Rivista "IBC" XI, 2003, 2

musei e beni culturali / didattica, progetti e realizzazioni

Alla figura del "mediatore culturale" i musei dovrebbero affidare il compito di organizzare il rapporto didattico con il pubblico degli adulti. L'IBC partecipa a un progetto europeo che mira a definire questo nuovo profilo professionale.
Lessico europeo

Marinella Marchesi
[Museo civico archeologico di Bologna]
Daniele Serafini
[Servizio Cultura del Comune di Lugo (Ravenna)]

Dall'inizio del 2001 e per tutto il 2003 l'Istituto per i beni culturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna partecipa come partner al progetto "Euroedult" (programma "Socrate Grundtvig IV"), assieme, tra gli altri, al Louvre, all'European Museum Forum e all'Università di Pécs (Ungheria). Obiettivo del progetto è definire una figura di "mediatore culturale" certificata a livello europeo: il suo compito sarà istituire un legame tra musei e settore della educazione permanente, progettando iniziative didattiche e formative innovative, in particolare rivolte a un pubblico di adulti. Il 27 e 28 giugno 2003 presso l'Ecole du Louvre di Parigi si tiene la conferenza conclusiva.

Nel primo anno il progetto si è concentrato sullo studio e la definizione del percorso formativo legato a questo profilo professionale, utilizzando anche i risultati di una indagine svolta a livello europeo per individuare i bisogni dei musei in termini di nuove professionalità e competenze nell'arco dei prossimi cinque anni. Il curriculum che ne è risultato consta di cinque domini (o macroaree formative): Project management, Comunicazione, Mediazione, Lingua straniera (applicata all'ambito dei musei e dell'educazione), Cultura e Educazione in Europa. Ogni dominio è organizzato in unità didattiche.

Nel 2003 è stata attivata la sperimentazione di alcune di queste unità e in particolare è stato organizzato il corso "Europilot" intitolato "Museums as learning centres", articolato in quattro moduli ospitati dai paesi partner del progetto (Ungheria, Germania, Italia, Francia) e rivolto a una ventina di operatori provenienti dai medesimi paesi. Tra i temi trattati: la didattica e i servizi educativi nei musei, la progettualità e l'innovazione in ambito di didattica museale, la comunicazione interculturale, l'educazione degli adulti. Ogni modulo, inoltre, è stato preceduto da una illustrazione della struttura organizzativa dei musei, del contesto istituzionale e delle politiche culturali del paese ospitante. Ciascuna unità è stata certificata dall'istituto presso cui si è svolta.

Il corso si è svolto secondo il seguente calendario: 22-26 gennaio 2003 (Ungheria - Pécs, Università di Pécs); 26 febbraio - 2 marzo 2003 (Germania - Monaco, Associazione bavarese per l'educazione degli adulti); 26-30 marzo 2003 (Italia - Ravenna, Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna). Nell'articolo che segue, due dei partecipanti italiani raccontano le loro "impressioni di viaggio".


È possibile che un corso internazionale su musei, apprendimento e mediazione culturale trovi la sua chiave di lettura in un'opera di Goethe o in un'asserzione di Rimbaud? Che la letteratura, insomma, possa aiutarci a decodificare l'universo sempre più cangiante dei beni culturali e della loro fruizione? Se le tre figure del Prologo del Faust, vale a dire il direttore del Teatro, il poeta e l'attore, esprimono rispettivamente la preoccupazione di "piacere al grande pubblico", di lasciare una testimonianza ai "posteri", lavorando quindi per "l'eternità", e di "divertire i contemporanei", se al teatro sostituiamo il museo, ecco allora delinearsi una problematica che mette in scena ben altri attori e istanze: gestione, audience, conservazione, tutela, intrattenimento, progettazione.

E se il celebre "JE est un autre" di Rimbaud, teorizzato dal poeta francese in una lettera all'amico Paul Demeny, non indicasse solamente l'altro che è in noi, ma anche un desiderio di riconoscersi nell'alterità, fino a coincidere con essa, come ci ricorda lo scrittore Laurent Macé-Fassin, vedremmo in tal modo prefigurato il riconoscimento della diversità, dell'altro che è "fuori di noi"? Perché questo, in fondo, è il leit-motiv che caratterizza il progetto "Europilot" e anche una delle sue finalità principali: pensare in un'ottica transnazionale; cercare gli elementi unificanti tra le varie culture europee, al di là delle differenze, superando il disagio iniziale dato da una sensazione di spaesamento, in parte linguistico; andare incontro a quanto non ci è "familiare" e, nel fare questo, cercare di affrancarsi dai propri ruoli. Tutto ciò si configura come esercizio stimolante e problematico che mette in gioco la flessibilità individuale, ma che può incontrare non poche resistenze interne.

