono affrescati sulle pareti gli stemmi Bentivoglio e Sforza, che ci rivelano quali fossero le camere del signore (la maggior parte, stando alla presenza dei ghepardi e dei monogrammi di "Ms. Zo", Messer Zoane) e quale la camera di Ginevra, l'unica che si affacci direttamente sull'aerea loggia che si apre in fondo al cortile interno. Sulle pareti di questa stanza, infatti, campeggia una decorazione che non lascia dubbi e che non è stata ritrovata nei pochi luoghi bentivoleschi sopravvissuti alle ingiurie del tempo: lo stemma degli Sforza di Pesaro, con il leone rampante che porta nella zampa tre mele cotogne - ricordo dell'affiliazione della famiglia alla località di Cotignola in Romagna - inserito in una rete di rami di ginepro intrecciati.

L'ambiente più interessante è tuttavia la cosiddetta "Sala dei Giganti", sulle cui pareti campeggiano figure di uomini d'arme vestiti all'antica più grandi del naturale, inquadrati da lesene che sostengono un architrave che corre lungo tutte le pareti. Per quel che rimane e che si può intuire, i "giganti" si stagliano contro paesaggi rurali o urbani di fantasia, e la loro successione viene interrotta sui lati corti da due inserti di paesaggio.

Gli Uomini d'arme di Bazzano non sono un vero ciclo. Non rappresentano infatti né cavalieri riconoscibili, né illustri uomini del passato, come era d'uso nelle decorazioni delle sale degli Uomini famosi di petrarchesca memoria; non corrono oggi scritte che aiutino a riconoscerli in personaggi definiti né mai queste scritte ci furono. Essi sostengono, o hanno ai piedi, grandi scudi che portano le insegne Bentivoglio e Sforza inquadrate, e questa è l'unica loro funzione: dimostrare, nel modo più evidente possibile, l'appartenenza di quel luogo di confine alla "signoria" di Bologna.

C'è evidentemente un motivo per questa scelta, e ci fu un'occasione particolare che può aver portato a questa decorazione. La cultura del tempo, com'è noto, stava attraversando un periodo fervidissimo di studi antiquari, che coinvolgevano circoli umanistici, filosofici, letterari, e ovviamente anche gli artisti che ad essi erano legati. Tuttavia, in una situazione culturalmente vivace ed eterogenea come quella bolognese, la deferenza che questo mondo poteva ispirare divenne confidenza vivace e talvolta perfino spregiudicata, tanto che vennero liberamente accostati, negli studi e nei taccuini d'artista dell'epoca, elementi copiati dall'antico ad altri copiati in parte e integrati, rivisti, o addirittura ricreati "all'antica".

Fu proprio questa confidenza a permettere che le immagini tratte dall'arte classica - come i soldati, per rimanere nel solco che porta alla comprensione degli Uomini d'arme di Bazzano - comparissero nelle situazioni più svariate. Sabadino degli Arienti descrisse un Ercole che campeggiava dipinto all'esterno della villa di Belpoggio, uno dei luoghi di delizie dei Bentivoglio, ma sempre l'autore delle Porrettane narrò anche del banchetto di nozze del figlio primogenito di Giovanni II, Annibale, durante il quale due soldati "vestiti all'antica" molto poco nobilmente dovevano difendere una tavola imbandita con ogni sorta di vasellame pregiato; al termine dei lauti pranzi per queste nozze comparivano in sala donne vestite come dee antiche, mentre soldati e imperatori campeggiavano nei mazzi di carte da gioco o di tarocchi con i quali gli stessi signori si intrattenevano. Dunque un uso dell'antico senza deferenza, uscito dalle stanze dei letterati e degli studiosi e approdato nel linguaggio comune dei circoli colti e aristocratici.

Dalle miniature che corredavano preziose edizioni di testi, come il Libro degli Homini Famosi del Petrarca, alle prove grafiche di Marco Zoppo e della sua cerchia, un filo unico corre fra gli stampatori veneziani e veronesi, fra gli umanisti padovani e gli artisti a loro legati, fra lo Studio bolognese e le corti, soprattutto quella ferrarese, e unisce tra loro espressioni apparentemente così diverse come il filologismo antiquario di Andrea Mantegna e il fantasioso ferrarese autore dei cosiddetti "Tarocchi Sola-Busca", nei quali la deformazione di un prototipo, quello appunto del soldato romano o del soldato "all'antica", giunge forse ad uno dei suoi limiti più estremi. I "giganti" di Bazzano si collocano in un punto di questa catena, e sono con tutta evidenza traduzioni talvolta un po' affrettate di modelli appartenuti ad una bottega, o ad un artista, colto e aggiornato: tra essi troviamo anche il modello che diede vita, anni prima, alla figura di Pippo Spano che Andrea del Castagno affrescò a Villa Carducci alla Legnaia.

Quando nel 1491 si sposò il terzogenito di Giovanni II, Alessandro, con una fanciulla appartenente ad un ramo laterale degli Sforza di Milano, Isabella, le nozze vennero celebrate a Milano. Il viaggio di ritorno a Bologna durò vari giorni, e l'ultima tappa, prima che la sposa venisse accolta trionfalmente in Bologna come parte della famiglia, fu Bazzano. Era il benvenuto, l'ingresso di Isabella in terra bentivolesca, ed ecco comparire nella sala principale di Bazzano segni evidentissimi di questo passaggio: una teoria di uomini d'arme vestiti all'antica l'accolse nella sala tappezzata da stemmi inquartati delle due famiglie Bentivoglio e Sforza, segno che i novelli sposi rinnovavano l'unione tra le famiglie già suggellata dal matrimonio di Giovanni e Ginevra.

Letti in questa luce, assumono significato anche gli inserti di paesaggio che compaiono lungo i lati corti della sala, compiuti secondo l'evidente intenzione di rappresentare un luogo: si volevano presentare le terre dei Bentivoglio, i loro possedimenti. La Sala dei Giganti non è forse stata decorata solo per questo avvenimento, ma probabilmente fu creata in questa occasione, e gli Uomini d'arme vennero poi lasciati sulle pareti come a difesa delle sorti sempre incerte della signoria di Bologna. Ancora visibili nell'Ottocento, i "giganti" di Bazzano vennero probabilmente coperti in occasione dell'occupazione militare della rocca, nel XX secolo.

 

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