Rivista "IBC" XII, 2004, 1
Dossier: Due castelli dai destini incrociati - I restauri di Bazzano e San Martino in Rio
territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /
Posta al centro di un territorio conteso per secoli, la Rocca di Bazzano occupa un sito a lungo considerato strategico per il controllo del territorio circostante. I primi insediamenti di cui si conservano tracce, sull'altura destinata ad ospitare il complesso fortificato, risalgono all'età del Bronzo, mentre durante l'età del Ferro, qui segnata dalla presenza della civiltà villanoviana, il nucleo abitato si spostò più a valle, verso il Samoggia e più prossimo ai traffici commerciali che seguivano il corso del fiume, secondo una primitiva distinzione tra i due poli urbani che sopravvive ancora oggi
L'antico centro abitato attraversò le età etrusca, gallica e romana, per poi trovarsi coinvolto nella lotta tra i Longobardi e l'esercito bizantino, durante la quale probabilmente assunsero una fisionomia più precisa i due nuclei abitati distinti, uno a monte, e l'altro a valle. Dopo la dominazione longobarda, l'area passò sotto il controllo del vescovo di Modena, e fu oggetto di continue contese tra questa e Bologna, sottostando alternativamente al dominio dell'una e dell'altra città. Soltanto all'XI secolo, però, risalgono le prime testimonianze documentarie di un processo di fortificazione della zona elevata, nel pieno di un'età segnata dalla paura per le scorrerie di popolazioni provenienti dall'Europa orientale.
Una prima autentica cinta muraria fu forse costruita nei primi decenni del 1200, e nel sistema fortificato venne inclusa anche la chiesa di Santo Stefano, di cui sono quasi interamente perdute le forme originali, ma che era cresciuta insieme alla rocca. Del castello duecentesco non rimangono tuttavia tracce, dal momento che, a seguito di un assedio da parte bolognese, conclusosi vittoriosamente per la città felsinea nel 1247, il podestà di quest'ultima ne ordinò lo smantellamento e l'utilizzo dei materiali risultanti per il rafforzamento della rocca di Monteveglio.
Di un'autentica "seconda vita" della rocca bazzanese si può parlare a partire dalla fine del XIII secolo, quando il marchese Azzo VIII d'Este, allora signore di Ferrara, Modena e Reggio, ne promosse una prima riedificazione. All'iniziativa del Comune bolognese, sull'inizio del Trecento, si deve però l'edificazione del nucleo centrale del castello, tuttora visibile sul lato opposto a quello d'entrata e composto dalla massiccia torre e dal corpo ad essa adiacente, caratterizzati dalle aperture a sesto acuto. Nel giro di pochi anni il complesso fu munito di un primo cassero in corrispondenza dell'odierno ingresso alla rocca, e di un secondo dove oggi sorge la torre dell'orologio.
Negli anni Settanta dello stesso secolo, verso il culmine della lotta tra la Chiesa e i Visconti, la rocca fu dotata di una seconda cerchia di mura e di un nuovo ingresso, e non è escluso che sia esistita per un certo periodo una terza cinta difensiva più esterna. Nonostante i rafforzamenti, è proprio tra lo scorcio del XIV secolo e l'inizio del successivo che la rocca si rivela estremamente vulnerabile alle nuove tecniche di assedio, perdendo in via definitiva le sue funzioni difensive. Ceduta poco dopo la metà del Quattrocento dal Comune di Bologna ai frati domenicani, quindi nel 1459 al nobile Gabriele Poeti, che ne tentò un primo adattamento a residenza signorile, nel dicembre del 1473 la rocca fu donata a Giovanni II Bentivoglio insieme ai terreni circostanti.
Per iniziativa del Signore di Bologna si conservò il nucleo tardoduecentesco, e si completò il perimetro quadrangolare con l'aggiunta degli altri tre corpi di fabbrica. Assunto un aspetto ibrido, a metà strada tra la fortezza e il palazzo signorile, anche le funzioni assegnate alla rocca di Bazzano rispecchiarono probabilmente una simile ambivalenza, dovendo servire al tempo stesso da residenza extraurbana per la corte e da appostamento di guardia su un territorio pur sempre di confine.
Su quale fosse l'aspetto esteriore della rocca nell'età bentivolesca permangono incertezze, essendo perdute le decorazioni policrome che con ogni verosimiglianza ricoprivano il paramento murario e la merlatura, ed essendo state mozzate le due torri, private delle loro parti terminali. Ancora ben leggibili sono invece gli interventi strutturali interni, soprattutto nella corte porticata su un lato, espressa nelle forme tradizionali dell'architettura quattrocentesca bolognese, nella definizione degli ambienti, compresa naturalmente l'importante sala di rappresentanza detta "dei Giganti", e nel coerente programma di decorazione pittorica degli stessi, che celebra ed enfatizza la proprietà signorile dell'edificio. Nonostante i numerosissimi e spesso difficilmente individuabili interventi subiti dal complesso, il suo aspetto attuale reca l'impronta decisa della presenza bentivolesca, a cui, secondo documenti di epoca successiva, spetta anche l'edificazione di una stalla adiacente al castello e la costruzione di altre strutture "di servizio" nelle vicinanze.
Caduta la signoria dei Bentivoglio, la rocca tornò nelle mani del Comune di Bologna dal 1508, per poi divenire sede di uno dei tre Capitanati della Montagna. Fino al 1796 nel castello trovarono così posto le sedi del tribunale civile e di quello penale, uffici diversi, le carceri e naturalmente la residenza del Capitano e degli armigeri. Per buona parte del Cinquecento e del Seicento furono frequenti le segnalazioni inviate da Bazzano al Senato bolognese sulle cattive condizioni dell'edificio, ma solo raramente vennero prese adeguate contromisure per arginare il degrado. Tra le diversissime destinazioni d'uso a cui fu soggetta la rocca si possono ricordare la creazione di un lazzaretto durante la peste del 1630 e l'alloggiamento di truppe negli anni immediatamente successivi, mentre la situazione conservativa del castello risultava inevitabilmente peggiorata dopo la presa di Bazzano nel 1643 da parte del capitano Raimondo Montecuccoli, durante la guerra tra i Farnese e il papato.
Dalla fine del Settecento il castello divenne sede del municipio locale, mentre già negli anni Settanta di quel secolo era attivo un piccolo teatro impiantato nella Sala dei Giganti, in modo analogo a quanto accadrà circa un secolo più tardi. Sul finire dell'Ottocento si dovettero eseguire diversi lavori di consolidamento e in alcuni casi di rifacimento, sia nella rocca che nelle strutture difensive circostanti: tra gli interventi documentati di quel periodo è l'apertura della porta nelle mura meridionali.
Dopo aver ospitato una caserma durante la Prima guerra mondiale, di cui resta memoria nel centauro futurista riaffiorato nella Sala dei Giganti, nel 1930 la rocca fu interessata da un progetto di restauro fortemente integrativo e di ispirazione rubbianesca da parte di Guido Zucchini. Il progetto fu tuttavia respinto con decisione dall'allora soprintendente, che lo giudicò inaffidabile per le molte ricostruzioni in stile proposte senza sicuri riscontri documentari. Questo episodio fu il sintomo di una generalizzata inversione di tendenza nella cultura del restauro e del ripristino, un ripensamento che in seguito, soprattutto dopo le campagne condotte negli ultimi decenni, ha permesso di restituire un'immagine della rocca più fedele possibile alla sua complessa stratificazione storica.
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