Rivista "IBC" XI, 2003, 3
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Il periodo dell'Assolutismo è un periodo di profonda crisi politico-culturale: è il periodo della dominazione spagnola in Italia, della Controriforma attuata dalla Chiesa che convoca il Concilio di Trento per consolidare il suo potere in funzione di un controllo politico e ideologico. Controllo non riscontrabile solo nella rigida riaffermazione dei dogmi, o con l'Indice dei libri proibiti pubblicato nel 1559, ma anche in modo più sottile e capillare attraverso una mirata elaborazione della cultura cattolica.
In questo contesto, quale era il panorama culturale, sociale e letterario nella città di Cento durante il lungo periodo dell'Assolutismo? A quali ceti era destinata quella cultura e le opere non sempre mirabili che ne scaturirono? Chi era in grado di scalfire l'involucro esteriore di un'opera letteraria o teatrale per coglierne la sostanza, per collegarla ai mutamenti del costume, del pensiero, al rinnovamento, se rinnovamento c'era?
Nella sua documentata analisi sulle incidenze culturali a Cento durante l'Assolutismo, Antonio Samaritani indaga con perizia e ci dice che l'aristocrazia provinciale e la stessa borghesia centese si rivolgeva inizialmente a modelli culturali estensi, al genere pastorale del Guarini, del Giraldi e dello stesso Cremonini, alterando tuttavia le valenze interne al Pastor Fido, all'Orbecche o al Chlorindo, con artifici che rispondevano più al bisogno di intrattenimento che non ad effettive esigenze culturali.
Ma l'Assolutismo ha un arco temporale piuttosto esteso. Allora c'è un altro dato rilevante in questo libro su cui vale la pena di riflettere: se ancora nel Cinquecento estense, quello che precede la Devoluzione del Ducato, si assiste ad un proliferare di fulgide carriere fra i letterati centesi - basti qui riferirsi ad Alberto Accarisio e a Cesare Cremonini - non altrettanto avviene nel periodo Pontificio fra Sei e Settecento. L'autore ne individua le cause: mentre l'epoca estense è caratterizzata da un forte giurisdizionalismo, nel Sei e Settecento si assiste ad una progressiva omologazione culturale che si manifesta in seno alle Accademie, "espressioni di un'Arcadia provinciale" - cito dal testo - "più teatrale e musicale che letteraria".
Eppure non dobbiamo pensare che quell'aristocrazia, quella borghesia provinciale, fossero del tutto a digiuno delle polemiche sorte attorno al dramma pastorale del Guarini. Semplicemente riteneva ininfluente il fatto che il Pastor Fido avesse ingenerato forti polemiche in ambito culturale, che il suo autore, ancora in vita, fosse stato accusato di aver trattato con sufficienza le regole aristoteliche, mescolando nella sua opera maggiore diversi generi, ma inventando così il dramma pastorale che presagisce il barocco. Quando nel 1624 al Teatro Fabri di Cento viene rappresentato il Pastor Fido, la polemica non si è ancora esaurita: la comunità centese non fa altro che accoglierne l'esito fortunato, i messaggi e lo stesso carico di sensualità che il dramma guariniano porta in sé per effetto delle divagazioni sull'amore, l'infedeltà e il piacere umano.
Fine dell'arte in Guarini non è più la moralizzazione e l'educazione, ma il piacere dei sensi e dell'intelletto. "Quinci imparate voi, / o ciechi e troppo teneri mortali, / i sinceri diletti e i veri mali. / Non è sana gioia, / né mal ciò che v'annoia". È la conclusione del Pastor Fido, in cui una società in evoluzione come quella centese dei primi decenni del Seicento ama riconoscersi, o comunque riconoscersi nello svago, tanto essenziale alla vita sociale. Modello, quello della favola pastorale, che però non regge a lungo: le rappresentazioni terminano a Cento nel 1627, segno evidente che non si è ancora esaurita una polemica letteraria, ma un genere. A Cento, almeno per un po' di anni, il Guarini si impone, quel Guarini che sentì forte l'esigenza di un adeguamento della società contemporanea ad un mondo ideale, fuori dalle convenzioni moralistiche e sociali, e che il Guercino seppe esprimere nell'arte figurativa con la celebre ed enigmatica tela intitolata Et in Arcadia ego.
Samaritani non trascura figure di prima grandezza, rappresentative di quel periodo che peraltro vede affermarsi una nuova concezione della scuola pubblica, grazie anche alla fondazione del seminarium nobilium retto dai Gesuiti. E di prima grandezza sono Giuseppe Maria Panini, Francesco Antonio Bagni, Pietro Gioli, testimoni di un Umanesimo che può alimentarsi grazie alle influenze estensi e bolognesi, ma non a quelle locali. Ricorda opportunamente lo storico come le uniche biblioteche degne di questo nome, per consistenza numerica delle opere, fossero all'epoca quella di Marcantonio Monari, centese di adozione ma bolognese di origine, e quella di Anton Francesco Bagni, che volle aprirla al pubblico.
Una ricognizione puntuale, quella di Antonio Samaritani, che fissa il suo approdo in una considerazione di grande interesse: con il declino dell'Assolutismo e il sopraggiungere dei nuovi impulsi rivoluzionari, a Cento la promozione della cultura si ascrive prevalentemente ai privati, che avvertono l'iniziale esigenza di contrapporsi alla cultura della classe che incarna il privilegio.
Non possiamo in conclusione evitare di soffermarci sul significato della collana e dell'acronimo adottato per questi "Contributi Centesi". Quel "CC" in bell'evidenza sulla copertina, accanto al gambero rosso effigiato sullo stemma comunale di Cento, e riprodotto nel taglio di un antico volume del Fondo Catasti conservato presso l'Archivio storico locale, nella valida intuizione di Mariateresa Alberti, che lo ha individuato e proposto, si presta ad essere sciolto tanto in Cataster seu Campionus, in Communitas Centi, in Civitas Centi, quanto appunto in "Contributi Centesi". Questa collana è destinata ad avere una vita lunga, perché ad inaugurarla e a tenerla a battesimo è Antonio Samaritani: e non solo la tiene a battesimo, ma dedica il primo volume a Luciano Chiappini, scomparso di recente, conferendo così a questo fine ed accreditato studio il valore e l'intimo affetto che noi attribuiamo ad un libro quando lo dedichiamo ad un genitore, o a qualcuno cui abbiamo riconosciuto il ruolo di guida.
A. Samaritani, Cultura e società a Cento nell'età dell'Assolutismo, Cento, Siaca Arti Grafiche Editore, 2002 (Contributi Centesi, I), 86 p., Ç 5,00.
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