Rivista "IBC" XI, 2003, 4

Dossier: L'IBC per l'Europa

musei e beni culturali, dossier /

I beni culturali: un'opportunità per l'Europa

Angelo Guarino
[Consiglio nazionale delle ricerche - Progetto finalizzato "Beni culturali"]

Oggi esistono profonde contraddizioni generate dalla globalizzazione, in qualsiasi campo delle umane attività la si voglia applicare; a partire dal fatto, spesso trascurato, che la mancanza di infrastrutture essenziali quali l'energia elettrica e la telefonia in molti paesi in Africa, Asia e America Latina riduce la globalizzazione a un fenomeno che riguarda ancor oggi poco più della metà degli abitanti del nostro pianeta. Epperò, anche con questo limite, le moderne tecnologie dell'informazione consentono interazioni assolutamente impensabili solo dieci anni fa. Di queste interazioni si sono avvantaggiati moltissimo l'economia, il commercio e le stesse scienze. Purtroppo non altrettanta fortuna ha avuto la diffusione della cultura. Infatti le grandi organizzazioni culturali presenti nei paesi più sviluppati, in occidente come in oriente, pur a fronte di grandi sforzi finanziari, faticano ad arrivare ai cittadini, ad interessarli e coinvolgerli. Faticano, anche, per la difficoltà a farsi comprendere, perché la maggior parte delle informazioni viaggia su una sola lingua, l'inglese.

Il futuro è tecnologicamente molto favorevole: se si pone mente al fatto che nei prossimi anni televisione, telefonia mobile e computer dotati di modem diventeranno un unico strumento integrato di comunicazione, ci si rende conto della potenza dei mezzi di comunicazione che la tecnologia metterà a breve a nostra disposizione. Ma come ci accingiamo a sfruttare queste enormi potenzialità? Insomma, qual è oggi la realtà dei contenuti che televisione analogica e digitale, telefonia mobile e internet mettono a nostra disposizione? Se osserviamo molti programmi televisivi sia generalisti che tematici, se seguiamo su internet molte chat-lines e newsgroups, se ascoltiamo i cosiddetti "messaggini" sui cellulari, dobbiamo amaramente concludere che in campo culturale la potenza dei mezzi a disposizione è globalmente sprecata!

C'è un ruolo dell'Europa nella diffusione della cultura? Amiamo ripetere che in Europa la cultura sta di casa, che la diversità delle culture dei vari stati europei è una ricchezza e che mai l'unificazione dell'Europa dovrà significare la perdita di queste diversità. Ma a queste affermazioni facciamo seguire le azioni conseguenti? Operiamo realmente per preservare queste diverse culture? Oggi assistiamo a due fenomeni imponenti e contrapposti: da un lato, le nazioni europee cedono fette sempre più consistenti di sovranità alle autorità comunitarie, alla Commissione a Bruxelles, al Parlamento a Strasburgo, alla Banca europea a Francoforte; dall'altro lato, le stesse nazioni europee hanno già ceduto o si apprestano a cedere fette sempre più consistenti di sovranità alle autorità regionali, sicché già oggi, per esempio, in Germania ed Austria vi sono tanti ministri della cultura quanti sono i Länder federali, in Spagna le province autonome hanno autonomie amplissime arrivando all'uso di lingue locali nell'insegnamento scolastico oltre che nelle trasmissioni televisive.

Insomma, i centri decisionali in materia culturale crescono continuamente in Europa: andiamo verso una nuova Torre di Babele e purtroppo dubito che in campo culturale esista la possibilità, come in campo finanziario, di creare una moneta comune culturale o un Euro culturale. In questo quadro europeo pieno di ombre, si distacca il nostro Paese. Abituati a osservare le statistiche che ci vedono quasi sempre agli ultimi posti in classifica, possiamo invece affermare che l'Italia, soprattutto negli ultimi anni, ha investito ingenti energie e finanziamenti soprattutto per quanto riguarda la salvaguardia del proprio patrimonio culturale. Ciò è avvenuto malgrado i tanti scempi ambientali perpetrati ogni giorno, per iniziativa del Ministero per i beni e le attività culturali, per iniziativa delle Regioni e dei Comuni, con l'ausilio scientifico del mondo delle università, degli enti di ricerca, con il significativo contributo delle fondazioni bancarie e di pochi privati che, abbandonato il latino "mecenate", oggi preferiscono chiamarsi "sponsor".

Certamente l'immensità del patrimonio culturale italiano rende difficile quest'opera di salvaguardia: basta pensare che gli oltre ottomila comuni italiani sono in realtà ottomila musei a cielo aperto che vanno difesi dai danni naturali, come i terremoti, e dai danni ambientali provocati dagli stessi cittadini. E qui viene giusto presentare un problema dalla soluzione impossibile: quali e quanti sono i monumenti e i documenti che vogliamo restaurare e conservare? Chi li sceglie e con quali criteri? Il problema è stato risolto in vari modi in Europa: ad esempio, nel Regno Unito si sono compilate delle liste di monumenti da conservare a spese dello Stato; altre nazioni preferiscono affidarsi agli elenchi dell'UNESCO sui monumenti patrimonio dell'umanità; molti, nel nostro Paese, semplicemente vorrebbero tutto restaurare e conservare.

Forse questo problema è insolubile perché mal posto: forse dobbiamo domandarci non "quali e quanti" monumenti conservare ma "perché" vogliamo conservarli. Solo dando una risposta corretta a questo "perché" possiamo poi decidere "quali e quanti" monumenti conservare. Purtroppo il "perché" che le pubbliche amministrazioni danno più di frequente è di questo tenore: si restaura e conserva il patrimonio perché è fonte di guadagno attraverso il turismo, sia nazionale che internazionale: converrà sempre spendere in restauri di castelli se poi milioni di turisti visitatori frutteranno miliardi. Con questa logica sono stati restaurati migliaia di manufatti monumentali in tutta Italia, con una conseguenza: che le spese di manutenzione sono maggiori del gettito che deriva dal loro sfruttamento turistico e congressuale!

La risposta al quesito "perché conservare" deve essere ricercata nel convincere i cittadini a restaurare e conservare il proprio patrimonio in quanto esso è un bene in sé, da lasciare ai propri figli, perché rappresenta le proprie radici. Le motivazioni per cui i cittadini di un paese decidono di conservare una chiesa devono essere altre che il turismo: perché il campanile di quella chiesa ha scandito le ore belle e tristi della loro vita, anche se mai turista giapponese lo degnerà di una istantanea e mai ladro vi cercherà invano un Caravaggio da portar via. E questa consapevolezza nei cittadini va alimentata, sempre, iniziando dalle scuole elementari.

 

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