Rivista "IBC" X, 2002, 4

Dossier: Ben(i) comunicati?

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Voci dagli scavi

Massimo Todde
[programmista della RAI, RadioUno "Bella Italia"]

Abbiamo visto come il nostro patrimonio culturale abbia avuto in televisione, seppure penalizzate da orari improponibili e a rischio di eliminazione, rubriche realizzate da professionisti che con passione e determinazione si sono battuti perché si evincesse l'importanza di conservare, di non mercificare o monetizzare, rischio sempre più reale, il patrimonio storico-artistico.

Ma anche in radio - questo amichevole, discreto, eppure rivoluzionario, mezzo di comunicazione: un medium "caldo", nella distinzione che operava Marshall McLuhan - c'è chi lavora con determinazione per difendere uno spazio da dedicare non alla cultura tout court, ma ai beni culturali.

In questo senso Massimo Todde - che continua a realizzare in solitaria su Radio Uno il programma "Bella Italia", in onda la domenica mattina alle 6.03 e in replica, adattato, nella notte alle 2.05, tra il lunedì e il venerdì - è l'interlocutore ideale, anche perché si è sempre occupato di conservazione e restauro del patrimonio artistico e naturale. Da abituale intervistatore, per una volta si è ritrovato ad essere intervistato. Probabilmente è l'approccio più corretto per chi, per mestiere, racconta con la voce e lascia che altri diano "supporto grafico" alle sue parole. [V.C.]

 

Da quanto tempo si occupa di beni culturali?

La mia esperienza sui beni culturali è cominciata con i programmi della sede regionale RAI del Lazio, nel gennaio del 1980, occupandomi prevalentemente di tematiche archeologiche riguardanti Roma e il territorio laziale. La trasmissione settimanale che realizzavo si intitolava "Storie dalla cronaca". Trattavo problemi che erano di portata tutt'altro che locale: erano gli anni in cui si dibatteva sui fori imperiali e mi appassionai a questa riscoperta archeologica della città.

Raccolsi i pareri di fautori ed oppositori sul progetto per il recupero dei fori romani che erano sepolti all'82 per cento, secondo un calcolo fatto da Italo Insolera. Il programma mi permetteva di incontrare e parlare con gli archeologi, di conoscere le difficoltà che incontravano. Negli ultimi anni ci sono stati diversi scavi, ma allora parlare di scavi sembrava un'eresia, si oscillava tra l'opposizione e l'indifferenza a livello di amministrazione comunale. Il sindaco Petroselli aveva una discreta attenzione a quegli argomenti, ma dopo la sua morte, avvenuta nel 1981, tali problematiche finirono nel dimenticatoio, e sono tornate attuali alla fine degli anni Novanta.

Nelle puntate della trasmissione, dedicate al tema dei fori, grande fu il contributo di Antonio Cederna. Ricordo anche che Andrea Carandini, autore del progetto di scavo nel foro di Traiano insieme a Maura Medri, mi diceva che scavare, andare alla ricerca del passato è rintracciare la memoria collettiva, l'identità di noi tutti. Ho sempre cercato di trasmettere nelle mie rubriche la passione degli storici e degli studiosi.

 

Quanto è durata questa esperienza?

Fino alla fine del 1992, quando i programmi delle sedi regionali furono soppressi. L'argomento "tutela dei beni culturali", dopo sporadici contributi, ha cominciato ad essere trattato con continuità a partire dal novembre del 1999 con "Bella Italia", una proposta che mi fu fatta dall'allora direttore di RadioUno Paolo Ruffini. Il metodo della trasmissione è lo stesso: proporre una persona competente che sappia comunicare e raccontare con semplicità. Spesso l'ascoltatore medio non legge i giornali, i settimanali, i saggi. Bisogna trovare la chiave giusta per interessarlo e allora anche il restauro può essere raccontato, partendo dalla materia. L'ho sperimentato cogliendo l'emozione delle restauratrici del Marco Aurelio, che andavano via via scoprendo la doratura residua del gruppo equestre sotto la crosta del tempo e dell'inquinamento. Fior di specialisti hanno potuto spiegare al grande pubblico il collasso del bronzo per l'umidità, l'effetto nefasto degli inquinanti atmosferici e anche il motivo per cui, dopo avere ripulito la facciata di un palazzo, il bianco inesorabilmente si vela nel giro di poco tempo.

È necessario che la gente comprenda come il patrimonio gli appartiene, che c'è un vantaggio immateriale nella salvaguardia di beni culturali, che sono il "nostro petrolio" non nell'accezione monetizzabile che si è data a questa espressione, ma perché, come dice Lorenzo Quilici, è l'indotto che crea la ricchezza, non il biglietto d'ingresso al museo.

 

La gente ascolta?

Sì, e se c'è spazio per il dialogo è anche meglio. Quando la mia trasmissione durava un tempo più consistente c'era la possibilità che gli ascoltatori ponessero domande e interagivano volentieri. Certamente le tematiche legate al quotidiano e all'ambiente coinvolgono una fascia più ampia, ma c'è molto interesse anche per la realtà artistica e culturale. Ho cercato di far conoscere i cosiddetti luoghi minori, l'Italia profonda delle mille città, oltre ai luoghi più classici e famosi.

Ricordo quando ho avuto l'opportunità di lavorare con quello che è stato un po' il maestro di tutti noi: Antonio Cederna. Tra le tante inchieste comuni ci fu quella sulla collezione "Torlonia", una delle vicende più avvilenti in merito all'occultamento del nostro patrimonio artistico. La raccolta stava per essere acquisita dallo Stato, che avrebbe condonato al Torlonia una serie di imposte non pagate. Questo mi diceva nel corridoio del Ministero per i beni culturali il direttore generale, senza accettare l'intervista per la delicatezza della trattativa. Eravamo alla fine degli anni Ottanta. Ancora oggi la collezione non è visibile.

Nel 1986 realizzai la trasmissione per il quattrocentesimo anniversario della creazione di Borgo a rione di Roma. Borgo, proprio di fronte a San Pietro, fu demolito tra il 1937 e il 1949 per fare spazio a via della Conciliazione. Cercando documenti sul Borgo e sulla sua distruzione mi sono imbattuto sulla deprecabile situazione dell'Archivio Capitolino (Archivio del Comune di Roma). A causa dei problemi di statica del seicentesco palazzo dei Filippini, che ospita l'archivio, il medesimo non poteva più accogliere i versamenti di documenti previsti per legge dopo 40 anni, a partire dal 1969. Gli ultimi documenti versati risalivano perciò al 1929. Una mia indagine presso alcune ripartizioni del Comune di Roma portarono alla dolorosa scoperta della scomparsa di una massa ingente di documenti relativi agli anni Trenta, Quaranta e anche Cinquanta. Documenti che queste ripartizioni avrebbero dovuto conservare. All'epoca questa distruzione della memoria non suscitò interesse presso gli amministratori comunali. Non tutti comprendono l'importanza degli archivi per la conservazione dell'identità e per il lavoro degli storici.

Per concludere mi piace ricordare l'archeologo Edoardo Tortorici. Era disperato perché erano terminati i soldi per proseguire lo scavo nel foro di Nerva, mi diceva: "Gli anni sono passati e ho perso anche i capelli, ma" - aggiungeva, guardando la buca in cui crescevano le erbacce - "continuerò a sperare che si potranno riportare alla luce le vestigia romane". La buca è rimasta per anni, ma alla fine lo scavo si è fatto.

 

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