Rivista "IBC" XI, 2003, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali
Oramai alla sua decima edizione, il Salone dell'arte del Restauro di Ferrara dimostra una robusta vitalità e si afferma nel panorama nazionale come un luogo fertile di incontri, di esperienze, di riflessioni quanto mai positive intorno alla sorte e alla gestione dei nostri beni culturali. E chi lo visita avverte in modo diretto il fervore, l'animazione, l'interesse di un pubblico vario e curioso, tra cui spicca soprattutto un mondo giovanile che aggiunge allegria, quasi una sorta di naturale festosità, a uno spettacolo collettivo ritradotto, si direbbe, in rito quotidiano, in laboratorio libero e inventivo, tra le brume illuminate dal sole ancora incerto della grigia pianura ferrarese.
È un fatto, quest'ultimo, che merita forse una considerazione particolare. La presenza di tanti giovani a un'iniziativa dedicata in modo specifico ai problemi del restauro non può essere interpretata soltanto come una facile risposta partecipativa a un evento "spettacolare", a una fiera moderna rinnovata dagli incanti multimediali, nella logica effimera di uno show attraente e multicolore, ma deve essere ricondotta anche a ragioni più profonde, a un bisogno che non ubbidisce semplicemente al fascino delle immagini e delle esibizioni suggestive in uno dei tanti teatri della nostra civiltà iconica globale. L'universo del restauro ripropone, come diceva Giovanni Urbani, il nodo problematico dell'"integrazione materiale del passato nel divenire dell'uomo", la sua presenza critica nel presente come segno di una storia e di una prospettiva temporale calata nell'esistenza ancora viva di un universo oggettivo da rispettare e da comprendere.
E viene proprio da pensare che quando i giovani affollano i dibattiti ferraresi sulle questioni tecniche del restauro e si appassionano alle dimostrazioni pratiche del Salone (vere e proprie avventure registrate di questo o quel restauro) essi diano ascolto ancora a un sentimento storico, a un'esigenza di conservare un dialogo aperto e attento con ciò che ci giunge dal passato come un valore che non deve andare perduto e che in qualche modo arricchisce la nostra umanità e ne orienta forse lo stesso futuro.
Insieme con questa ragione istintivamente storica vi è poi anche l'istanza di una concretezza in cui scienza ed estetica divengono una stessa cosa per aderire alla "infinita capacità simbolica della materia", quando essa diventa forma, figura, oggetto, immagine, apparizione. È il piacere di una artigianalità paziente e fervida, di un fare tanto più prossimo alla natura quanto più è insieme progetto, idea, fantasia. Nel tempo trionfante dei simulacri e delle icone immateriali resta ancora, insomma, il gusto insopprimibile della manualità, del rapporto con la terra e con gli elementi del reale che ci sta intorno, con un paesaggio che è sensazione, presenza tattile, atmosfera, spazio di corpi e di tracce, respiro concorde di cose e di luci.
Ma come dare una risposta adeguata a una richiesta di tale genere, come convertirla in un programma di formazione che crei alla fine nuovi ruoli professionali, come vorrebbero tanti giovani pronti e preparati? Da anni la discussione continua ed è tempo di trovare finalmente soluzioni convenienti e sicure. Giovanni Urbani, benemerito come pochi, d'accordo con le proposte di un Emiliani e di un Valcanover, parlava di laboratori sperimentali intersoprintendenze e di organismi regionali, proprio per avviare questo processo di costruzione razionale di una moderna sensibilità operativa del restauro. Converrebbe rimettersi su questa strada, lavorando con costanza e con chiarezza di concetti e di propositi. Come si diceva all'inizio, il Salone ferrarese è un invito a tante cose, anche ai desideri e agli auspici sospesi tra le brume familiari dell'ospitale bassa padana.
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