Cosa accade - questo è il punto - quando oltre venti professionisti, provenienti da ben otto paesi europei, tornano sui banchi di scuola? Ciascuno con il proprio bagaglio culturale, linguistico, il proprio vissuto, e anche con le proprie paure. "Sarò all'altezza della situazione? Riuscirò a pensare e a lavorare in un'altra lingua? Desidero veramente mettermi in gioco?" E altri interrogativi di questo genere, magari non confessati, con i più giovani che temono l'inesperienza e i più maturi l'anagrafe.

Si parte, e non c'è più tempo per i ripensamenti. Il calendario dei lavori, nel primo appuntamento in Ungheria, è fittissimo e ben presto è tutto un succedersi di relazioni, dati, statistiche, proiezioni, lucidi: il nostro sguardo, di tanto in tanto, cerca un attimo di tregua soffermandosi sulle tele dal forte impatto cromatico di Csontváry, artista della seconda metà dell'Ottocento, cui è dedicato il museo che ci ospita. Nel pomeriggio si costituiscono i primi gruppi, una possibilità di conoscersi meglio, di seguire un metodo di lavoro prezioso, basato sul confronto delle idee, e anche un'occasione di uscire dall'anonimato iniziale costruendo scambi e relazioni.

Quando Massimo Negri ci consegna un test sull'Unione Europea e le sue istituzioni capiamo che sì, siamo europei, vogliamo pensare i musei e i rapporti culturali in questo contesto, ma ignoriamo tappe e contenuti fondamentali di un lungo processo iniziato grazie anche al nostro Altiero Spinelli. Di fronte a un complesso articolo sullo "spirito dell'Europa", assegnato a uno dei gruppi come "esercitazione", non pare così scontato ciò che possiamo individuare come elemento unificante. Il compito è arduo, se si pensa che anche i "neocostituenti" hanno difficoltà a definire le radici comuni alla base di quel "brodo di culture" che è l'Europa, per citare una felice immagine di Edgard Morin.

L'Artusi - sì proprio lui, Pellegrino da Forlimpopoli - aveva invece le idee chiare: nelle sue ricette cercava sempre un ingrediente capace di legare, di amalgamare i diversi sapori. Puntava dritto all'elemento unificante. A noi corsisti viene in mente la cultura, sempre a proposito dell'Europa, come fosse un ingrediente magico, ma il concetto, assai ampio e articolato, rischia di non creare la migliore delle pietanze...

Nel modulo di Pécs c'è una prima fase in cui si avvertono più marcate le differenze con i colleghi ungheresi, una sorta di difficoltà nostra a orientarci in un paesaggio culturale e linguistico che ci sembra estraneo, sensazione in gran parte superata, tuttavia, quando si riconoscono i percorsi comuni. Per esempio davanti alla testa in bronzo di Marco Aurelio, che appartenne a una statua equestre in tutto simile a quella che brilla sotto il sole di Roma, al centro della piazza del Campidoglio, forse uno dei monumenti più noti e più frequentemente connessi con il potere imperiale romano. Oppure durante la visita alle tombe paleocristiane, sulle cui pareti si ripetono iconografie e simboli che siamo abituati a vedere, il più delle volte distrattamente, nelle nostre chiese di più antica tradizione, e di cui conosciamo forse anche il significato, se solo recuperiamo nel sedimento della memoria qualche labile ricordo infantile.

Gli "oggetti" (gli exhibits) hanno in effetti un forte potere evocativo, una non trascurabile funzione polisemantica. Questo è stato il senso del brillante seminario condotto due mesi dopo a Ravenna da Judi Caton: l'oggetto visto come icona significante e non solo nel suo status di "semplice" e freddo reperto. Gli exhibits ci parlano e noi, visitatori e fruitori, possiamo interagire con loro. Una potenzialità, questa, che può dare importanti risultati in ambito didattico, soprattutto nei laboratori condotti sia con gli studenti, sia con gli adulti. Si tratta di un settore emergente che configura il possibile ruolo dei musei come luoghi di apprendimento (museums as learning centres), come spazi deputati alla trasmissione del sapere in una prospettiva di formazione permanente.

