Rivista "IBC" XI, 2003, 2

musei e beni culturali / didattica, pubblicazioni

Hanno sempre più successo di pubblico e riconoscimenti ufficiali, ma ancora non si sa bene che nome dargli. Ai "musei per bambini", nell'attesa, una storica dell'arte italiana ha dedicato un intero saggio.
Nomi sbagliati per posti giusti

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Nel rinnovato fervore che stanno conoscendo le discipline museografiche uno degli ambiti di discussione più accesi riguarda senza dubbio il settore dei musei per bambini. Tali istituzioni stanno conoscendo, in questi ultimi anni, un'esplosione di interesse che si concretizza in un moltiplicarsi di iniziative a livello europeo ed italiano, delle quali si può avere una prima informazione attraverso il network europeo dei children's and youth museums: "HO!E -Hands-on! Europe" (www.hands-on-europe.net). Tale successo si può inquadrare nel più ampio e meno recente fenomeno che ha visto il cosiddetto pianeta infanzia assumere lo status di classe sociale emergente dotata di propria autonomia e appetibile dal punto di vista culturale.

Le attività didattiche mirate alla fascia degli utenti più piccoli, a partire dall'età scolare o poco prima, fanno ormai parte da anni delle proposte di molti musei, così come avviene, per limitarci al territorio regionale, in alcune delle realtà più avanzate della nostra regione (e non sarà forse un caso che i musei più "avanzati" e vivaci per quanto riguarda il complesso delle loro attività siano anche fra i leader per quanto riguarda l'offerta didattica, sia per quantità che per qualità delle proposte). Occorre ricordare a questo punto alcune realtà sopra le altre, come il Museo civico archeologico e la Galleria d'arte moderna di Bologna e il Museo civico archeologico di Modena, che da anni con i loro laboratori didattici sono diventati un vero e proprio punto di riferimento in regione per la didattica dell'età infantile.

Questa tensione verso un miglioramento e una differenziazione dei servizi e delle programmazioni all'interno dei musei già esistenti e quindi, sostanzialmente, nell'inglobamento dei musei per bambini all'interno di realtà già consolidate è sottolineata soprattutto da chi all'interno del museo già opera. A livello europeo, però, attualmente la tendenza è piuttosto quella di creare istituzioni autonome rispetto ai musei già esistenti, mentre dal punto di vista metodologico si ribadisce sempre più il carattere di sostanziale diversità di tali operazioni, che nelle finalità e nei metodi non possono essere ricondotte (per lo meno non completamente) nell'alveo della didattica museale.

Tale diversificazione ha contribuito ad accentuare un problema di identità di queste realtà: il museo per bambini viene spesso percepito, dagli stessi operatori, come limite del significato e dell'utilità della parola "museo". Non è un caso quindi che i musei per bambini ancora stentino a trovare una precisa collocazione persino dal punto di vista terminologico. In buona sostanza la domanda che ancora aleggia senza risposta è: i musei per bambini sono musei o no?

Una risposta univoca non può essere attualmente fornita anche perché sotto questa etichetta sono comprese esperienze fra loro molto diversificate, nella metodologia che le ispira come nelle modalità di realizzazione delle proprie attività. Nella maggioranza dei casi i musei per bambini non posseggono vere e proprie collezioni: anche da questo aspetto nasce la tendenza, molto diffusa nella maggioranza dei curatori di musei "tradizionali", ad equipararli piuttosto a "centri di scoperta" o a laboratori didattici o ancora ai così detti "centri per l'immaginazione", popolari soprattutto nel Nord Europa. E in questa direzione non è un caso che un'istituzione per altri versi pletorica come International Council of Museums non abbia ancora trovato il modo di organizzare alcun comitato specifico a queste tematiche, ribadendo, anche per questo aspetto, il proprio carattere ormai del tutto "ingessato" e autoreferenziale.

Volendo addentrarci, in ogni caso, in un tentativo di definizione attraverso l'evidenziazione di alcuni caratteri comuni, possiamo innanzitutto notare come in generale la mission ampiamente condivisa dei musei per bambini, al di là delle dispute onomastiche e terminologiche, consiste nell'educazione e nell'insegnamento attraverso l'interattività. Una delle finalità perseguite è quindi quella dell'apprendimento attraverso una pluralità di modalità, spesso completamente differenti da quelle "tradizionali" scolastiche. Modalità che privilegiano l'esplorazione e l'esperienza attiva. Per questo molte di queste esperienze si fondano sul metodo cosìddetto hands-on, cioè sull'accesso diretto e la manipolazione del materiale.