È davvero realistico, ci si chiede, pensare i musei in un modo nuovo? Crediamo di sì, non solo per gli spunti teorici che ci sono stati offerti, ma per talune realtà innovative che il seminario di Monaco ha messo in evidenza. La visita al Deutsches Museum (Museo della scienza e della tecnica), per esempio, dove una sezione dedicata ai bambini (Kinderreich) coniuga intelligentemente dimensione ludica e apprendimento, tenendo conto, finalmente, non solo delle esigenze dei più piccoli, ma anche di quelle dei loro genitori e delle famiglie in generale, oppure l'esperienza dell'Art Trolley, un "carrello" educativo, il cui contenuto, composto da colori, matite, fogli di carta e cartoline, stupisce per la sua semplicità da un lato, e per la sua adattabilità a ogni tipo di percorso didattico e di pubblico dall'altro.

Ma anche nell'ambito del modulo sapientemente coordinato dall'IBC l'incursione nel suggestivo paesaggio vallivo nei pressi di Argenta, con squarci degni di certe pagine di Celati o Cavazzoni, lascia intuire potenzialità rare: adiacente all'oasi di Campotto, nel Museo della bonifica delle valli, si staglia l'impianto idrovoro di Saiarino, splendida tipologia di "museo in sito", come ci ricorda con soddisfatto stupore l'olandese Piet Pouw, uno dei massimi museologi europei. Da questo sito, esempio di museo realizzato dove è tuttora operativo un impianto attivato nel 1925 preposto alla gestione del sistema idraulico del territorio circostante, proviene un'alta lezione di storia civile, oltre che tecnologica, testimonianza dello strenuo impegno dell'uomo nel far fronte e nel regolare l'impatto, a volte violento e distruttivo, della natura.

Se da un lato il corso ha messo in luce la possibilità di vedere i musei in un contesto rinnovato, l'occasione ha in ugual misura consolidato la consapevolezza che anche noi, operatori, educatori, docenti, specialisti del settore, abbiamo l'opportunità di "pensarci" in modo diverso, in un iter di formazione continua, di aggiornamento e di apertura al cambiamento, che all'estero sembra essere un percorso già sperimentato e maggiormente metabolizzato.

Proprio qui sta forse la sfida più interessante del progetto "Europilot": il metodo, il confronto, l'interazione, il tornare a fare ricerca, il ricorso sempre più frequente al web come grande enciclopedia, l'imparare ad ascoltare e osservare con orecchie e occhi diversi che cosa ci chiede sommessamente il pubblico, le cui esigenze sono in continua, velocissima trasformazione sotto la spinta di innumerevoli stimoli, e per il quale la parola "museo" rischia sempre più di evocare l'immagine di bacheche polverose, a esclusivo uso e consumo di studiosi fuori dal tempo.

A prescindere comunque dagli effetti che questa esperienza produrrà sul lavoro quotidiano di ciascuno di noi, non potremo che considerare uno dei valori aggiunti ai risultati del corso la splendida coesione venutasi a formare nel gruppo dei partecipanti. Età, formazioni, provenienze geografiche e retroterra culturali molto diversi tra loro non solo non hanno creato alcuna difficoltà, ma hanno addirittura favorito, fin dal primo giorno, una incredibile intesa e hanno sicuramente invogliato ad andare oltre il semplice ritrovarsi in occasione dei singoli moduli.

È probabile che molti, al pensiero di tornare sui banchi di scuola, rimettendosi in discussione, avessero tra l'altro paura di incontrare compagni saccenti e poco simpatici, che non avrebbero certo reso meno imbarazzante la situazione già di per sé insolita. Ciò che invece ognuno di noi ha trovato nei colleghi è stata una grande passione per il proprio lavoro, insieme a una tenace volontà di confrontarsi con altre realtà per apprendere nuove metodologie e poterle applicare ai propri contesti, per poter comprendere veramente cosa significa essere europei dal punto di vista culturale, e aiutare gli altri a diventarlo.

 

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