Una finalità che ha caratterizzato i musei per bambini nelle loro prime realizzazioni americane degli anni Sessanta era quella di porsi come uno strumento per l'integrazione razziale e la diffusione della tolleranza e contro la discriminazione: e la sensazione, non esattamente positiva, che si prova a leggere i documenti programmatici veramente avveniristici che accompagnarono la nascita e le prime attività di questi musei è che, quaranta anni dopo, nella nostra realtà italiana, questi obiettivi possano essere riproposti con immutata urgenza. Anche in seguito una delle finalità più ampiamente perseguite consisterà nel fornire un aiuto alla comprensione del mondo e di se stessi e nel divenire luogo privilegiato della mediazione culturale, dove "cultura" è da intendersi nel senso antropologico del termine e come tale non può essere semplicemente spiegata, ma può essere sperimentata.

Certamente una delle caratteristiche peculiari di questo tipo di istituzioni risiede proprio nel carattere multidisciplinare per eccellenza, e questo aspetto ne accresce la difficoltà di definizione. Così fin dalle prime esperienze americane queste istituzioni hanno condiviso e mutuato gran parte dei loro principi fondativi e della loro metodologia dalle teorie pedagogiche ed in particolare dagli studi, fra gli altri, di Piaget e Vigotsky. È d'altronde risaputo che le teorie costruttiviste, soprattutto attraverso la lettura e la mediazione delle più recenti ricerche di psicologia cognitiva, hanno trovato, nell'ultimo decennio, nuovo campo di applicazione all'interno della museologia.

In particolare, riassumendo e semplificando (anche se un po' rozzamente per ragioni di concisione), le influenze del costruttivismo sulla museologia in generale e sulla metodologia che ha ispirato i musei per bambini in particolare, possono essere schematizzate in alcuni assunti fondamentali, quali, ad esempio il ribaltamento dell'importanza attribuita al visitatore rispetto al contenuto. Il museo "costruttivista" deve consentire molteplici percorsi di visita/apprendimento e offrire al visitatore/discente una diversificazione di modalità cognitive. Non ha punti di entrata-uscita prefissati ed è quindi privo di una predeterminata sequenza espositiva. L'apprendimento - sua finalità prioritaria - si attua al suo interno attraverso un processo attivo che coinvolge il linguaggio e ne è influenzato. L'apprendimento è, inoltre, un'attività sociale e contestuale e quindi, da questo punto di vista, il museo "costruttivista" deve incoraggiare la discussione e diversificarsi radicalmente da quegli spazi di religioso silenzio che caratterizzano il museo tradizionale.

Poiché, inoltre, l'apprendimento non è istantaneo, ma è il frutto di ripetizione, rivisitazione e meditazione, il museo deve fornire al visitatore strumenti per ripensare all'esperienza vissuta durante la visita. La motivazione è componente chiave dell'apprendimento, ma la costruzione di significato (il meaning making, concetto cardine del costruttivismo) rimane un processo essenzialmente mentale: per questo l'azione fisica, come ad esempio la manipolazione assunta come cardine dal metodo hands-on, è importante perché sollecita e mette in gioco modalità cognitive sensoriali diverse, ma non è sufficiente alla costruzione della conoscenza. Quest'ultimo assunto è, ad esempio, alla base dell'evoluzione che attualmente sta assumendo la metodologia hands-on, alla quale è subentrato piuttosto, almeno a livello teorico, il principio sintetizzato nel motto minds-on.

Queste tematiche sono affrontate nella prima parte del volume Musei per bambini. L'occhio ha saltato il muro di Anna Casalino, recentemente edito dalla bolognese Pendragon. L'autrice sottolinea a sua volta il debito epistemologico che molti dei musei per bambini hanno nei confronti di alcuni psicologi cognitivisti, tra i quali ad esempio Howard Gardner quando parla dell'esistenza di una pluralità di intelligenze che si riflettono in una molteplicità di stili di apprendimento. È chiaro che i musei, quando mettono in gioco modalità cognitive "altre", complementari o parallele rispetto a quelle tradizionali, e nello specifico scolastiche, contribuiscono ad arricchire le potenzialità di apprendimento complessive dell'individuo (e si usa volutamente questo termine, neutro dal punto di vista anagrafico, perché chi scrive è assolutamente convinta della priorità della mission educativa per il museo tout-court). È interessante notare come, pur partendo da un argomento che si sarebbe tentati di definire "di nicchia" o comunque alquanto specialistico, la studiosa finisca per ampliare il proprio sguardo su temi di pedagogia in senso ampio, di psicologia cognitiva e di museologia: già questo starebbe a dimostrare la fondamentale multidisciplinarietà del soggetto e ne ribadisce la difficoltà di inquadramento in un'area disciplinare tradizionalmente definita.

Nella seconda parte del suo testo l'autrice fornisce un sintetico quadro delle più importanti esperienze che in questo settore si registrano in Europa e in Italia. Queste istituzioni, comunque le si voglia definire, hanno ormai alle spalle una storia di decenni di attività, a partire da quelle, pionieristiche, americane. Al di là delle prime esperienze che risalgono alla fine del XIX secolo, i moderni musei per bambini nascono dall'attività precorritrice di Michael Spock, che nel 1962 divenne direttore del Children's museum di Boston, dove applicherà il metodo hands-on, destinato ad una rapidissima diffusione. Al contrario in Europa i musei per bambini si pongono come filiazioni di musei già esistenti e lo stesso Het kindermuseum di Amsterdam (www.kit.nl/kindermuseum/index_flash.html) - nato nel 1975 e che tanti riconoscimenti ha ottenuto per le sue attività (fra i quali il premio da parte del Consiglio d'Europa quale miglior museo del 1997) - si considera a tutt'oggi parte del KIT Tropenmuseum del Regio Istituto di studi tropicali olandese, anche se in questo caso non si tratta di un laboratorio didattico ma di un vero e proprio museo autonomo, che condivide peraltro con l'esperienza bostoniana l'attenzione, ribadita nella mission, ai problemi di integrazione e multietnicità. Se all'Olanda appartengono, in generale, alcune delle esperienze europee più famose e all'avanguardia, a ribadire il ruolo di laboratorio culturale che questo paese sta assumendo all'interno della comunità europea, altrettanto importanti dal punto di vista dell'innovazione metodologica e della qualità dell'offerta appaiono i musei per bambini attivati in Germania, in particolare a Berlino e a Francoforte.

Rispetto a queste realtà, alle quali possono aggiungersi ormai numerosi esempi soprattutto dell'Europa del Nord, l'Italia sconta, anche in questo campo, un'arretratezza direttamente derivata da quella, più volte sottolineata, dell'ambito museografico e museologico. Pur in questa situazione di retroguardia, qualcosa si sta muovendo, soprattutto negli ultimi due o tre anni, e vale la pena di ricordare almeno alcune situazioni già operanti fra mille difficoltà come EXPLORA a Roma (www.mdbr.it), un museo pensato come metafora della città e il Museo dei Ragazzi di Palazzo Vecchio a Firenze (www.museoragazzi.it), le cui realizzazioni si possono definire, più che come museo vero e proprio, come una serie di percorsi museali costruiti come laboratori interattivi, che interessano alcune delle più prestigiose sedi museali fiorentine come Palazzo Vecchio, appunto, il Museo Stibbert e il Museo di storia della scienza.

A questi esempi se ne possono affiancare altri che sono in corso di realizzazione sull'onda del crescente successo di pubblico delle esperienze già in essere: anche da un punto di vista "imprenditoriale", insomma - visto che tale chiave di lettura, di questi tempi, risulta così privilegiata - queste istituzioni sembrano rispondere ad una domanda molto forte da parte di un pubblico di utenti/visitatori sempre più vasto.

Del "caso" italiano, pur nella sporadicità degli esempi presenti, occorre sottolineare alcune specificità che molto opportunamente sono state sfruttate in alcune di queste realizzazioni, facendo leva sulla unicità del contesto italiano, come nel caso del museo dei ragazzi fiorentino, dove - anche al fine di ricreare quella "meraviglia" che, secondo quanto affermano i curatori del museo, è una delle finalità dell'operazione didattica - le attività si svolgono in spazi culturalmente tanto fascinosi e densi di richiami di ogni tipo. Coinvolgendo, per di più, diversi luoghi della città, l'esperienza finisce per avvalersi (forse non ancora compiutamente) anche di quello straordinario museo all'aperto rappresentato dalla città di Firenze: un'opportunità che per fortuna caratterizza in modo ancora così evidente la maggior parte dei nostri contesti urbani.

Dalla specificità del caso italiano è partita anche Anna Casalino, che nell'ultima parte del volume citato illustra il suo progetto per un museo d'arte per ragazzi, dotato di una collezione permanente di opere d'arte fornite dai depositi dei musei nazionali e internazionali in cui, ai fini della conoscenza, possa essere utilizzato soprattutto il carattere eversivo insito nelle arti visive e nella loro capacità di lettura "alternativa" e pluriprospettica del mondo.

Certo, per poter continuare ad usufruire dello straordinario favore di pubblico di cui hanno goduto fino a questo momento, i musei per bambini e ragazzi devono dimostrare grandi capacità di rinnovamento e aggiornamento: l'adeguamento alla realtà è, per queste istituzioni, condizione ineludibile di sopravvivenza. Per converso, in una realtà ad evoluzione così accelerata, che presenta problemi di multiculturalismo sempre più evidenti e all'interno della quale i comportamenti sociali sono sottoposti a cambiamenti rapidissimi, i musei per bambini possono costituire uno strumento di comprensione dei meccanismi culturali quasi insostituibile per efficacia e qualità epistemologica.

E, anche per questo aspetto, è fortemente auspicabile che i musei tradizionali, quelli dal pedigree più altisonante, possano cominciare a guardare con occhio non solo meno prevenuto, ma con atteggiamento ricettivo alle esperienze dei musei dei piccoli.

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